L’arte di Speranza svela il cuore vero di Bitonto

Con una serie memorabile di dipinti, realizzati in un ampio arco di tempo, il grande artista coglie l'essenza della città, riflessa nel caratteristico sistema delle tre piazze

Abbiamo già avuto modo di celebrare la figura di Francesco Speranza quale cantore dell’architettura minore (clicca qui) della città antica di Bitonto, attraverso una lettura tematica della sua produzione artistica, che comprende diversi dipinti su vicoli anonimi (clicca qui) e spazi dimessi (clicca qui) del tessuto urbano, appartenente alla cosiddetta scesciola (clicca qui). La particolare forma labirintica, quest’ultima, assunta nel medioevo da quella porzione di territorio urbano. Ma, in realtà, l’artista ha saputo decantare anche la grandezza e l’imponenza del suo paese natìo, raffigurando gli spazi che hanno un carattere più aulico e rappresentativo, decisamente più monumentale.

È il caso, ad esempio, del sistema delle tre piazze, così come viene definito, dalle amministrazioni comunali che si sono succedute più recentemente: l’ambito composto dalla più antica Piazza Cavour e dalle ormai storicizzate Piazza Marconi e Piazza Moro. Gli amministratori, difatti, hanno posto una particolare attenzione su questo sistema, non solo dedicando ad esso vari focus ed eventi, ma attivandosi concretamente nella messa a punto di progetti per la sistemazione urbana di tali spazi. Proseguendo in questa disamina tematica dell’opera di Speranza, oltre a soffermarci sulla descrizione delle opere relative proprio a questo ambito urbano, vale la pena evidenziare, a grandi linee, la trasformazione che esso ha subito, mediante il raffronto di una serie di vecchie cartoline e immagini di un tempo che fu.

Dipinto “Porta Baresana” del 1943,
Porta e Piazza Cavour viste dal loggiato del Palazzo Sylos-Calò

Piazza Cavour

Partendo da Piazza Cavour è interessante evidenziare, innanzitutto, come il pittore nei dipinti che realizza su questo spazio restituisca solo le viste di tre lati, evitando di raffigurare proprio quella più scontata, che poi rappresenta la quinta di fondo per chi varca l’ingresso alla città antica, quella che guarda Palazzo Sylos-Calò, che oggigiorno sembra ispirare, appunto, tantissimi fotoamatori. Speranza, invece, sceglie il loggiato del Palazzo Sylos-Calò, come punto di osservazione per effettuare una ripresa dall’alto e comporre nel 1943 Porta Baresana. È la sua prima tela sulla piazza: una visuale aperta sullo spazio urbano, serrata tra il Palazzo De Ferraris-Regna ed il Torrione Angioino. Il punctum del quadro ovviamente è la principale porta urbica, sulla quale nell’Ottocento sono intervenuti architetti come Giuseppe Gimma (clicca qui), per il restauro, e Francesco Lerario (clicca qui), per l’installazione dell’orologio. Il punto di vista, che corrisponde precisamente all’estremità destra del loggiato, è accuratamente scelto dall’artista per lasciar intravedere, tra il Torrione e la Porta, l’intero piano di fondo di piazza Moro, connotato dal campanile, dalla chiesa di San Francesco da Paola, con il suo inconfondibile profilo mistilineo, e dall’annesso convento dell’Ordine dei Minimi.

Cartoline storiche su Piazza Cavour,
sotto due immagini riprese dall’estremità sinistra
del loggiato del Palazzo Sylos-Calò

Dal dipinto di Speranza emerge l’immagine consolidata che la piazza aveva prima ancora che fosse portato alla luce il fossato del Torrione e fosse appianato il livello della pavimentazione, oltre il precedente sgombero di tutte le superfetazioni che in parte ostruivano la visione stessa del Torrione. Il dissotterramento del fossato ha donato una nuova veste all’aspetto dello spazio, trasformandone fortemente l’assetto. Nella tela la conformazione della piazza, con la sua forma irregolare, dettata dai vari corpi di fabbrica, appare regolarizzata dal disegno dei marciapiedi, sui quali un tempo prendevano posto i caratteristici chioschi in legno colorati di giallo o di verde, che vendevano gelati a limone, dolci filanti, stecche di liquirizia e caramelle di zucchero. Lo spazio, inoltre, è reso vitale dalla teatralità di figure umane disposte secondo uno spiccato spirito di geometria, che è proprio di Speranza. In questa tela e nelle altre due opere che di seguito vedremo sulla piazza è fortemente accentuato e visibilmente percepibile: personaggi abbinati, allineati e raggruppati sul centro della piazza tratteggiano figure geometriche concluse e ben precise.

Opera “Piazza con Castello” del 1945,
ripresa dalla loggia del Palazzo De Ferraris-Regna

Dopo due anni da questa prima opera, nel 1945, il pittore realizza ben due dipinti sempre su questo spazio urbano, con viste rigorosamente frontali e contrapposte tra loro. È assai probabile che l’artista, com’era solito procedere, abbia lavorato simultaneamente alle due tele. La prima, intitolata semplicemente Piazza Cavour, è una vista frontale sul lato che guarda verso Palazzo Regna. La parte di questo edificio con l’oculo in cima segna il centro esatto della tela, un particolare che rende ravvisabile quel suddetto spirito geometrico di Speranza, anche in fase di impostazione. Il tono rosato di questo corpo centrale sembra mescolarsi con altri colori fino ad espandersi su tutta la tela, la quale è animata da figure collocate sempre in maniera meticolosa e controllata: le ritroviamo sugli usci delle porte, in corrispondenza dei vuoti delle vie trasversali, e soprattutto a sottolineare gli estremi ancora dello stesso corpo di fabbrica centrale. Il quadro appartenuto al grande collezionista di opere d’arte Mino Devanna, è oggi conservato nella sala dedicata a Speranza all’interno della Galleria Nazionale.

Sempre nello stesso anno l’artista dipinge Piazza con Castello, la seconda opera, nella quale rappresenta il lato opposto, quindi il controcampo di Piazza Cavour, ancora una volta secondo una vista perfettamente frontale, ripresa dalla loggia sovrastante il portale d’ingresso del Palazzo De Ferraris-Regna. I due monumenti principali della piazza, il Torrione Angioino, con la sua consistente massa, e la Chiesa che fu dei Teatini, definiscono gli estremi della scena rispettivamente a sinistra e a destra. Anche in questo dipinto le figure sono disposte secondo un criterio geometrico, raggruppate su due piani distinti. Sul primo si trovano per lo più persone adulte, quindi appaiono in sequenza una serie di lavoratori: il conducente di un carro, carico di fascine e un bimbo seduto sopra, rincorso da un cane, a seguire un uomo a cavallo, ed infine una coppia di agricoltori, un uomo con la zappa appoggiata sulla spalla e una donna con una cesta in mano. Sul secondo piano sono disposti due gruppi di bambini, ognuno composto di tre, intenti a giocare con degli aquiloni, che restituiscono all’opera un carattere più giocoso e ludico.

Dipinto “Porta Baresana” del 1977,
la porta principale dell’abitato antico vista dalla parte esterna della città

Dopo un ventennio, nel 1977, Speranza dipinge nuovamente Porta Baresana riprendendo questa volta la porta principale dell’abitato antico dalla parte esterna della città, quindi un controcampo rispetto alla prima tela realizzata su Piazza Cavour. Nel dipinto si accostano le fabbriche che contraddistinguono lo spazio, strette tra l’edificio sede degli Uffici Comunali e la Porta urbica: il Castello, la facciata laterale della Chiesa dei Teatini e una parte del Palazzo Sylos-Calò. Il pittore, per raffigurare quest’opera, sceglie un punto di vista ad altezza d’uomo molto preciso, che porta a far coincidere l’estremità della base del Torrione con il filo della facciata della Chiesa di San Gaetano, segnando peraltro il centro tra la distanza tra il Castello e la Porta Baresana: un dettaglio che dimostra ancora una volta un marcato senso geometrico fondamentale per la composizione della scena illustrata. Nella rappresentazione laterale della chiesa di San Gaetano, Speranza si prende una licenza poetica, invertendo nella trattazione della facciata le sagome delle bucature presenti: le finestre arcuate poste in alto, che inondano di luce la navata centrale, diventano piatte, mentre quelle piatte sottoposte diventano arcuate. Omette, infine, anche la partizione della facciata con le lesene, particolari che, invece, erano stati coerentemente rappresentati nello scorcio della chiesa in Piazza con Castello.

Opera “Controluce del mio paese” del 1949,
Piazza Moro vista dal balcone di Palazzo Luise

Piazza Moro

Passiamo all’attuale Piazza Aldo Moro, nota nell’Ottocento come Largo del Borgo, intitolata originariamente a Vittorio Emanuele II e solo in seguito alla consorte di Re Umberto I, la regina Margherita di Savoia. Lo spazio, come si rileva dalla mappa del 1734 pubblicata nel volume di Teresa Colletta intitolato Piazzaforti di Napoli e Sicilia, che raccoglie “le carte Montemar“, era già delimitato dalle due radiali che si diramano dalla Porta Baresana, ossia il Corso, la strada per San Leone e la marina, e la via per Giovinazzo, corrispondente all’odierna via Repubblica. Tra il 1773 e il 1779, la piazza a seguito della ricostruzione della Chiesa di San Francesco da Paola e del convento dei Paolotti, da parte del sacerdote-architetto bitontino Nicola Pasquale Valentino, raggiunge la sua configurazione di forma triangolare, con la definizione del terzo lato. Tuttavia riceve la sua prima sistemazione negli anni Venti dell’Ottocento in occasione del restauro della Cisterna del Corso (clicca qui), ad opera dell’architetto Giuseppe Gimma. Piazza Moro è messa in scena da Speranza con l’opera Controluce del mio paese del 1949. È un affascinate dipinto nel quale tutta la rappresentazione si concentra orizzontalmente nella parte centrale, creando una particolare tensione attraverso la sapiente divisione tra due fondi sopra e sotto, che sono cielo e terra. Anche qui la piazza è ripresa dall’alto, e più precisamente dal balcone della casa del fratello Peppino, il quale abitava al secondo piano di Palazzo Luise: l’edificio progettato, nella seconda metà dell’Ottocento, dall’architetto Michele Masotino, il quale sperimenta il tema tipologico del casino di campagna su di una fabbrica urbana mediante il rientro in facciata. Questa dimora oggi è occupata dalla nipote Anna Maria Speranza, la più piccola delle tre figlie di Peppino, con il marito, il prof. Rocco Berardi, e il figlio Angelo: custodi di una piccola parte del patrimonio che Francesco Speranza ci ha lasciato in eredità.

Cartoline storiche su Piazza Moro

Il pittore nel dipinto su Piazza Moro raffigura, sempre in modo frontale e con grande dovizia di particolari e cura maniacale, la cortina dei palazzi disposti lungo Corso Vittorio Emanuele II. Il fronte continuo è oscurato dall’ombra propria degli edifici, e proietta ombra anche per terra, interrotta però dalla luce che filtra dalle due vie trasversali, ovvero Via Frà Antonio Scaraggi e Via Pietro Colletta. Anche i lecci della piazza disegnano sul suolo pavimentato le ombre delle chiome. Speranza in maniera accorta dipinge unicamente il filare di alberi che si trova lungo il Corso, mentre omette la rappresentazione di quelli dislocati sul fronte opposto, per evitare uno sgradevole impasto e, quindi, che l’ombra dei primi si sovrapponesse alla chioma degli altri. Il quadro è vitalizzato dalla presenza di alcune figure collocate ai margini della piazza e sul Corso, le quali sembrano assecondare l’intervallo e il ritmo delle alberature. Altre, invece, giustapposte sulla piazza, sono più libere, ma comunque cadenzate e allineate. Vi sono un cane, che segna il centro del quadro, seguito da un garzone che porta sulla testa il grande vassoio in lamiera usato per infornare biscotti e taralli (la spasaràule), ed un uomo con la cesta sotto braccio.

Piazza Aldo Moro, salita già alla cronaca anni or sono per il progetto di un parcheggio interrato con la relativa sistemazione del suolo, oggigiorno è nuovamente al centro dell’attenzione per il ridisegno della piazza, che vede il lato in prolungamento di Via della Repubblica sgombro da alberi. La soluzione progettuale adottata prevede, infatti, l’espianto dei lecci su quel lato e la messa a dimora altrove. Paradossalmente la soluzione ricalca quella artificiosa scelta dal pittore Speranza che, come abbiamo visto, evita di rappresentare lo stesso filare di alberi per motivi funzionali alla scena.

Foto storiche datate luglio 1882,
Piazza Vittorio Emanuele II (Piazza Moro) e Piazza Plebiscito (Piazza Marconi) viste dalla sommità di Porta Baresana

Allo stato attuale le alberature sono collocate solamente su tre lati della piazza mentre il quarto, quello rivolto verso la città vecchia è privo di alberi, permettendo di apprezzare meglio il monumento dedicato a Tommaso Traetta rivolto nella stessa direzione. L’illustre musicista bitontino, che si eleva su di un podio eretto nel 1957, è raffigurato mediante una statua in bronzo eseguita dallo scultore ruvese Giuseppe Pellegrini (1886-1966), mentre ai suoi piedi si stende lo stemma della città, realizzato nel 1983, con un gran lavoro di intarsio, dal maestro scalpellino Graziano Lisi. In passato, invece, anche su questo lato girava un albero da una parte e dall’altra, mettendo in risalto quell’edicola metallica, di forma esagonale e base in pietra, installata nel 1905 per la vendita dell’acqua del Serino, successivamente spostata nella Villa comunale.

Andando a ritroso nel tempo appare molto interessante la visione della piazza in una vecchia fotografia, datata luglio 1882, ripresa dalla sommità della Porta Baresana. Da questa si evince che il parterre della piazza è misurato sulla facciata dell’ex convento dei Paolotti, ripartita in sette campate da lesene abbinate. Anzi gli stessi filari degli alberi, che allora erano sei, tre per ogni lato lungo, erano disposti seguendo l’asse di ogni campata, quindi delle aperture in facciata, lasciando un vuoto sulla piazza in corrispondenza di quella centrale, sulla quale campeggia una meridiana. Inoltre, sui filari più interni al centro alcuni alberi erano soppressi per far posto a delle sedute in pietra, rigorosamente senza schienale: una soluzione che oggigiorno avrebbe la disapprovazione di tanta gente. Considerando la data certa della fotografia, è assai probabile che quella sistemazione sia stata frutto di un progetto dell’architetto Michele Masotino, che in quel periodo ricopriva l’incarico di dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale. Un’ipotesi questa che, tuttavia, non trova alcun riscontro nei documenti di archivio.

Dipinto “Piazza degli Oleandri” del 1950,
Piazza Marconi vista dal balcone di Palazzo Luise

Piazza Marconi

Vediamo infine il dipinto Piazza degli Oleandri del 1950, nel quale più aleggia un’atmosfera onirica e dal forte sapore nostalgico. Speranza esegue una vista sull’odierna Piazza Guglielmo Marconi, ripresa sempre dal balcone della casa del fratello Peppino, difatti, sembra essere la prosecuzione ideale del dipinto Controluce del mio paese. Il punto di vista è tale da non permettere la visione di Via Cappuccini, l’odierna Via Traetta, ma lascia intravedere Via Alessandro Volta: strada che costeggia la chiesetta di San Matteo, l’antica Cappella nobiliare della famiglia Bove e il tratto di mura asburgiche. Sono pure visibili sul fondo a sinistra Palazzo Ventafridda, oggi sede del Commissariato di Pubblica Sicurezza, e a destra il più alto Palazzo Pannone, progettati entrambi dell’architetto Luigi Castellucci. Sempre sullo stesso lato, è riconoscibile in primo piano, inoltre, l’edificio degli uffici comunali dell’anagrafe, nato come Palazzo delle Poste Regie su progetto dell’architetto Giuseppe Masotino, in sostituzione della Regia Curia: la precedente grande fabbrica addossata al Torrione, che ne aveva colmato il fossato. Nel ventennio fascista l’edificio attuale è stato anche sede della Casa del Fascio: i segni di questa destinazione d’uso sono ancora visibili nel disegno del lucernario delle scale.

La titolazione poetica dell’opera di Speranza deriva ovviamente dal tipo di alberi piantumati sulla piazza. Gli oleandri per il vero sono visibili soltanto sul tratto rettilineo, e non girano pure sul perimetro del giardinetto circolare, come si vede in tante cartoline storiche, coeve al dipinto. Sulla rotonda, invece, spiccano solo alte palme. La scena della piazza, molto suggestiva, evoca nostalgia per un tempo passato, privo di veicoli e automobili che oggi intasano quello spazio urbano nevralgico. Vi è solamente un andirivieni di carri trainati da cavalli, gruppi ordinati di persone che stazionano sui marciapiedi o quelli sulla piazza, cadenzati con lo stesso passo dei pali dell’illuminazione, ed infine una scolaresca guidata da suore.

Cartoline storiche su Piazza Marconi

Piazza Marconi, per la sua particolare forma è comunemente nota come “la frisola”. Originariamente era denominata Piazza Plebiscito, e poi nel ventennio fascista Piazza dell’Impero. Inizialmente lo spazio urbano era caratterizzato soltanto dalla rotonda, che in un primo momento era priva di vegetazione: solo successivamente viene recintato e sistemato come parterre. In seguito viene aggiunto il tratto rettilineo, il cosiddetto “manico della frisola”, che in principio era più lungo di quello attuale, infatti, arrivava fino all’altezza del marciapiede del Corso, allineandosi a Porta Baresana, ma era staccato dalla rotonda, come si evince attraverso diverse cartoline storiche. Solamente dopo, quando subisce l’accorciamento, viene accorpato al giardino circolare, dando vita alla fine a quella tipica forma che la contraddistingue. In questa successione di trasformazioni si susseguono diverse figure di progettisti, come il già più volte menzionato architetto Michele Masotino e il figlio, l’architetto Giuseppe Masotino succeduto al padre nella direzione dell’Ufficio Tecnico Comunale, operanti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, e l’ingegner Domenico Binetti, intervenuto negli anni Cinquanta del Novecento.

Quando il tratto rettilineo era più lungo dell’attuale, sulla punta terminale si ergeva il Monumento ai Caduti realizzato dal noto scultore molfettese Filippo Cifariello (1864-1936), inaugurato nel 1925 e distrutto nel 1940 per esigenze belliche, con il metallo fuso per gli armamenti. Il monumento raffigurava un soldato nudo che s’imponeva su di un globo, in atto di sottomettere l’Austria vinta. Il soldato, rappresentato secondo quella nudità eroica, emulava la scultura dell’antichità greco-romana, ritenuta oscena dalle autorità ecclesiastiche, motivo per cui l’autore era stato duramente criticato. Tuttavia di quel monumento si è salvata soltanto la testa del Fante, conservata oggi nella Galleria Nazionale Devanna.

Gli oleandri che un tempo erano lì piantumati sono stati sostituiti dagli attuali platani. Anche le vecchie palme del giardinetto circolare sono state via via sostituite. Un nuovo monumento, dedicato ai caduti di tutte le guerre, è stato costruito nel 1975 proprio sulla rotonda, con un’opera non più figurativa, ma contemporanea, caratterizzata da un’intelaiatura metallica, progettata dall’architetto Antonio Scivittaro. Cinque anni più tardi, nel 1955, Speranza esegue un’opera intitolata Piazza Marconi. Si tratta di una vista trasversale dello spazio urbano, ripresa ad altezza d’uomo, che guarda il punto da cui si diramano Via 14 marzo 1848, Via Crocifisso e anche Via Traetta. Sulla sinistra si vede il vecchio edificio, poi demolito per far posto ad una nuova palazzina. Nel dipinto lo spazio reale viene molto alterato dall’artista, ovviamente sempre per motivi funzionali alla scena, difatti appare compresso oltre misura in profondità. La stessa “manica della frisola” viene rappresentata in modo piuttosto sottile e con un solo filare di oleandri. Dietro questa realtà fittizia c’è tutta la maestria del pittore sul controllo dello spazio, che riesce a far risultare questo ambito urbano dilatato, contenuto e particolarmente impreziosito dalla presenza di varie figure. Dal dipinto è stata ricavata anche una serigrafia vivacemente colorata e realizzata dal poliedrico e valente artista Salvatore Ambrosi, scomparso qualche anno fa e che è opportuno qui ricordare.

Opera “Piazza Marconi” del 1955, e serigrafia dell’artista Salvatore Ambrosi.
La riproduzione della serigrafia è di Giuseppe Fioriello

Con questa serie di opere, pur se realizzate in un arco temporale piuttosto ampio, Speranza fissa su tela i luoghi visti in un dato momento storico, ponendo l’attenzione sul nodo nevralgico e al contempo rappresentativo della città, il cuore di Bitonto, composto da un trittico di spazi urbani, che si articola secondo una continuità fluida. Il pittore è stato capace di coglierne l’essenza, mediante una narrazione per piani successivi e una scelta ben precisa di viste prospettiche frontali, rilevabile soprattutto nell’insieme di opere costituito da Controluce del mio paese, Piazza degli Oleandri e Piazza con Castello. È questa, in filigrana, la grande lezione del maestro e il suo fondamentale contributo alla lettura della città, non certo facilmente riscontrabile dalle immagini storiche. Ancora una volta questo tipo di approccio alla realtà, che si riflette nella sua opera, dimostra la caratura del pittore Speranza, figura autorevole e autoriale.

Trittico. © Foto di Domenico Fioriello.
1) Testa del Fante, unica superstite del Monumento dei Caduti dello scultore Filippo Cifariello. 2) Monumento a Tommaso Traetta con scultura bronzea dello scultore Giuseppe Pellegrini 3) Lucernario delle scale dell’Ufficio Anagrafe, ex Casa del Fascio

Nella foto in alto, l’opera “Piazza Cavour” del 1945, conservata nella Sala Speranza della Galleria Nazionale Devanna