Non si può non amare Francesco Speranza, l’artista di origine bitontina dall’animo gentile, umile, mite, generoso che attraverso tante opere, come pochi ha manifestato un particolare affetto per il paese natio. Emerge chiara dai suoi lavori una poetica che, con vigore, trae ispirazione e conforto proprio dalla sua terra d’origine, e che svela con splendore il valore di un’elegia che non si può dimenticare.
I luoghi rappresentati della sua amata città sono spazi vissuti dalla gente comune, in cui la stessa si riconosce, scelti dall’artista certamente per affezione, ma anche per la loro intrinseca bellezza e forte identità. Sono luoghi capaci di infondere aspettative, illusioni, speranze e di riscattare la città con le sue annose problematiche sociali. Sono “Luoghi dell’anima“, per il pittore, che potremmo definire, in virtù dell’espressione latina nomen omen, pure “Luoghi di Speranza“.

Analizzando il ciclo di dipinti realizzati da Speranza sulla città di Bitonto, senza tener conto dell’aspetto cronologico, bensì raccogliendo le opere secondo una disposizione ordinata per temi o ambiti, si presenta dinanzi uno scenario la cui lettura diventa estremamente stimolante. Un criterio a cui finora nessuno ha posto mai attenzione, che lascia spazio a diversi spunti di riflessione e nuove interpretazioni, e che probabilmente meriterebbe una sorta di catalogo ragionato dell’opera di Speranza sulla città di Bitonto.
Rileggendo il lavoro di Speranza sotto quest’ottica, non solo si adducono le motivazioni di alcune scelte da lui compiute, ma, in un certo qual modo, si riesce a rivalutare, in maniera più efficace ed esaustiva, la portata culturale della sua produzione artistica. Pittore paesaggista, Speranza, per la sua città, ha prediletto sia soggetti di paesaggi urbani che naturali. Tra i primi vi sono le piazze, le piazzette, i cortili, le strade e i vicoli, mentre per gli altri ci sono in generale le campagne, ma nello specifico, c’è un ambito naturalistico da cui l’artista è stato particolarmente affascinato e sul quale ha composto una serie di dipinti, che rivelano nell’insieme un quadro piuttosto intrigante.
Parliamo della Lama Balice o Vallone, così come era chiamato dai nostri nonni il solco erosivo in cui scorreva il Tiflis, divenuto ormai da anni Parco Naturale Regionale, e per il quale Speranza mostra un attaccamento molto forte. L’insieme delle opere su questo tema, ci dà l’idea di quanto, il pittore, adorasse questo luogo, e ci fa immaginare le sue passeggiate con il suo inseparabile carnet de voyage per gli appunti. Con i suoi dipinti Speranza evidenzia la vista privilegiata che la Lama offre della città, difatti con Paesaggio Italico (clicca qui) 1932 e Panorama del mio paese (clicca qui) del 1939, Speranza riprende attraverso la Lama, con mirabili visioni e senza precedenti, la città antica dal versante ad esso opposto, mentre con Case e orti del mio paese (clicca qui) del 1951, e Campagna di Bitonto (clicca qui) del 1948 propone delle vedute prospettiche della Lama Balice dalla città.


A quest’ultima opera è d’uopo affiancarne un’altra, che purtroppo è andata perduta durante il periodo bellico, come precisato dal prof. Nicola Pice, qualche tempo fa, in un commento di un suo post su facebook, corredato da un’immagine superstite del quadro, purtroppo in bianco e nero, di cui non si conosce titolo e data. Si tratta di una veduta frontale della Chiesa di Santa Teresa o Santa Maria del Popolo, con il relativo complesso conventuale, divenuto in seguito la sede del Liceo Classico. Il campo ripreso ha un punto di vista piuttosto alto, tipico di Speranza, a giudicare dalla prospettiva del ponte e della piazza antistante l’edificio di culto.
L’opera, pur se inquadrata da un’angolazione differente, con i cipressi presenti in alto a destra, dà l’impressione di essere l’ideale continuazione di Campagna di Bitonto. Anche qui si vede l’alveo del Tiflis coltivato, attraverso un orto ricavato quasi sotto il Ponte del Castellucci, ed è possibile ancora cogliere, in tutta la sua interezza, il muro a valle della cisterna per la raccolta dell’acqua di Santa Teresa, la cui visione oggi è stata dimezzata dalla realizzazione di un giardino a mezza costa.
La scena, con le sue architetture, sembra preparata per accogliere un’atmosfera festosa: l’andirivieni armonico di adulti e bambini, di carri e animali, fa assumere all’opera un carattere gioioso. Questa partecipazione corale di gente rappresenta in qualche modo un’eccezione rispetto alla regola, contrariamente a ciò che succede in tante altre opere di Speranza, in cui l’inserimento di figure umane, talvolta puntuale, diviene un gesto per rivitalizzare la composizione. Così come avviene in un altro suo lavoro dal titolo Paesaggio con arco.

Nella tela appare una sola donna che trasporta forse dei contenitori di acqua appesi ad un palo portato su spalla, seguito dal suo fido cane. La figura femminile fa da contrappunto ad un’edicola, non più esistente, circondata da pali per la segnaletica, su uno dei quali campeggia come indicazione la scritta “BITONTO”. Se il dipinto disperso sulla Chiesa di Santa Teresa è l’ideale continuazione di Campagna di Bitonto, Paesaggio con arco, un’opera che raffigura la Porta del Carmine, presa in maniera assiale dall’omonimo ponte,lo è di Panorama del mio paese.
Il titolo Paesaggio con arco, rivela quanto Speranza fosse affezionato al tema del paesaggio, ma soprattutto, quanto a lui fosse chiaro il concetto stesso di paesaggio, non legato necessariamente ad un ambiente esclusivamente naturalistico, ma anche ad uno urbano: idea questa che gli studiosi del settore hanno approfondito e chiarito meglio solo con il tempo. Diversi critici hanno sostenuto che Speranza abbia avuto un’impostazione paragonabile ai pittori del Quattrocento: un’affermazione riscontrabile nell’opera Paesaggio con arco, attraverso la rappresentazione che l’artista esegue proprio della Porta del Carmine.
Qui nel disegno della porta urbica il linguaggio architettonico adottato non è quello reale della “Maniera” cinquecentesca, in cui si alternano, nelle colonne e nell’arco, i conci diversamente lavorati, ma è quello asciutto della “Rinascita” che ha caratterizzato il Quattrocento appunto. Nonostante Speranza fosse minuzioso e attento nel riportare su tela ogni dettaglio, questo particolare rivela, in qualche modo, il suo pensiero artistico.
Volendo ritornare alla lettura del ciclo di opere di Speranza che ha come tema la Lama Balice, occorre rilevare che, nelle singole opere, oltre alla personalità artistica del pittore, viene fuori anche l’approccio fotografico, che abbiamo più volte evidenziato. Mettendo a confronto i vari dipinti sembra quasi delinearsi la figura di un architetto capace di tratteggiare delle sezioni trasversali significative dell’invaso: un’operazione non dissimile da quella che si è resa necessaria per la perimetrazione del Parco, con la ricerca del “ciglio più elevato”.

L’atteggiamento assunto da Speranza veramente è assimilabile a quello di un architetto o cartografico, che si pone l’obiettivo di rappresentare il territorio, sempre con doverosa minuzia, ponendo risalto al paesaggio antropizzato, segnalando le architetture e i segni del paesaggio urbano, naturale o rurale.
Con questa serie di opere, pur se realizzate in un arco temporale piuttosto ampio, l’artista in maniera inconscia, da grande premonitore, è stato in grado di anticipare una visione abbastanza precisa dell’invaso naturalistico, suggerendo e dando traccia di quello che è stato predestinato a divenire il Parco Naturale Regionale.
Speranza nel tentativo di visualizzare lo spazio reale della Lama con questo insieme di opere, attraverso un processo essenzialmente mentale governato dalla mente cosciente, ci ha restituito inconsapevolmente una visione con un processo molto più profondo legato alla sua intuizione superiore, che solo una personalità dotata di una grande sensibilità, fuori dal comune, come lui, poteva manifestare.
Nella foto in alto, la Chiesa di Santa Teresa, dipinto di Francesco Speranza disperso nel periodo bellico