Se ricostruire la scesciola, la forma labirintica assunta dalla struttura urbana alla fine dell’età medioevale, risulta piuttosto difficile per via delle profonde trasformazioni che il tessuto della città antica ha subìto nel corso dei secoli successivi, ricomporre idealmente il profilo del complesso sistema di fortificazione della cinta muraria, con le porte urbiche, l’insieme delle torri difensive e i camminamenti, nella conformazione raggiunta al termine di quel periodo, appare molto meno complicato.
Un’idea abbastanza precisa di questo sistema difensivo, infatti, possiamo averla grazie a due preziosissimi documenti storici sulla città di Bitonto, entrambi conservati alla Biblioteca Angelica di Roma: la pianta disegnata da Michelangelo Azzaro nel 1585 e l’altra, anonima, del XVI secolo.
Anche se le due mappe rappresentano in maniera piuttosto falsata la forma della città, non se ne può non riconoscere l’altissimo valore documentale, soprattutto per la rilevanza delle informazioni contenute, da cui si può desumere sia il profilo mistilineo della cinta muraria che le varie tipologie di opera di difesa. Inoltre dal disegno formale della cinta e dalla differenza tra le torri, si evince anche la diversità dei periodi in cui le opere sono state realizzate.
Attraverso il raffronto delle due mappe e la sovrapposizione delle stesse con i supporti di cui disponiamo attualmente, planimetrici e satellitari, si riesce a riconfigurare l’intera opera di fortificazione della città; ma non solo: tramite alcune misurazioni e considerazioni si deducono anche aspetti che finora non sono stati indagati, relativi ai rapporti geometrici esistenti tra queste opere.
La cinta muraria
La cinta muraria, che definiva il perimetro della città antica in epoca medioevale, è stata quasi del tutto demolita. Restano solo le tracce di brevi tratti e alcuni brani che costituiscono gli ampliamenti successivi. Questo perimetro, inoltre, è stato alterato dalle trasformazioni ottocentesche, che hanno rettificato e regolarizzato i fronti urbani extramurali, ridisegnandone in modo più netto il contorno, oggi chiaramente visibile attraverso il circuito stradale che circonda l’abitato antico.
La cinta muraria medioevale, invece, aveva un disegno che si sviluppava secondo una poligonale dal profilo mistilineo. I segmenti della spezzata, nella parte più antica, quella dove una volta sorgeva l’insediamento apulo, ossia in corrispondenza della chiesa di San Francesco d’Assisi, erano lineari e definivano con scarti repentini un profilo “seghettato”.
I tratti seguenti, poi, nell’assecondare l’andamento dell’alveo torrentizio, diventavano più sinuosi, fin dove ora si trova l’edificio dell’ex Macello di Via Solferino, per assumere, dopo, profili curvilinei che terminavano in prossimità della Chiesa dell’Annunziata. Quest’ultima parte nei due documenti storici citati, al contrario, appare rappresentata in modo lineare, quindi difforme dalla realtà. Oltre la chiesa, la cinta muraria proseguiva con un lunghissimo fronte, composto da due tratti lineari, con poche torri, di poco disallineati tra loro e di pari lunghezza, convergenti su di un centro, definito da Porta Baresana: la porta urbica principale.
La posizione baricentrica di Porta Baresana, sul lungo fronte, non sembra certo essere casuale, anzi induce a pensare che, se da una parte, a sinistra di chi guardava dall’esterno la città la presenza del grande alveo torrentizio avesse stabilito il limite naturale della città antica, dall’altra, a destra, dove non vi era nessun ostacolo a determinarne il limite, sembra che a definirlo sia stato proprio il riporto della stessa distanza, ossia quella che intercorre tra la Porta e la Lama.
Forse dietro questa intenzione vi era la precisa volontà di far percepire la città con una visione perfetta, la porta centrata sul fronte più rappresentativo, lineare, in contrapposizione al resto della cinta muraria, la cui configurazione piuttosto articolata era dettata dall’orografia.
Le porte urbane
In prossimità dei punti di accesso alla città la cinta muraria era interrotta dalle porte urbane.
Entrambe le mappe della città riportano, oltre le 4 porte originarie (Porta Baresana a nord, Porta La Maja a est, Porta Pendile a sud e Porta Robustina a ovest) una quinta porta detta, comunemente, “Porta Nova”, il cui varco doveva trovarsi in corrispondenza all’odierna Via Cesare Cantù e non come molti erroneamente sostengono ubicata a lato della Chiesa dell’Annunziata.
Delle cinque porte che costituivano l’accesso alla città antica solo due sono state conservate: Porta Baresana e Porta La Maja. Le altre sono state demolite nell’Ottocento.
Le due porte sopravvissute, costruite in epoca medioevale, si presentano attualmente sul fronte esterno, con un impaginato architettonico più classicista, tardorinascimentale, con una statua di Madonna in cima: l’Immacolata su Porta Baresana e la Madonna del Carmelo su Porta La Maja. Non è da escludere l’ipotesi che la presenza della figura della Vergine, in entrambi i casi, sia stato un buon motivo della mancata demolizione delle due porte.
Le torri
Sul perimetro la cinta muraria urbana era orlata da una serie di torri, delle quali purtroppo pochissime sono quelle che rimangono in piedi. La gran parte di queste è stata demolita. Di quelle esistenti alcune sono state trasformate e adibite ad abitazioni. Tra queste, poi, pochissime sono visibili, altre sono state inglobate nel tessuto edilizio.
Dal confronto tra i due documenti storici emerge una discordanza sul numero delle torri, una diversità riguardante comunque solo il tratto tra Porta La Maja e Porta Pendile. Infatti nella mappa dell’Azzaro le torri sono 28, mentre nell’altra 30. La gran parte degli storici locali che ha scritto sull’argomento, riporta sempre come dato, nelle varie descrizioni, ventotto torri, evidentemente riferendosi alla sola mappa dell’Azzaro.
Occorre innanzitutto precisare che per alcune di queste opere è improprio parlare di torri perché l’aspetto è quello di piccoli bastioni, mentre le torri vere hanno le forme di figure geometriche elementari: molte a base quadrata, altre a base triangolare, “a sperone”, infine alcune circolari, chiamate “castelli”. Nello specifico il numero di queste opere difensive è il seguente: 4 bastioni, differenti tra loro, più nella consistenza che nella forma; 13 o 15 torri quadrate, ove la quantità numerica è oggetto di discrepanza tra le due mappe; 6 torri cilindriche (compreso il Torrione) e 5 triangolari.
È interessante capire come queste opere fossero dislocate tra le varie porte urbane e quali sono quelle ancora esistenti.
Tra Porta Baresana e Porta La Maja vi erano solo 3 torri: il Torrione, un’altra torre cilindrica, che è quella aderente la fabbrica del Teatro e da essa inglobata, e un’altra quadrata, scomparsa, ubicata nei pressi della chiesa di Santa Lucia.
Tra Porta La Maja e Porta Pendile, come già detto, il numero delle torri è discordante tra le due mappe, 6 in quella dell’Azzaro e 8 nell’altra. Tuttavia la sequenza è la seguente: la torre cilindrica posta di lato a Porta La Maja, oggi trasformata in abitazione; a seguire una o due quadrate, a seconda della mappa di riferimento, più due triangolari, tutte inesistenti; una torre cilindrica che si trova su Muro Pendile non più visibile, anch’essa adibita ad abitazione; un bastione poligonale, scomparso; infine la mappa anonima presenta un’altra quadrata di lato a Porta Pendile mentre l’altra no.
Tra Porta Pendile e Porta Robustina vi erano invece 8 torri. La prima di queste è in realtà un bastione, sempre poligonale, su cui è sorta la chiesa di Santa Maria La Porta. Segue una triangolare, non più esistente, poi un lungo bastione piatto, sul quale ora si erge un edificio prospiciente Via Solferino, la cui posizione è davvero molto interessante dal punto di vista urbanistico, per la corrispondenza con la piazzetta interna Fortinguerra.
A seguire un’altra, particolare, annoverata tra i bastioni, ma la sua consistenza è più quella di una torre di tipo poligonale, molto presumibilmente coincidente con la fabbrica trasformata in abitazione ubicata di fronte all’Ex Macello; una quadrata e 2 triangolari, di cui la seconda esistente è nota come Torre Scaraggi, sporgente su Via Solferino, e in ultimo un’altra quadrata.
Tra Porta Robustina e Porta Nova vi erano 7 torri tutte quadrate, di cui si è conservata solo una, ma forse qualcun’altra sarà stata inglobata in qualche costruzione. L’unica libera e intatta è quella che si trova nei pressi di Piazza Caldarola, ad angolo tra Vico Ponchielli e Via Magenta.
Tra Porta Nova e Porta Baresana, le torri erano 4: una quadrata di lato alla Porta Nova; una torre cilindrica, davanti alla chiesa dell’Annunziata, nota anche come Torrione di Sant’Agostino, demolita nel 1883, come ci ricorda un’iscrizione presente all’interno del chiostro dell’ex convento di San Domenico, in occasione del raddrizzamento di Via De Ilderis, ma della quale conosciamo l’esatta posizione e dimensione grazie ai grafici di progetto redatti dall’architetto Michele Masotino; un’altra quadrata posta proprio davanti alla chiesa di Sant’Egidio ed infine una cilindrica di cui restano le tracce nello scantinato di un condominio di Via Matteotti, in prossimità della fine del fossato.
Al di là del periodo in cui queste opere sono state realizzate – normanno, svevo o angioino – tra i vari tipi di torri sembrano esserci dei precisi rapporti geometrici e dimensionali che di certo costituivano un sicuro riferimento nella gestione e controllo del cantiere. Del resto l’ottimizzazione e l’unificazione, oggi diremmo in un sol termine standardizzazione, erano criteri indispensabili e fondamentali nel processo progettuale e costruttivo della cultura pratica medievale e questo ci fa capire anche il perfetto sistema messo a punto per le opere di difesa e la fortificazione della città.
Delle torri cilindriche il Torrione è certamente il più imponente e massiccio per dimensioni. La sua consistenza ha un diametro esterno pari a circa 62 palmi napoletani, ed uno spessore murario che varia di poco tra il piano terra e la sommità, con un massimo di 19 palmi ed un minimo di 16 palmi, tenuto conto che un palmo napoletano corrisponde a 0,26 m.
Le altre torri cilindriche dovevano essere quasi tutte uguali tra loro, anche per un fatto gerarchico, come si può chiaramente desumere dal raffronto e dalla misurazione delle stesse: sia quella posta di lato a Porta La Maja, sia l’altra inglobata all’interno del Teatro, che quella trasformata in abitazione di Via Muro Pendile o l’altra demolita, posta davanti alla Chiesa dell’Annunziata. Tutte hanno una grandezza pressoché analoga, corrispondente ad una misura equivalente a 30 palmi napoletani, quindi con un rapporto pari a circa la metà di quella del Torrione. Per di più lo stesso vano interno di quest’ultimo, posto in sommità, ha la stessa dimensione di queste torri cilindriche.
Inoltre dalle misurazioni delle altre tipologie di torri superstiti emerge che quella quadrata ha dimensioni pari a 20 palmi napoletani, quindi un terzo del diametro del Torrione, mentre l’altra quella a base triangolare, che insiste su una forma di 40 palmi di base per 25 palmi di altezza, ha uno sviluppo in larghezza doppio di quella quadrata.
Al di là di questo, poi, nel tratto tra Porta Robustina e Porta Nova considerata la scansione piuttosto regolare delle torri, peraltro tutte quadrate, e considerato il numero di torri presenti e la posizione dell’unica conservata, si rileva anche un preciso rapporto esistente tra le torri e le cortine adiacenti, ovvero mentre le torri quadrate misurano 20 palmi, le cortine erano sei volte più lunghe estendendosi quindi per 120 palmi, una dimensione doppia del diametro del Torrione. É stata quindi la grandezza del Torrione a definire, in passato, il modulo per la costruzione delle opere di fortificazione della città, determinandone con i sottomultipli 1/2 e 1/3 la dimensione delle torri, mentre con un multiplo bi-tondo il rapporto torre/cortina muraria.
I camminamenti tra le porte urbane
Internamente alla città, addossato alla cinta muraria, vi era il pomerium, il circuito di camminamenti che collegava tra loro le varie torri, rappresentato in modo abbastanza chiaro nella mappa anonima. Oggi questo circuito si è in gran parte perso.
Tuttavia é possibile rileggerne alcuni tratti brevi o altri appena più lunghi. Del fronte urbano principale, purtroppo, non rimane più nulla, se non la traccia dell’antico fossato ai piedi della cinta. Ciononostante di questo fronte possiamo avere un’idea del passaggio dei camminamenti attraverso le quote degli usci degli edifici, sia di Via Pasculli, ma soprattutto di quelli che si affacciano su Largo Teatro Umberto I, dove la cortina edilizia rivolta verso la città si eleva su di un basamento, provvisto di una serie di scale, che restituiscono alla quinta un aspetto singolare, insolito rispetto al resto del contesto urbano, spiegabile solo con la presenza, in passato, di un passaggio in quota.
L’odonomastica comunque ci aiuta a tenere insieme i tratti che permangono e che costituivano questo circuito di camminamenti sulle mura di cinta, ovviamente rileggibile per pezzi dalla Porta del Carmine in poi.
Da Porta La Maja verso Porta Pendile, infatti, ritroviamo il breve tratto di Muro Santa Maria del Carmelo, interrotto fino a Via Arco Murgolo. Il suo prolungamento però è facilmente rintracciabile per via della coincidenza col retro della cortina edilizia costruita su Via Civilizio che si raccorda al tratto di Muro Pendile che segue. Anche questo pezzo è troncato, ma verosimilmente doveva collegarsi idealmente con Via del Sasso, la strada che continua oltre Porta Pendile.
Quest’ultima strada, invece, termina in prossimità di Piazzetta Giovanni Pietro Fortiguerra. Il circuito riprende, poi, con Muro Macello che si conclude subito su alcune abitazioni prospicienti Via Solferino in corrispondenza della Torre Scaraggi. Dopo Porta Robustina vi è il tratto più lungo conservato, quello di Muro Porta Robustina.
Oltre non resta più nulla. Probabilmente la facciata laterale della chiesa dell’Annunziata, sul lato rivolto verso Via De Ilderis con la sua giacitura segnava il raccordo della cinta muraria col Torrione di Sant’Agostino. La chiesa, peraltro, edificata su di un alto podio, a cui si accede con una scalinata frontale, quasi un elemento ereditato dalla visione estetica dell’architettura romana, ha l’altezza del podio confrontabile con quello del camminamento di Muro Porta Robustina. Questo lascia presupporre che la chiesa sia stata costruita proprio su di una porzione di quel circuito di camminamenti.
Conclusione
Le immancabili e necessarie ipotesi da cui scaturiscono alcune riflessioni, possono essere considerate vere congetture, ma il lavoro di raffronto e soprattutto di misurazione rende questo tipo di analisi plausibile oltre che estremamente affascinante ed interessante. Uno studio che richiede certamente ulteriori approfondimenti.