Speranza cantore di una Bitonto “minore”

Prosegue l'analisi delle opere del celebre pittore, con una serie di dipinti il cui filo rosso è rappresentato dai camminamenti della cinta muraria del borgo antico

Nella lettura delle opere realizzate da Francesco Speranza sulla città di Bitonto, ordinate per temi o ambiti, abbiamo già visto un insieme di dipinti che ha come motivo conduttore la Lama Balice (clicca qui), in cui i paesaggi raffigurati si muovono tra una dimensione urbana ed una più naturale. Continua qui, sotto quest’ottica, l’analisi dei lavori dell’artista, con paesaggi più propriamente urbani, relativi alla scesciola (clicca qui) – la forma labirintica assunta dalla città antica in epoca medievale – che poi costituiscono il corpus principale della produzione del pittore.

Sulla città vecchia, Speranza esegue una serie di tele, in cui sono rappresentati i luoghi a lui cari, che è possibile raggruppare per diversi temi, quali: piazze, piazzette, strade, vicoli. In particolare vi è un ciclo di opere, sul quale focalizzeremo ora la nostra attenzione, che ha come filo rosso il circuito dei camminamenti: il sistema che collegava tra loro le varie torri di fortificazione, addossato all’antica cinta muraria (clicca qui).

Queste opere le conosciamo attraverso i vari cataloghi, stampati in occasione delle mostre sull’artista, purtroppo con immagini solo in bianco e nero, e non sappiamo se, effettivamente, quelle che vedremo costituiscono l’insieme completo di questo tema o ve ne sono altre non pubblicate. Le opere appartengono a collezioni private e, fatta eccezione per una, hanno tutte un taglio verticale. È interessante ordinarle secondo una sequenza spaziale, più che temporale, seguendo un preciso percorso: partendo da Porta Pendile fino ad arrivare a Porta La Maja.

In questo senso, la prima di queste è “Santa Maria La Porta”: un dipinto del 1937, che riproduce il sito ubicato nei pressi di Porta Pendile. Nella veduta, l’artista non sembra tanto interessato a rappresentare la facciata della chiesa, quanto a porre la sua attenzione sugli spazi ad essa annessi, caratterizzati da una sequenza di piani sovrapposti, che costeggiano Via del Sasso,la strada laterale che sale.

“Santa Maria la Porta”, 1937

Il luogo è irriconoscibile, in virtù delle diverse trasformazioni che questi spazi hanno subito nel corso del tempo. Il muro davanti presenta un portale dalle forme catalane, mentre nel primo ambiente interno si erge un campanile a vela: entrambi elementi demoliti in occasione degli interventi effettuati tra il 1950 e il 1960, quando è stato costruito l’attuale campanile e il nuovo corpo di fabbrica contiguo all’edificio di culto. Anche il piazzale antistante è diverso da come lo vediamo attualmente. Era stato sistemato così, assieme alla facciata della chiesa, nel 1889 su progetto dell’architetto Giuseppe Masotino, quando contestualmente veniva presa la sciagurata decisione di abbattere Porta Pendile.

La scena del quadro, comunque, offre un’idea abbastanza chiara del grande fermento di vita, che c’era una volta in luoghi come questo: Via del Sasso è animata da tante figure che si muovono sulla strada, poi c’è chi si affaccia da una porta o da una finestra. Sul piazzale, invece, un gruppo di persone è intento a giocare a palla, mentre altri, persino adulti, posti davanti al portale, assistono alla partita. Sempre in corrispondenza del portale, ma in primissimo piano, vi è un uomo che, a piedi, conduce un cavallo bianco per le redini, mentre come contrappunto, sul terrazzo in alto, in relazione alla bucatura dell’ultima quinta, appare una donna affaccendata nella stesura dei panni. La posizione di quest’ultima figura sembra determinata proprio dallo spostamento delle bucature, che si susseguono sui vari piani, rispetto a quella del portale di sotto: una sottigliezza che, nella composizione scenica del quadro, mette in evidenza chiaramente lo spirito geometrico di cui Speranza era dotato.

A sin. “Civilizio” del 1977, a destra “La scala a Bitonto” del 1946

Ancora in prossimità diPorta Pendile vi è un altro spazio riprodotto su tela, in un’opera del 1977, intitolata “Civilizio”: nome preso dal quartiere al quale il luogo appartiene, che si è sviluppato nella parte più bassa dell’abitato antico, comunemente noto anche come “Cicciovizzo”. Il vicolo raffigurato, peraltro molto stretto, è Corte Labini: appare vuoto, privo di anime. Il pittore, quindi, affida interamente all’architettura la narrazione dello spazio, incentrata su di una scala che, nel sovrapporsi dei rampanti, nella sua semplicità, scenograficamente s’impone come fondale.

Sempre su Via del Sasso, ma dalla parte opposta rispetto a Porta Pendile, nel 1969 Speranza riprende l’ambiente di “Casa con pergolato”, un dipinto, anche questo senza figure, con una fontana in primo piano, che si staglia sull’edificio scelto come vero punctum dell’opera, dal quale appunto deriva il titolo. Di questo lavoro vi è un’altra versione, con una vista più ravvicinata, in cui non appare la fontana, ma vi sono due bimbe sull’uscio della casa adiacente a quella con il pergolato, modificata leggermente sulla facciata. Un esempio, questo, che non rappresenta certo un caso isolato nella produzione del pittore, tanto è vero che esistono altre doppie versioni di uno stesso luogo, che ci fanno capire, ancor più, il forte attaccamento di Speranza a determinati contesti urbani.

“Casa con pergolato”, 1969

In “Casa con pergolato”, comunque, l’artista raffigura un angolo della Piazzetta Giovanni Pietro Fortinguerra, lo spazio urbano realizzato in corrispondenza del lungo bastione piatto, presente sulle mura di cinta, sul quale attualmente si eleva un alto edificio e si attesta la rampa che permette l’accesso alla città antica da Via Solferino: lo stesso punto da cui egli, nel 1948, aveva ricavato la veduta dell’opera Campagna di Bitonto (clicca qui). 

Questo continuo ritornare sui luoghi da lui prediletti, nominati giustamente “luoghi di Speranza”, in forma quasi ossessiva, è uno degli aspetti che contraddistingue la produzione del pittore sulla città di Bitonto. Non a caso, nel 1946, appena due anni prima dall’ultima opera citata, riprende uno spazio che si trova di lì a pochi passi in “La scala a Bitonto”. Un lavoro sui generis dell’artista, quasi minimalista, nel quale tra i bordi della tela, segnati dalle fabbriche da cui nasce Muro Macello, l’odierna Corte Giovanna di Aragona, emerge la massa muraria in cui è scavato il semplice rampante della scala protagonista, sormontata da un’inferriata dal disegno filiforme, che restituisce un tocco più espressivo al quadro.

“Case rustiche di Bitonto”, 1941

Anni prima, invece,nel 1941, Speranza riproduce, in “Case rustiche di Bitonto”, un tratto dei camminamenti della cinta muraria, che prende il nome di Muro Porta Robustina: un dipinto straordinario, in cui il pittore mostra la sua grande capacità nel saper cogliere l’identità e le qualità di uno spazio urbano piuttosto anonimo.

Il luogo non è facilmente identificabile, solo un occhio attento riesce a riconoscerlo. Il maestro, infatti, attraverso un artificio, svela anche la sua abilità nell’invenzione del paesaggio, allarga di molto la prospettiva per rappresentare al meglio la sequenza dei corpi scala sulle facciate: alcune puntualmente arricchite, ai piedi o in cima, da figure di donne e bambini, mentre altre liberamente si muovono per la strada. Una vista ben diversa dalla realtà, che non sarebbe possibile ottenere con nessun dispositivo fotografico. Solo con questo espediente, Speranza, riesce ad evidenziare i segni significativi, che in successione disegnano quel luogo, connotato da un’architettura dignitosa, ma alquanto povera.

A sin. “Bitonto con pecora” del 1948, a destra “Paesaggio di Bitonto” del 1957

A seguire, è interessante legare a questo ciclo di opere, anche se non strettamente correlati al tema dei camminamenti, i dipinti “Bitonto con pecora” del 1948 e “Paesaggio di Bitonto” del 1957, che rappresentano, pure questi, con un punto di vista leggermente differente, una doppia versione dello stesso ambiente. Il luogo raffigurato è Vico Maiullari,uno spazio che ha conservato la quota originaria della città antica, rispetto al livello determinato nel Cinquecentodalla realizzazione dell’impianto fognario urbano. Nella prima versione compare un uomo barbuto che, tenendo al guinzaglio una pecora, sale le scale allontanandosi dalla casa, volgendo lo sguardo alla sua cara, che lo saluta dalla loggia della propria dimora. Nell’altra, invece, in una vista più avanzata e senza figure, quindi, senza alcuna distrazione, si riescono ad apprezzare meglio le qualità intrinseche del luogo, dove, un’altra volta, le scale con i rampanti sono gli elementi protagonisti del quadro.

Ancora su Muro Porta Robustina, ma sul suo tratto finale,quando il circuito dei camminamenti della cinta muraria termina per innestarsi su Via San Giorgio, il pittore, nel 1963, imposta un’altra opera. La titolazione “Pescivendolo” deriva dal personaggio presente: un venditore ambulante che, con un canestro stretto alla vita e la mano alla bocca, cerca di richiamare l’attenzione, mentre una donna affacciata alla finestra della sua abitazione, calando una cesta, mostra chiaramente l’intenzione di voler acquistare la merce.

“Pescivendolo”, 1963, e disegno

Oltre la figura umana principale, comunque, c’è un elemento architettonico che forse cattura di più lo sguardo, che segna veramente il centro della tela: una di quelle invenzioni che il maestro era solito introdurre in alcuni casi. Qui, infatti, è riportato un oculo modanato, con una croce all’interno, quasi a testimoniare la presenza di una chiesa che in quel punto, in realtà, non c’è mai stata. Si tratta di un elemento preso a prestito sicuramente da un’altra fabbrica: la vecchia chiesa di Sant’Eligio, che si affaccia su Piazza Accademia degli Infiammati,unedificio che il pittore conosce molto bene, avendo eseguito, anche in questo caso, due varianti dello stesso spazio. Del resto, a dimostrazione di quanto detto, vi è un disegno che ricalca il dipinto “Pescivendolo”, privo di figure, in cui questo elemento manca.

Nel 1953, un decennio prima, sul tratto dei camminamenti di Via Raffaele Pasculli, Speranza illustra il punto in cui la strada interseca Vico Giandonato Mezzafalce, dove tutt’ora sono presenti gli inconfondibili paracarri, nell’opera dal semplice titolo “Paesaggio”. Nella veduta, attraverso un riquadro rettangolare ricavato tra gli edifici prospicienti la via, si scorge la città antica, mentre davanti passa un agricoltore che segue a piedi il suo mulo.

Infine un dipinto, del quale però non si conosce il titolo, eseguito qualche anno dopo, nel 1957, o perlomeno questa è la data appena decifrabile sull’immagine trovata sul web, che raffigura il vicolo, molto suggestivo, di Muro Santa Maria del Monte Carmelo. Il luogo, adiacente Piazza La Maja, si trova subito a sinistra di chi entra dall’omonima Porta, quella stessa porta che appare in “Paesaggio con arco“. È un lavoro dal sapore metafisico, nel quale il pittore enfatizza le qualità spaziali attraverso un gioco di luci ed ombre, che disegnano le superfici.

A sin. “Paesaggio” del 1953, a destra opera senza titolo del 1957

Nella lettura di questo ciclo di opere emerge un aspetto della figura di Speranza, a mio avviso, tralasciato dalla critica, che certo ha saputo decantare, in modo del tutto condivisibile, altre sfaccettature di una grande personalità: il suo temperamento, il suo misticismo, i suoi colori, la sua palette, la sua tecnica pittorica. Il nostro amato pittore, per di più, con questo insieme di dipinti è stato veramente il cantore di quell’architettura minore, dimessa, manifestando, di volta in volta, un grandioso, e forse anche ineguagliabile, legame a questi luoghi anonimi della sua terra d’origine. Nella scelta degli ambienti illustrati vi è del prodigioso, perché in tempi non sospetti ha saputo riconoscere il valore di una testimonianza storica delle costruzioni del passato, persino di quelle più modeste.

Nella sua produzione artistica non concentra solo ed esclusivamente l’attenzione al monumento della città antica, ma già considera un unicum monumentale tutto il tessuto edilizio del primitivo nucleo urbano, anche quello più spontaneo, quindi meritevole di essere narrato nelle sue opere. Insomma Speranza per i suoi tempi era troppo avanti: una personalità, a cui la città di Bitonto ha dato i natali, davvero impareggiabile.