Il problema dell’approvvigionamento idrico in Puglia era già particolarmente noto sin dai tempi dei romani. La citazione “siderum insedit vapor / siticulosae Apuliae” di Orazio, tratta dalle sue Epòdi, descrive appunto questa indiscutibile realtà: la Puglia, terra molto amata dal grande poeta latino, nato a Venosa, è afosa e assetata. Lo stesso Orazio torna sull’argomento, nel primo libro delle Satire, nel racconto del viaggio con Mecenate verso Brindisi, quando questi osservano che “qui (in Puglia, ndr) si vende la più vile delle cose, l’acqua”.
Ciononostante, nel corso del tempo, il governo della città di Bitonto ha cercato di rimediare a questa annosa questione prodigandosi nella realizzazione di quattro grandi cisterne pubbliche, costruite fuori dalle mura (leggi qui), in prossimità delle quattro porte di accesso alla città antica (leggi qui), e destinate soprattutto alla parte più povera della popolazione. Abbiamo già visto la tormentata storia e la fine ingloriosa che ha subito una di queste riserve idriche, la Pescara della Commenda (leggi qui), posta fuori Porta Robustina. Continuiamo questa disamina con quella dislocata fuori Porta Baresana, sulla strada che porta al convento di San Leone, di cui è possibile ricostruire la storia sulla base di un’epigrafe, collocata sullo stesso manufatto, e qualche documento d’archivio.
La Cisterna della Corriera, oggi più comunemente conosciuta come La Pescara, prende la denominazione dalla vicinanza allo stallaggio della Corriera postale per Napoli, come si rileva dalla corrispondente voce, nel dizionario del Lessico dialettale bitontino di Giacomo Saracino, nell’edizione ampliata da Nicola Pice. È stata realizzata sulla via della marina, divenuta poi il principale asse di espansione della città ottocentesca: il corso. Non in una posizione casuale, ma nel punto esatto in cui avviene l’incontro di due pendenze opposte della strada: da una parte il tratto che scende da Porta Baresana, dall’altra il pezzo di strada che sale verso la villa comunale, una volta Campo di San Leo. Un sito ideale per la confluenza naturale e la raccolta delle acque piovane, un luogo, quindi, che detiene intrinsecamente in sé la conveniente “dote”. Non a caso, tuttora, rappresenta un punto critico in occasione di intense precipitazioni. La cisterna, come si può facilmente riscontrare, con la sua parte emergente, rispetto alla continua cortina del corso, è ancora oggi l’unico corpo di fabbrica sporgente, a dimostrazione che il manufatto è stato costruito prima di tutti gli altri edifici.
Un’idea della sua forma originaria ci è data dalla mappa, pubblicata nel volume di Teresa Colletta, Piazzaforti di Napoli e Sicilia, che raccoglie “le carte Montemar“. Nella carta topografica la cisterna è rappresentata, come si presentava al principio del XVIII secolo, isolata in quel contesto rurale nel quale è stata costruita, a nord dell’abitato antico di Bitonto, lungo l’asse viario che conduce al “Campo di San Leo“. La forma, alquanto semplificata, a trapezio rettangolo, non rispecchia propriamente quella che è la sagoma attuale, al di là delle alterazioni apportate successivamente. Nel perimetro della figura si notano sei punti neri, disposti ordinatamente su due file, che senza dubbio sono le sei bocche della cisterna, delle quali ancora oggi esistono tracce evidenti all’interno dell’invaso. Sul fronte prospiciente la strada alcune linee sembrano indicare una scalinata inquadrata tra due avancorpi. Non è da escludere l’ipotesi che intorno alla cisterna esistesse una zona pavimentata che, con opportune pendenze e canali, costituiva il bacino di raccolta dell’acqua, insieme alla copertura della stessa cisterna.
Più conforme alla realtà, invece, è la forma quadrilatera piuttosto allungata con gli angoli arrotondati sul lato del corso che appare in un disegno, della fine del XIX secolo, redatto dall’architetto Michele Masotino, per la rettifica di via Obelisco e l’apertura di via Verdi. La piattaforma della cisterna, prima della costruzione dell’edificio su di essa collocato, appare come uno spiazzo, col nome di Piazzetta Fratelli Bandiera: odonimo che per il vero ancora oggi si è conservato, anche se il luogo ha perso la sua natura di spazio urbano.
La parte emergente della cisterna all’esterno ha perso i suoi caratteri originali e, come vedremo, l’immagine attuale è il risultato di importanti lavori di trasformazione che ha subito durante i primi anni del ventennio dell’Ottocento. Sulle pareti laterali della piattaforma sono praticate una serie di bucature, rispettivamente: 2 sul lato che si affaccia sul corso, 5 sul lato opposto, di cui solo le 2 ravvicinate sono aperte, 2 sul lato dove si trova anche la porta di accesso, entrambe tamponate, e una sul lato ad esso opposto, anch’essa chiusa. La piattaforma, pur se completamente alterata nel suo aspetto conserva un’importante testimonianza costituita dallo stemma della città di Bitonto e da un’iscrizione, ricollocati sulla parete posteriore. Lo stemma è quasi irriconoscibile, mentre l’epigrafe, ancora perfettamente leggibile, e riportata nel libro Stemma e gonfalone del comune di Bitonto di Donato De Capua, attribuisce l’opera al merito del sindaco Marco Antonio De Rubeis nell’anno 1581.
La cisterna, oggi, si presenta come un’ampia terrazza recintata da una balaustra in pietra forata, sul lato prospiciente il corso, opera del lapicida bitontino Francesco Paolo Moretti, come ci riferisce lo studioso locale Antonio Castellano in un suo scritto sul manufatto. Su di essa insiste un piccolo edificio, pare adibito originariamente a bagni pubblici, realizzato nel 1911, su progetto del tecnico comunale architetto Giuseppe Masotino. L’edificio, caratterizzato nelle ornie da decori con stilemi vagamente liberty, non occupa l’intera superficie della terrazza e asseconda l’allineamento dei corpi di fabbrica del corso. Negli anni Trenta del Novecento viene destinato ad ospitare l’O.N.B. (Opera Nazionale Balilla) l’istituzione che si occupava dell’assistenza e dell’educazione fisica e morale dei giovani nel ventennio fascista. Successivamente diventa la sede storica del Partito Comunista Italiano e dei vari partiti in cui lo stesso si è evoluto. Negli anni ’60-’70, invece, lo spazio interno della cisterna è stato occupato da una sala giochi, molto frequentata dai ragazzi di quel periodo.
La grandiosità della cisterna all’esterno non è percepibile, solo vedendo l’interno si riesce ad apprezzare la notevole opera dell’invaso ricavato nella roccia. Basti pensare che questo serbatoio, assieme a quello di Santa Teresa era l’unico capace di contenere ancora acqua dopo una siccità di 8 mesi. L’accesso avviene mediante una porta laterale e qualche gradino. Dapprima si entra in un piccolo ambiente, coperto da una volta a botte e illuminato da una bucatura sulla parete di fondo. Questo, assai probabilmente, era il punto di immissione dell’acqua e funzionava come “sentina” o “purgatoio“: uno spazio filtro per far depositare il limo e i detriti. Nell’invaso, invece, si scende mediante una scala a tre rampe, forse costruita in un secondo momento.
Una volta giunti all’interno si resta sorpresi dalla vastità dello spazio e dalla perfezione dell’opera muraria. Il notevole serbatoio è suddiviso in due navate da tre grandi pilastri, che sorreggono quattro arcate centrali, mentre sui muri dei lati lunghi si impostano due volte a botte a sesto ribassato e sono ricavate delle aperture. Queste, originariamente, erano quattro per lato e coincidenti tra loro. Ora, invece, sono visibili solo le quattro che si affacciano sulla parete posteriore della parte emergente, di cui solo una effettivamente è aperta, quella posta in relazione alla scala, mentre le altre sono tamponate sul filo esterno del muro. Sul fronte del corso, invece, sono aperte solo le due collocate alle estremità, mentre le due intermedie poste in corrispondenza della scalinata esterna, utilizzata per l’accesso alla piattaforma, sono state tamponate, addirittura con la ricostruzione della volta, ma rimane leggibile la traccia della loro vecchia esistenza.
I muri sono costruiti da blocchi di pietra a faccia vista lavorata a bozze rustiche con giunti sottili: un’esecuzione perfetta che doveva garantire una certa tenuta all’acqua e una lunga durata del manufatto. La finitura delle volte, invece, appare diversa da quella dei muri, molto più grossolana. Malgrado questa differenza non vi è alcun dubbio che la struttura sia sorta in maniera unitaria e la differente lavorazione delle pietre è legata molto presumibilmente ad un aspetto costruttivo, forse per permettere una maggiore rapidità di esecuzione e di risparmio economico. Il pavimento originario non è più visibile: è nascosto da uno strato di cemento, probabilmente realizzato per rendere il calpestio praticabile, quando lo spazio è stato adibito a sala giochi. Le lamie presentano ancora, pur se tappati, i sei fori quadrati per il prelievo dell’acqua. Questi non sono collocati sulla chiave, in asse alle volte, ma in una posizione più ravvicinata alle arcate del centro: una soluzione forse dettata dalla necessità di ottenere una più importante suddivisione sulla superficie esterna della terrazza. Qui le vere erano disposte su due file a distanze regolari e potevano essere costituite da grandi blocchi monolitici di forma ottagonale, come quelle presenti nelle cisterne di S. Teresa e del Carmine.
Nell’Ottocento la Cisterna della Corriera è interessata da una serie di interventi per la sua risistemazione. Il manto di copertura in lastre di pietra, infatti, risulta piuttosto malmesso, segno che nel Settecento la struttura, forse, non ha avuto la necessaria manutenzione. Ancora una volta il protagonista è l’architetto di Polignano Giuseppe Gimma, allora tecnico delle opere comunali. Dalla lettura dei documenti dell’Archivio comunale di Bitonto, conservati presso il Museo Archeologico, Fondazione De Palo-Ungaro, si rileva che il Gimma elabora un piano di recupero per la cisterna il 28 marzo 1820. Il documento nonostante sia continuamente citato nelle scritture, non è presente tra gli atti. Così come anche la perizia redatta il 26 marzo dello stesso anno, menzionata in un articolo del contratto d’appalto. Il 29 luglio 1820 il sindaco Ignazio Carducci, attraverso un manifesto “Fa noto che devesi ristaurare la gran Cisterna pubblica di questo Comune esistente al fianco della strada che dalla Porta Baresana porta a S. Leo, la quale giace quasi perduta, per le acque lorde che vi si immettono dalla strada stessa” … e prosegue con l’invito a partecipare alla gara d’appalto per il ristabilimento del manufatto.
Il contratto d’appalto viene stipulato il 29 ottobre 1820 e se lo aggiudica il capomastro Carlantonio Caiati, lo stesso della prima fase dei lavori della Pescara della Commenda,mentre Nicola Sorgente è il garante dell’opera. L’atto, composto da 25 articoli, non solo riporta in maniera dettagliata tutte le opere da realizzare e gli adempimenti a cui l’appaltatore si deve attenere, ma chiarisce le intenzioni progettuali del Gimma. Il piano dell’architetto in sostanza prevede di riadattare la parte emergente della struttura alla strada, con interventi puntuali: “trovandosi del tutto logora la copertura della cisterna e dovendosi ridurre il lato verso la strada come pure la scalinata con i muri di risalto che deturpano la strada stessa” (articolo 1). “La demolizione dell’antico muro di detto lato e sua riduzione con nuova fabrica ad uso di metterci la proposta scalinata” (articolo 2). Inoltre “per ristabilirsi la citata copertura della cisterna con nuove pianole (articolo 3), è necessario lo “svellimento della pianolata esistente ridotta quasi in frantumi” (articolo 5). Infine si prevede la riduzione su tre lati della cisterna (articolo 6). La parte fondamentale del progetto del Gimma, però, consiste nella sistemazione del “Campo di S. Leone“: il luogo dove una volta si svolgeva l’importante Fiera rinomata fin dal Medioevo e citata dal Boccaccio nel Decamerone. È evidente che con la progressiva urbanizzazione dell’area circostante alla Pescara, il Gimma prende in seria considerazione l’opportunità di reperire l’acqua lontano dall’abitato e far confluire le acque pulite raccolte da quest’area alla cisterna.
Difatti nel contratto di appalto viene specificato che “per condursi in essa cisterna le acque pulite raccolte nella parte del Campo di San Leo, che gli servirà di dote, conviene formarsi un condotto sotterraneo, sotto il marciapiede della strada a destra, andandosi dalla Porta Baresana verso San Leo, di lunghezza dal suo principio sino alla cisterna palmi 700, larghezza di puro vano 3 e 1/2 di altezza anche di vano palmi 6 … il taglio di esso condotto viene fatto nella roccia” (articolo 7)…“Al principio del condotto verso San Leo ed al suo estremo aderente alla cisterna devono formarsi due recipienti ad uso di sentina o di purgatoi ciascuno di palmi 15 di lunghezza, larghezza 10 palmi e di profondità palmi 18” (articolo 10). Più avanti viene esplicitato che, non solo “deve compianarsi il largo di San Leo per servire come dote alla cisterna” (articolo 16) … ma “come prevista dalla perizia dell’ingegnere Giuseppe Gimma del 26 marzo si deve regolarizzare la superficie del largo di Porta Baresana e il cavo necessario allo spianamento delle prominenze sarà necessario al riempimento della strada per Santo Spirito fino al Campo di San Leo” (articolo 17). Insomma, mentre i lavori di rimodellamento della Pescara della Commenda furono la conseguenza delle opere necessarie alla sistemazione della piazza davanti a Porta Robustina, qui, al contrario, il Gimma coglie l’occasione, dovendo risolvere la questione tecnica legata alla “dote” della Cisterna del Corso, per restituire un nuovo assetto a quella che è divenuta l’attuale Piazza Aldo Moro.
Egli, comunque, presenta anche un disegno con l’intestazione: “Pianta della parte del Campo di S. Leo a Bitonto cinta da muri ed arbusti per cui si osserva la porzione ridotta per dote della pubblica cisterna ultimamente ristabilita”, per meglio illustrare la sua opera. Il progetto, datato 8 maggio 1822, è pubblicato nello straordinario saggio scritto dal professor Angelo Ambrosi, dal titolo “Su alcune cisterne pubbliche a Bitonto tra XVI e XIX secolo“, ed appartiene oggi ad una collezione privata, come specificato in una nota del saggio stesso, a cui questo ciclo di articoli rende merito. Il progetto prevede una rete di vialetti o di canali a cielo aperto in cui l’acqua piovana doveva incanalarsi fino a raggiungere poi, con la pendenza naturale del terreno, la “sentina” della cisterna.
È interessante seguire la sequenza cronologica delle opere realizzate attraverso una serie di documenti redatti dall’architetto Giuseppe Gimma, che poi altro non sono che le misurazioni dei lavori eseguiti dall’appaltatore Carlantonio Caiati. Entro il 28 dicembre 1820, dopo la demolizione della volta di copertura, vengono eseguite le opere di pulizia dell’antica sentina, aderente alla cisterna, perché ingombra di limo, l’abbassamento del fondo della stessa e lo scavo nella roccia per la realizzazione della nuova sentina, prevista dal progetto di Gimma, diretta verso il largo di San Leo. Seguono fino al 3 febbraio 1821 il rifacimento delle volte sia dell’antica sentina, aderente la cisterna, che della nuova. Al 26 febbraio 1821 sono datate la messa in opera dei 5 gradini della scalinata, la demolizione dell’antico muro sul lato del Corso, i tagli degli angoli della piattaforma, e i lavori di rifinitura dei cantoni degli angoli tagliati. È assai probabile che il Gimma sia stato costretto a rettificare il fronte principale della cisterna per renderlo parallelo alla cortina del corso. Entro il 20 marzo 1821, dopo lo svellimento dell’antica pianolata ridotta quasi in frantumi, viene eseguita la nuova copertura di chianche, sopra la volta della cisterna, e la risistemazione delle “sei bocche in pietra ciascuna di un pezzo di pietra di 5 palmi in quadro”.Fino al 15 settembre 1821si porta a compimento l’opera con il rialzamento della palude costituito dal Campo di San Leo.
La Cisterna della Corriera, come già anticipato, nel 1886 probabilmente non era più utilizzata, poiché il Corso era divenuto, nel frattempo, un luogo oramai troppo trafficato, già sistemato e pavimentato tra il 1821 e il 1858, come si rileva dai documenti dell’archivio comunale. Difatti non è interessata dalla dotazione dei filtri in muratura progettati dall’architetto Michele Masotino, e previsti dall’amministrazione per rendere potabili ed igieniche le acque piovane, a differenza delle altre tre grandi cisterne pubbliche, sicuramente ancora funzionanti.
È innegabile che questi scrigni di pietra, in cui veniva raccolto il prezioso liquido, fonte di vita, rappresentano la testimonianza dell’antica cultura materiale dell’acqua, oramai definitivamente scomparsa. L’abbandono di questi manufatti dismessi, che lentamente vanno in rovina, pone il problema fondamentale della conservazione e della valorizzazione, e se necessario, come in questo caso, anche del “riuso”. La Pescara del Corso, infatti, patrimonio della nostra storia, con il suo suggestivo invaso di pietra, forte segno di civiltà, come contenitore ben si presta ad una operazione di recupero, pure per via della sua prestigiosa posizione e della sua accessibilità. Pensiamoci!
Nella foto in alto, la “Cisterna della Corriera” sul corso di Bitonto, più comunemente nota come “La Pescara”. Le foto sono di Domenico Fioriello
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