“Ti porto a Bari, amore mio”. È la promessa che Alberto Sordi fa a Monica Vitti in Polvere di Stelle, il film del 1973 in cui una scalcinata compagnia di avanspettacolo si ritrova a mettere in scena, con grande successo, un varietà per gli alleati che hanno da poco liberato il capoluogo pugliese: soldati statunitensi, dai gusti non proprio raffinati. La soubrette Dea Dani e il comico Mimmo Adami guidano per mano lo spettatore alla scoperta di una città magica e misteriosa, seguendo il profumo del sale che si leva dal centro storico e arriva fino in cima alle torrette medievali e alle madonne appese.
Per i baresi, resta saldo il ricordo della scena girata davanti al Petruzzelli, con tanto di inchino degli attori in segno di ammirazione. Ma per tutti resta indelebile una canzone, triviale e irresistibile: Ma ‘ndo Hawaii, scritta dallo stesso Sordi, con quel ritornello scolpito nella memoria collettiva: “Ma ‘ndo vai se la banana non ce l’hai?”. Qualcuno più attempato ricorda in queste ore sui social, commosso come tutti dalla scomparsa di Monica Vitti all’età di 90 anni, di averla incontrata in quei giorni alla Pignata, lo storico ristorante barese di Franco Vincenti, in cui i due protagonisti del film si fermavano volentieri.
Protagonista delle riprese di Polvere di Stelle fu anche il Grand Hotel delle Nazioni, sede del fittizio quartier generale delle truppe alleate, l’albergo di lusso che i baresi avevano soprannominato, non a caso, Il Transatlantico: guardando verso il mare dalla terrazza curva al primo piano, sembrava di essere sulla tolda di una nave. Solo gli interni, tuttavia, erano quelli reali dell’edificio barese, mentre l’esterno era quello dell’ex casinò Paradiso sul mare di Anzio. E, così, anche il porto che si vede nel film non è quello di Bari ma quello di Napoli, dove attraccavano le navi della marina americana al molo San Vincenzo.
Le riprese del film di Sordi non furono però la prima occasione per Monica Vitti di girare in Puglia. Era la fine degli anni sessanta quando la troupe di Mario Monicelli vi arrivò per girare La ragazza con la pistola, storia di una giovane donna violentata e poi abbandonata, che insegue il suo aguzzino fino al Regno Unito per vendicarsi. Le scene iniziali furono girate a Polignano a Mare, altre nella vicina Conversano e poi sull’Alta Murgia. È il film che in molti, sbagliando, indicano come quello della svolta verso la commedia per Monica Vitti, che in realtà, già dopo Deserto Rosso di Antonioni, nel 1964, aveva dato una fortissima sterzata alla sua carriera, recitando ne Il Disco Volante per Tinto Brass, che all’epoca era un regista anarchico e sperimentale, non ancora erotico.
Un film con Alberto Sordi in cui Brass non la incastra nel consueto personaggio ma la lascia libera di interpretarlo con personalità. È lì che Monica Vitti smette di fare le borghesi sofferenti e spiazzanti di Antonioni e inizia a mettere a punto il suo modello fatto di contrasti esibiti e non nascosti. Capelli spettinati e abiti in piega, appeal sessuale fortissimo e voce roca non mitigata, anzi enfatizzata, grande tempo comico ma gestualità e mimica al minimo, grandissima coolness all’italiana e sbadataggine da commedia.
Quello di Monica Vitti, infatti, è stato un lungo, stancante percorso che da “testimone” alle dipendenze di qualcuno (generalmente un regista maschio, dotato di testicŭlus, appunto “testimone”, testis, della virilità) l’ha portata ad essere padrona del proprio sguardo. Un percorso che si è compiuto ironicamente solo con l’ultimo film della sua carriera, quello Scandalo Segreto che scrisse e diresse nel 1989. La trama è di per sé emblematica: il personaggio di Margherita, interpretato dalla stessa Vitti, riceve una videocamera come regalo di compleanno da un amico regista. L’intero film è raccontato attraverso l’obiettivo di quella videocamera, che Margherita posiziona in casa e a cui comincia a raccontare incessantemente gli aspetti più intimi della propria vita, concedendosi completamente allo sguardo di un occhio in grado di attivarsi anche senza il consenso della donna.
Si scopre, infatti, che quel regalo altro non è che uno strumento per spiare e registrare le confessioni dal vivo della protagonista, utili per un ipotetico film che il suo “amico” vorrebbe realizzare sfruttando proprio il materiale autobiografico raccolto in maniera truffaldina. Attraverso il liberatorio gesto finale, quando Margherita trova la forza per scaraventare giù dal balcone la telecamera, Monica Vitti riuscì a scardinare i limiti imposti alle donne in un’industria cinematografica dominata dagli uomini, invitando una futura generazione di registe a raccontare solo le storie che sentivano proprie.
Era il 1972, un anno prima di girare Polvere di Stelle, quando l’attrice romana già cominciava a lamentare, sulle pagine del magazine Bianco e Nero, la mancanza per le attrici di ruoli alternativi a quelli che l’immaginazione maschile aveva cucito loro addosso: “È incredibile come ci siano così pochi registi e sceneggiatori a chiedersi seriamente cosa pensa una donna, cosa la muove. Quante volte gli sceneggiatori mi hanno detto: “Ma mia cara Monica, come posso scrivere storie per te? Sei una donna. E cosa fa una donna? Non va in guerra, non ha un lavoro interessante. Cosa posso scrivere per te se non una storia d’amore? Fai un figlio con uomo, lui va via, tu soffri”. Monica Vitti ha sempre lottato affinché si potessero scrivere storie diverse e interessanti per le donne, ma soprattutto si è impegnata affinché le donne potessero scriversele da sole.
Non è un caso se Anne Carson, poetessa canadese tra le più ammirate del novecento, spesso citata tra le possibili vincitrici del nobel per la letteratura, abbia dedicato proprio a Monica Vitti una serie di poemetti pubblicati in origine sulla London Review of Books e poi confluiti nella raccolta Decreation (2005). In quei versi è racchiuso tutto lo sforzo che ha attraversato la carriera dell’attrice romana: il lavoro, lungo decenni, per emanciparsi finalmente dallo sguardo maschile e imporre una presenza femminile al cinema, in grado di prescindere dagli uomini che la desiderano, la inseguono, ne determinano l’esistenza. Una sintesi poetica perfetta di quella che è stata una carriera tutta tesa a disinnescare l’idea della donna sul grande schermo come modello idealizzato che esiste solo per tranquillizzare la fantasia maschile.
In alto, Alberto Sordi e Monica Vitti nel manifesto del film “Polvere di Stelle”