La Puglia non manca mai di appassionarci col suo ricchissimo passato, che continua ad emergere grazie a nuove ricerche e scoperte: tra le più recenti e interessanti, quella dell’uomo d’arme ormai noto come cavaliere di Castiglione.
Per chi non lo sapesse, il sito di Castiglione – nel territorio di Conversano – fu oggetto di popolamento già a partire da epoca protostorica e durante l’antichità. Dopo una lunga fase di abbandono la vita riprese nel Medioevo, tra tredicesimo e quattordicesimo secolo. Di particolare interesse per inquadrare la vita del nostro è, dunque, la fase del villaggio rurale di fondazione angioina. Il casale fortificato fu quindi definitivamente abbandonato nel quindicesimo secolo, per rientrare tra le località archeologiche della Puglia nel 1953 con la notevole scoperta di una tomba a tumulo, la cosiddetta Specchia Accolti, i cui reperti risalgono al sesto secolo a.C.
Risale invece al 1997 l’ultimo intervento conoscitivo, finanziato dall’Unione Europea, con restauri e opere di sistemazione, interventi sulle mura e presso la chiesetta dell’Annunziata.
Importanti ricerche sull’uomo d’arme di Castiglione sono state raccolte in un prezioso volume, Una finestra sulla storia. Un cavaliere a Castiglione tra angioini e aragonesi. Il libro è pubblicato per i Quaderni della Società di Storia Patria per la Puglia “Sezione Sud-Est Barese”, collana di Studi in memoria di Claudio Andrea L’Abbate. Lo hanno curato la dott.ssa Giulia Perrino, storica dell’arte, e il prof. Sandro Sublimi Saponetti del Dipartimento di Biologia, Laboratorio di Antropologia dell’Università di Bari.
Il testo è frutto di due anni di indagini scientifiche, e accoglie un importante progetto che consiste in un’indagine antropologica riguardante i resti scheletrici di un gruppo di individui ritrovati presso la chiesetta medievale dell’Annunziata a Castiglione. Una finestra sulla storia si impone per una particolare ricchezza: l’aver affrontato il soggetto dai diversi punti di vista delle discipline scientifiche e storiche. Ed è evidente che questa ricerca multidisciplinare ha prodotto un saggio dal valore ben superiore alla somma delle sue parti. Specialisti di diverse discipline (archeologia, architettura, antropologia e storia dell’arte) hanno dialogato al fine di ricostruire storia, ambiente, costumi e società dell’individuo sepolto nella Tomba 6 della chiesa: il nostro uomo d’arme del tardo Medioevo, appunto.
E se già a Conversano si va risvegliando l’interesse per Castiglione e per il suo cavaliere, non si può che auspicare che tutti i pugliesi trovino in questa vicenda motivi di interesse e di arricchimento personale. Dopo la presentazione a Conversano, il volume sarà illustrato il 22 giugno a Capurso, e a ridosso di quella data anche a Bari. Hanno risposto alle domande di Primo piano i due curatori del volume, Giulia Perrino e Sandro Sublimi Saponetti. Grazie a loro, sarà più facile immaginarci la vita avventurosa di questo straordinario uomo d’arme.
Chi era quest’uomo d’arme, ormai noto come il cavaliere di Castiglione?
Sandro Sublimi: Dell’uomo sepolto nella cappella della chiesa dell’Annunziata di Castiglione purtroppo non conosciamo ancora il nome, ma non sarebbe inverosimile scoprirlo, se per esempio venissero alla luce documenti che parlino di una figura importante vissuta nel casale fortificato tra la fine del 1300 e l’inizio del 1400.
Sappiamo di certo che si trattava un individuo appartenente ad una classe sociale elevata: l’esame antropologico e chimico del suo scheletro ha infatti mostrato una buona nutrizione e una robusta complessione corporea, tipiche di un individuo aduso ad attività fisiche sostenute, tra cui la pratica dell’equitazione. Da questa prima importante certezza, lo abbiamo identificato come un “cavaliere” (con la “c” minuscola, per non confondere il termine con un ruolo istituzionalizzato) o, ancora meglio, come un uomo d’arme aduso ad andare a cavallo.
Soffriva delle malattie del benessere, quale la gotta, imputabile ad un consumo eccessivo di carni rosse, non integrate in maniera equilibrata da apporti nutrizionali di frutta e verdura fresche, da cui una lieve ipovitaminosi C. La sua dieta comprendeva anche pane e prodotti da forno lavorati da farine raffinate e carboidrati quali il miele; il consumo di prodotti ittici era scarso. Gli esami biomolecolari ci dicono che soffriva di ipercolesterolemia e che era a rischio di incidenti cardiovascolari.
Il nostro cavaliere è vissuto circa cinquanta anni; superava di poco il metro e sessanta centimetri di altezza e pesava 60 kg. Una serie di lesioni di vecchia data, visibili sui suoi resti scheletrici, ci dicono che ha condotto una vita esposta a incidenti ed episodi di violenza interpersonale. L’ultimo di questi risale a poco più di un anno prima della sua morte ed è consistito in una rovinosa caduta da cavallo che gli ha lussato e fratturato la spalla sinistra in modo permanente; l’esame TAC del cranio mostra che l’incidente ha provocato anche l’urto violento della testa al suolo con conseguente versamento ematico a livello della mastoide sinistra e probabile compromissione della capacità uditiva dell’orecchio di quel lato.
La ricostruzione manuale del volto, resasi possibile a partire dalla TAC del cranio e dalla stampa 3D di un prototipo in PLA, ha tenuto conto di queste notizie biografiche.
Giulia Perrino: Completamente aperto è invece il campo di indagine e ricerche scientifiche specialistiche sui rapporti storici, economici, politici, tra Castiglione e Conversano, nel più ampio contesto della Puglia tardomedievale e nel delicato passaggio della lotta dinastica angioina. La scoperta, tramite indagine al radiocarbonio, della probabile data di morte del cavaliere al 1417 costituisce certamente un positivo segnale portato agli studi generali dal nostro lavoro, ma senza dati di contesto più strutturati alcune informazioni preziosa come questa restano ancora fluttuanti nel vuoto. Bisognerebbe dunque ripartire dalle fonti scritte e materiali per arricchire l’affresco, in verità molto complesso e articolato, del contesto storico in cui si è mosso il cavaliere, e da qui riprovare a restituire una cornice verosimile, anche in funzione di una corretta divulgazione storica. Qualcosa in tal senso si sta già muovendo, sono ripartite alcune ricerche archeologiche e molto si può e si deve fare ancora, ma serve una strategia, un progetto, una visione complessiva.
Che genere di difficoltà avete incontrato nel vostro lavoro?
Sandro Sublimi: Abbiamo discusso molto, e di ogni cosa. Ogni singolo dato scaturito dalle indagini specifiche è stato comparato coralmente con gli altri. Si è trattato di un confronto molto piacevole e proficuo, un’esperienza di arricchimento personale che sicuramente rifarei. In alcune occasioni i dati di ciascuno sembravano incastrarsi perfettamente con quelli degli altri.
Ovviamente ci sono state anche difficoltà da affrontare. Mettere d’accordo più di trenta persone non è sempre facile, ma ho visto sempre molto entusiasmo, e soprattutto la convinzione, credo di tutti, che si stava intraprendendo una strada nuova.
Qualcuno più di altri si è preso l’onere di ridestare interesse ed entusiasmo o appianare qualche piccolo contrasto quando era il caso di farlo: si è creato spontaneamente, all’interno del gruppo, uno zoccolo duro di entusiasti che ha agito secondo le proprie, riconosciute, prerogative temperamentali. Insomma, è stato faticoso ma stimolante, la dimostrazione, per me stesso, che si può uscire dal proprio (piccolo) individualismo e sentirsi parte di qualcosa di più grande, con una coscienza propria, collettiva, anche qui in Italia, in Puglia.
Quale potenziale divulgativo e di coinvolgimento della popolazione c’è a Castiglione?
Giulia Perrino: Il coinvolgimento del territorio è una delle prerogative di qualunque processo corretto di studio e valorizzazione dei beni culturali, e a questo proposito abbiamo ipotizzato alcune proposte concrete da sottoporre agli enti di tutela e amministrativi per far salire il livello di attenzione e interesse su luoghi come Castiglione e il Museo Civico di Conversano. La popolazione di Conversano è da sempre interessata a questo sito e lo sente come fortemente legato alla propria storia e al territorio, alla propria identità. Tuttavia il potenziale del sito è ben più elevato: auspichiamo infatti che la sua valorizzazione possa essere volano per la messa a punto di un sistema di conoscenze e processi funzionali all’arricchimento culturale di tutta la regione.
Nelle conclusioni del libro, si spiega che il lavoro di ricerca su Castiglione è appena iniziato. Cosa si può auspicare per il futuro?
Giulia Perrino: Già agli esordi del progetto di ricostruzione facciale del cavaliere erano chiari gli obiettivi che ci ponevamo: donare al Museo Civico di Conversano uno strumento di fortissimo impatto comunicativo (il volto del cavaliere ricostruito) e promuovere una riorganizzazione dello stesso museo con una sezione dedicata al Medioevo, arricchita ovviamente dagli apporti degli studi maturati in tutti i campi del sapere che ci hanno visti coinvolti: archeologia, architettura, antropologia, storia dell’arte. Nello stesso tempo, era urgente avviare un’operazione di restauro del borgo murato di Castiglione e la nostra proposta editoriale mette in luce ancora una volta l’urgenza di coniugare lo studio e la ricerca con il processo concreto e costante di tutela e salvaguardia del territorio.
Durante il lavoro di progettazione ed esecuzione materiale del volume, pensato dai curatori in stretto dialogo con l’editore Vito L’Abbate e con figure di riferimento che hanno collaborato senza sosta come Paolo Perfido, ha preso forma definitiva l’esigenza di mettere nero su bianco, cercando di rispecchiarla quasi perfettamente, la modalità, il processo cronologico e dialogico che ha condotto il gruppo di ricerca alle sue conclusioni. Il libro rispecchia proprio il modo in cui gli studiosi hanno condotto le loro indagini, intrecciando i dati acquisiti con quelli che venivano maturando grazie al dialogo e al confronto, e modificando, ove necessario alcune imprecisioni, mitigando alcune certezze e maturandone altre. Si è trattato di un processo spontaneo e gradito a tutti, che ha creato un clima di collaborazione ed entusiasmo ben noto a chi è abituato al lavoro di squadra disciplinare (archeologici, architetti e antropologi sono avvezzi), ma poco diffuso in contesti multidisciplinari. Trasformare la multidisciplinarietà in interdisciplinarietà è stato, a nostro parere, il più significativo valore aggiunto di questo progetto.