Raccontare con i numeri l’Infinito di Leopardi

La lezione della prof.ssa Sandra Lucente al Polo liceale Sylos-Fiore di Terlizzi nella Giornata internazionale delle donne e ragazze nella scienza

È possibile raccontare l’infinito? Ecco: partiamo subito alla grande! Tanto che questo nome, questo “segnale” ci dice proprio che si tratta di un nome “impossibile”. Non ha confini. Non ha una posizione specifica. Non è riconoscibile. Sappiamo che la nostra mente può pensarlo, o forse solo immaginarlo. Così afferma Leopardi stesso, che ha passato molti giorni e molte notti a disegnare il perimetro dell’infinito, senza perdersi d’animo.

Sandra Lucente, docente di Analisi matematica presso il Dipartimento di Fisica, insieme agli studenti del triennio del Polo Liceale Sylos-Fiore (fonte: pagina fb Polo Liceale Sylos Fiore)

Come mai il concetto di infinito (“il più usato, abusato e travisato della storia del pensiero (occidentale ma non solo)”, annotava qualche tempo fa il logico matematico Piergiorgio Odifreddi) racchiude tanta incertezza? Perché, davanti alla richiesta di definire l’infinito matematico anche i docenti che insegnano questa disciplina faticano a rispondere? Quali sono e da dove provengono le difficoltà relative alla costruzione del concetto e il suo apprendimento? Perché ciò sembra andare contro il senso comune del ragionare?

Sono interrogativi che ben evidenziano la complessità del concetto di infinito che ha attraversato diagonalmente e le cosiddette discipline “umanistiche” e quelle cosiddette “scientifiche”. “Infinite volte, infinite volute” è per l’appunto il titolo di una conferenza di Sandra Lucente, docente di Analisi matematica presso il Dipartimento di Fisica, presidente del Museo della matematica dell’Università di Bari, nonché prolifera scrittrice di articoli di ricerca e volumi di divulgazione scientifica.

In occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, il Polo Liceale Sylos Fiore ha ospitato la professoressa presso l’aula magna della scuola. Assieme agli studenti della Classe IV A, impegnati in un Percorso per le competenze trasversali e l’orientamento in collaborazione con il Dipartimento di matematica dell’ateneo barese, Lucente ha proposto un percorso didattico a cavallo tra analisi scientifica e ricerca storica sul concetto di infinito. Presenti alla conferenza, anche in un’ottica di orientamento universitario, gli studenti delle classi quinte in procinto, fra qualche mese, di cimentarsi con gli esami di maturità.

Le attività condotte dalla docente nascono dall’esigenza di identificare gli ostacoli epistemologici e didattici che caratterizzano l’insegnamento dell’infinito, attraverso un percorso storico volto all’apprendimento del concetto di infinito matematico. Si è tornati indietro di circa duemilacinquecento anni con Euclide, passando per Pitagora e Zenone fino a giungere all’età contemporanea. La scelta è ricaduta sui citati personaggi per due ragioni di fondo. Anzitutto, perché costoro rappresentano i cardini dell’evoluzione del concetto di infinito matematico. E, poi, per individuare gli snodi storici in oltre 2000 anni di storia dell’evoluzione del concetto di infinito matematico, caratterizzati da contrasti, ragionamenti paradossali, cambi di opinione e fratture.

Il lavoro di ricerca non poteva che partire dalla letteratura e, segnatamente, dall’idillio L’infinito di Giacomo Leopardi che rappresenta, in un certo senso, il manifesto di un nuovo poeta segnato dalla perdita della poesia in quanto dominio dell’immaginazione giovanile. Fu il poeta recanatese ad esprimere per la prima volta, nel 1819, questo insieme nuovo e indefinibile e ad usare la parola “infinito”. Leopardi si espone nella semplicità di situazioni quotidiane: come quando è seduto sul colle. Le parole di questo suo mondo elementare sono semplici (“siepe”, “orti”). Ma sono proprio queste parole che improvvisamente fanno nascere catene di pensieri che portano a dimensioni inimmaginabili capaci di oltrepassare i limiti della realtà. Questo effetto, il “giovane favoloso” lo definisce con alcuni termini che indicano proprio un movimento senza finalità, un’energia fisica che non ha una meta ma si muove in modo indistinto: “vago”, “indeterminato”, “indefinito”.

A differenza di Aristotele che distingueva tra due tipi di infinito – potenziale (o in potenza) e attuale (o in atto), Leopardi riteneva che l’uomo potesse solo tendere all’infinito come fonte di stimolo per la sua immaginazione (“io nel pensier mi fingo”), laddove l’etimo latino del verbo fingo rimanda all’idea di “plasmare”, “costruire con la mente”, “immaginare” dunque un effetto contrapposto al reale”, spiega la docente. “Il pensiero non produce un ragionamento ma una finzione, cioè qualcosa che razionalmente non può esistere. L’io del poeta rimane sempre sul piano del finito (“quest’ermo colle e questa siepe”), mentre l’infinito resta solo una suggestione dell’uomo”, prosegue, esortando gli studenti a meditare sulle espressioni del testo leopardiano che rinviano alla matematica.

La pro.ssa Lucente nel corso della conferenza (fonte: pagina fb Polo Liceale Sylos-Fiore)

Il tema dell’infinito matematico è spesso oggetto di molta confusione tra gli studenti, i quali solitamente lo associano a un insieme indeterminato, come quello dei numeri naturali”, afferma Lucente. Alla sua domanda “Che cos’è l’infinito matematico?”, gli alunni rispondono associando diversi concetti: un numero molto grande, l’indefinito, l’illimitato o un procedimento. “Non posso non menzionare il contributo di uno dei più famosi matematici greci, Euclide, autore di un trattato, ‘Elementi’, una sorta di manuale introduttivo che espone gli elementi fondamentali della matematica”, spiega la docente.

La sua concezione dell’infinito è quasi totalmente di impostazione aristotelica; la definizione delle rette come segmenti la cui lunghezza può essere aumentata a piacimento è una chiara allusione all’infinito potenziale”, prosegue, rivelando che Leopardi era a conoscenza di ciò perché possedeva nella sua biblioteca edizioni moderne in volgare degli Elementi euclidei.

In un passo dello Zibaldone (165) Leopardi afferma che “la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo forse proviene da una cagione semplicissima e più materiale che spirituale”. Una constatazione a cui, in realtà, era approdato Pitagoraper il quale – precisa Sandra Lucente – gli oggetti della matematica, anche i più semplici, per esempio i segmenti, hanno un’esigenza immediata di infinito. Già nel V sec. a.C., il venir meno della convinzione secondo cui tutti i fenomeni sono descrivibili attraverso i numeri naturali interi e i loro rapporti aveva fatto cadere ogni idea di finitismo”.

Alcuni studenti si cimentano in un esperimento astronomico (fonte: Polo Liceale Sylos-Fiore)

Lo stesso paradosso di Achille e la tartaruga di Zenone, in polemica con la concezione dei pitagorici per i quali spazio e tempo erano concepiti come consistenti di punti e, quindi, distinti, muove dal presupposto che la somma di infiniti segmenti può dare come risultato un segmento finito. Per gli antichi greci, l’idea che la somma di infiniti tratti potesse dare come risultato un tratto finito era un’assurdità ed è per questo motivo che i paradossi di Zenone ebbero così successo”, chiarisce.

Fin dai tempi di Anassimandro di Mileto i filosofi avevano formulato varie teorie sull’idea di infinito, ma nessuno prima del 1872 era stato in grado di apprendere a fondo un argomento così complesso. La svolta arrivò con Georg Cantor, padre della moderna teoria degli insiemi. Quest’ultimo dimostrò che non tutti gli insiemi infiniti hanno lo stesso numero di elementi e “costruì” una gerarchia di infiniti a seconda della potenza (cardinalità) dell’insieme. “Non entro nel dettaglio dei risultati ai quali giunse Cantor, mi limito a sottolineare come le sue dimostrazioni abbiano segnato un ‘prima’ e un ‘dopo’ nella storia del concetto di infinito matematico. Grazie al suo rigore la strada della matematica verso il mondo al di là del finito fu definitivamente aperta”, chiarisce la docente.

Che così riprende: “Un percorso trasversale come quello dell’infinito dimostra come la matematica sia un codice capace di dare riposte ai problemi dell’umanità, attraverso un linguaggio diverso da quello linguistico-letterario ma altrettanto valido”. E poiché “ciascuno di noi è capace di pensare l’infinito, sia quello propriamente raffigurabile su di un piano sia quello astratto, possiamo tranquillamente dire che siamo tutti matematici visto che da più di duemila anni continuiamo a chiederci cosa sia l’infinito”.

Un esperimento, quello testato da Sandra Lucente, di sconfinamento e contaminazione tra la ragione scientifica e il pensiero umanistico. Che dimostra come sia impossibile, per l’uomo del XXI secolo, comprendere il mondo nei suoi mille rivoli, diciamo pure nella sua complessità, prescindendo dalla conoscenza delle scienze dure (matematica, geometria, fisica). Insieme all’apporto decisivo delle cosiddette materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) (leggi l’articolo), il cui studio è promosso dal Ministero dell’istruzione e del merito.Ho scelto di porre in connessione la crisi delle certezze matematiche e la letteratura – uno scrittore come Joyce chiude un suo celebre monologo con la parola “punto”, riprendendo un concetto geometrico elementare – per invogliare gli studenti a guardare con un occhio diverso la matematica, che altro non è che una declinazione peculiare del nostro pensiero”, chiarisce la prof.ssa Lucente.

Oggigiorno sono tante e diverse le esperienze di divulgazione della matematica e, in generale, scientifiche. L’importante è non smarrire la bussola della scienza, che non esclude l’umanesimo e viceversa. Anche all’interno di una poesia di Giacomo Leopardi c’è molta più matematica di quanta ci aspetteremmo di trovarne in un teorema di geometria o di aritmetica. “Che si voglia usare il termine divulgazione o terza missione o diffusione della matematica poco cambia. Nella mia esperienza quotidiana di insegnamento all’università non finisco mai di divertirmi giocando con i numeri”, conclude Sandra Lucente.

Pienamente soddisfatti e divertiti gli studenti, ai quali la docente consegna il seguente messaggio: la ricerca si fa semplicemente per il piacere di scoprire. E lo stesso vale per la divulgazione, la cui fruizione non ha scopi più utilitaristici di quanti ne abbiano la musica, la letteratura o la storia. Rintracciare e inseguire le orme di questi scopritori permette di rivivere le loro stesse emozioni. Una conferma palese che la matematica non è quella materia troppo spesso insegnata in maniera asettica, impersonale e astorica, senza tener conto sia dei percorsi mentali dei matematici che delle influenze esercitate su di loro dai tempi e dai luoghi in cui essi vissero.

Nella foto in alto, la prof.ssa Sandra Lucente (al centro), il prof. Saverio Gaodimundo (a sinistra), la dirigente scolastica Annamaria Allegretta (a destra), con gli studenti del Polo Liceale Sylos-Fiore di Terlizzi