Matematica e letteratura, un binomio “odi et amo” che attraversa tutto il mondo antico e cavalca le soglie della modernità; due facce di una stessa medaglia che insegnano ad approcciarsi alla vita in modo apparentemente opposto. L’una impone il rigore della logica, l’altra predilige il virtuosismo della poesia. Eppure, c’è chi non si scoraggia mai nel fondere in un’unica entità queste discipline dando vita ad un grandioso sincretismo.
Si trova ad Arezzo per un viaggio e di fronte alla bellezza di Piazza Grande delimitata da palazzi medievali, dall’abside della Pieve romanica e dalla Loggia del Vasari, quasi d’impulso decide di tradurre in versi tanta emozione. Di lì a poco, pensa di raccontare altre realtà di capoluoghi toscani come Lucca, Prato, Pistoia e poi di scendere fino a sud, con la narrazione poetica di Bari, Ruvo, Corato, Trani e Troia. Viene alla luce così una silloge di poesie dedicate a oltre cento località italiane che decide di intitolare Splendori d’Italia in versi.
Coratino di nascita ma cosmopolita nell’anima, Franco Leone spiega il suo “incontro” con l’arte, avvenuto solo qualche anno fa, con la meticolosità di un dottore informatico. Si occupa della creazione di software gestionali in cloud, nonché di formazione a vari livelli, in ambito aziendale e scolastico, dunque dai ragazzi della scuola primaria agli stessi docenti. La sua prima passione è la tecnologia, sebbene nutra un amore incondizionato per le lingue classiche, per l’arte e per la poesia che il liceo classico “Alfredo Oriani” ha saputo inculcargli durante la giovinezza, grazie alla professionalità dei suoi insegnanti.
L’interesse verso il sapere umanistico, rimasto in letargo per diverso tempo, affiora dirompente quando Franco è ben conscio di volergli dare un senso. Perciò, in collaborazione con la casa editrice coratina Secop, lavora assiduamente alla stesura del nuovo volume Cercando l’Italia, itinerari d’arte in versi, che gli ha permesso di vincere sia il Premio William Shakespeare a Messina sia il Premio Villa Garbo a Taormina e diventare socio benemerito della fondazione “Antonello da Messina”, uno dei suoi artisti preferiti del Quattrocento italiano.
“Avrei potuto scegliere il verso libero -dice- ma non avrebbe reso la bellezza antica delle opere d’arte delle nostre città italiane. Il mio riferimento è stato D’Annunzio con le sue Città del silenzio. Il ‘sommo vate’ abruzzese si fermò a Roma, io invece ho voluto considerare anche le città del nostro meraviglioso sud sperimentando l’endecasillabo”. Ritmo e musicalità del verso contraddistinguono le sue composizioni che tendono alla ricerca della raffinatezza e del dettaglio.
Tali peculiarità ritornano più accentuate nella sua ultima fatica letteraria Caravaggio Poesia della Luce – Tutte le sue opere in versi, anche questa edita da Secop, la cui genesi redazionale, durata circa tre anni e mezzo, risulta senza dubbio complessa. “Ho tentato di recuperare tutte le opere del genio lombardo, quelle certe, quelle che vengono attribuite a lui dai più importanti critici e quelle perdute e ho voluto descriverle in versi endecasillabi secondo la metrica di Dante e di Petrarca, talvolta utilizzando lo schema delle ottave dell’Orlando Furioso di Ariosto e della Gerusalemme Liberata di Tasso in un linguaggio coevo rispetto a quello del pittore, in modo da trasmettere emozioni simultanee a quelle dipinte. Ho anche cercato di analizzare tutti gli spartiti presenti nelle sue opere, identificandone alcuni mai scoperti prima, come quelli dei dipinti Riposo durante la fuga in Egitto, Suonatore di Liuto di San Pietroburgo e di New York e Amor vincit omnia”, spiega Franco Leone.
Nel primo olio su tela infatti, risalente al 1595-1596, frutto del sodalizio con l’aristocratica famiglia romana dei Doria, un ameno paesaggio che sfuma verso l’orizzonte ospita la Sacra Famiglia mentre si riposa all’ombra della vegetazione: un angelo raffigurato di spalle suona il violino, quasi per cullare il bambino dormiente tra le braccia della Vergine, leggendo uno spartito contenente il mottetto Quam pulchra es del compositore fiammingo Noël Bauldewijn che inneggia alla Madonna e nella pagina successiva, sotto l’avambraccio della creatura celeste, è possibile scorgere le note della Lectio Apostolorum; nel secondo e nel terzo dipinto, ritraenti il medesimo soggetto e realizzati nel biennio 1595-1597, un giovane dallo sguardo schivo chiede consenso durante la sua performance musicale con il liuto: gli spartiti qui rappresentati sono attinti dal primo libro di madrigali dell’autore, anche in questo caso fiammingo, Jacob Arcadel, di cui si riconosce la paternità del Vivace Amor presente nella quarta pittura del 1601-1602 e ispirata al Trionfo dell’amore di Francesco Petrarca.
L’accurata veste tipografica del libro rende omaggio ad un altro capolavoro del Merisi. Si tratta de Il concerto dei giovani del 1595, esposto al Metropolitan Museum of Art, che Franco seleziona per la copertina. In esso giganteggiano le anime di tre giovani che esemplificano allegoricamente le tre arti: a sinistra il ragazzo che accorda il liuto rievoca la musica; al centro l’autoritratto di Caravaggio è un evidente richiamo alla pittura; infine, a destra, un terzo di spalle diviene l’emblema della poesia, intento com’è a leggere uno spartito composto dai versi del sonetto Icaro cadde qui: queste onde il sanno dell’umanista napoletano Jacopo Sannazaro. Ed è lo stesso dipinto che lo spinge ad organizzare eventi culturali itineranti: “Portiamo poesia, arte, musica nei posti più belli d’Italia (Firenze, Roma, Modena, Spoleto, Rieti, Bari, Taranto, Lecce, Messina) con due musicisti professionisti, il maestro Pasquale Rinaldi del Conservatorio di Foggia al flauto traverso e mio fratello il maestro, nonché cardiologo, Nino Leone al clavicembalo. È uno spettacolo in quattro dimensioni: alle tre riportate da Caravaggio si aggiunge quella della musica rappresentata nei suoi quadri”, chiarisce Leone.
La presentazione della raccolta poetica si è tenuta per la prima volta a Messina il 29 settembre 2018, giorno in cui, per ironia della sorte, ricorre l’anniversario della nascita del pittore. A fare da sfondo lo storico edificio Monte di Pietà, dove a Caravaggio fu commissionata la Resurrezione di Lazzaro (1608-1609), opera che acuisce il rapporto ormai mutato tra spazio e figure: i personaggi ormai rimpiccioliti rispetto alle tele precedenti, sono inseriti in un ambiente scuro, oppressivo e soprattutto angosciante perché in gran parte vuoto; la luce proveniente da sinistra, dove la Figura di Cristo riconduce alla vita di Lazzaro, fa emergere dal fondo scuro i corpi, evidenziando il gioco di sguardi e movimenti.
Il naturalismo talora crudo e sempre anticonvenzionale, le vibranti pennellate e l’uso violento ed espressivo della luce costituiscono il principale motivo del fascino che esse sprigionano ancora oggi, a distanza di quattro secoli, e che Franco sa cogliere sapientemente: “Di Caravaggio mi piace il crudo realismo, mi incanta il fatto che i suoi personaggi siano attinti dalla strada. Così l’umanità derelitta degli ultimi si trova improvvisamente catapultata sulle pale d’altare. Dentro le chiese, sopra gli altari, avviene la riscossa degli ultimi che finiscono per diventare primi. Per cui le prostitute diventano Madonne, gli scugnizzi diventano angeli, gli anziani e i mendicanti diventano apostoli o santi, laddove la luce è capace di scandagliare gli oggetti e i particolari di una scena portandoli dentro lo spazio dell’osservatore. Caravaggio compie il miracolo della tridimensionalità”, sottolinea Franco.
I soggetti che popolano i suoi dipinti abbandonano quindi l’eterea perfezione delle figure di Raffaello o le forme tornite e muscolose di ascendenza michelangiolesca per vestire i panni della gente comune che affolla chiese, piazze, taverne. Portentosi sono gli effetti chiaroscurali in Morte della Vergine (1605-1606), l’imponente olio su tela custodito al Museo del Louvre, di cui Leone offre un vivido quadro, impiegando l’ottava in versi endecasillabi: una prostituta dal ventre gonfio, perché morta annegata, viene compianta da uno stuolo di rozzi popolani all’interno di un ambiente spoglio, illuminato solo da una scia luminosa, potente e diretta, quasi come se provenisse da un proiettore.
Così la lezione di Caravaggio è divenuta fondamentale per le successive generazioni di pittori che ne hanno mutuato i principi cardine della sua arte. Parimenti l’opera di Leone ha riscosso successo guadagnandosi l’ammirazione nonché il giudizio entusiasta di molti critici e giornalisti, da Vittorio Sgarbi a Philippe Daverio passando per Alberto Angela, Franco Di Mare e, non da ultima, la principessa Rita Boncompagni Ludovisi che dichiara convinta: “Franco Leone is a poet of tremendous talent and vision”.
Senza mai essere aulico, ma con un’immediatezza di linguaggio che diletta i suoi estimatori, Franco munisce il suo libro di una sezione tanto interessante quanto innovativa. Le ultime pagine, infatti, sono interamente dedicate alle opere perdute del pittore milanese sulle quali c’è ancora molto da scoprire. Un percorso tutto in fieri come quello che lo vede promotore di un ambizioso progetto di beneficenza a favore di quanti sono impegnati nella lotta al Covid. Sta cercando, noltre, di portare, con il Club Unesco di Bisceglie di cui fa parte, la cattedrale di Troia nel patrimonio mondiale dell’Umanità per l’unicità del suo rosone.
Ed è con la grazia di un cantore greco ispirato dalle muse a congedarsi, rivolgendo un accorato appello a coloro che non hanno una giusta considerazione del patrimonio artistico del nostro Paese: “Pensiamo a questo numero: 55! L’Italia è la prima nazione al mondo per numero di siti Unesco: proprio 55. In un territorio così piccolo, tra montagne, colline, pianure, mari, penisole, isole, vulcani c’è la più alta di concentrazione di bellezza artistica, archeologica e paesaggistica del pianeta. Tutto il mondo ci ammira! Dobbiamo darci più valore perché potremmo vivere di solo turismo”.