La pescara pubblica sulle pendici di Lama Balice

Con la cisterna di Santa Teresa prosegue l'itinerario alla scoperta dell'antico sistema di approvvigionamento idrico della città di Bitonto

Tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII, l’Università di Bitonto realizza, per la parte più povera della popolazione, tre cisterne pubbliche, restaurate poi nel XIX secolo. Queste riserve idriche sono costruite fuori dalle mura (leggi qui), in prossimità delle porte di accesso alla città antica (leggi qui), in luoghi non casuali ma strategici: siti particolarmente idonei a raccogliere l’acqua piovana e che naturalmente apportano la conveniente “dote” ai serbatoi. Abbiamo già visto in precedenti articoli, la Pescara della Commenda (leggi qui), situata fuori Porta Robustina, sulla via Traiana (la strada per Ruvo) e la Cisterna della Corriera (leggi qui) oltre Porta Baresana, sulla via per la marina verso il convento di San Leone.

Ci occupiamo, questa volta, della cisterna dislocata in prossimità di Porta Pendile, attigua alla chiesa di Santa Maria del Popolo, chiamata, dopo l’insediamento dei carmelitani teresiani, semplicemente Santa Teresa. Da qui il nome di Pescara di Santa Teresa, struttura la cui storia, almeno nelle date più significative, è segnata nelle epigrafi collocate sul manufatto, mentre conosceremo più dettagliatamente le sue vicende attraverso documenti d’archivio.

Vista zenitale dell’area di Santa Teresa, su cui insiste la cisterna

La Cisterna di Santa Teresa è stata costruita all’inizio del Seicento, a mezza costa sulle pendici del vallone, nei pressi dell’omonima chiesa e dell’annesso convento. La sua “dote”, intesa come bacino di raccolta dell’acqua piovana, è costituita da Piazza Carmine Sylos: lo spiazzo antistante la chiesa, che viene alimentato da acque provenienti da Via Raffaele Abbaticchio e da Via Megra, poste rispettivamente a sinistra e a destra di chi guarda la chiesa. Il manufatto è realizzato in muratura, fatta di pietra a conci grossi sbozzati, dello stesso tipo di quelli visibili all’interno della Pescara del Corso. L’impianto è di forma quasi rettangolare, con il lato lungo, a settentrione, rivolto verso la Lama. Questo in passato era interamente visibile, mentre oggi risulta in gran parte occultato, dopo la realizzazione di un terrazzamento di proprietà privata. Anche il lato orientale una volta era a vista, prima della costruzione di un recente edificio in aderenza. La copertura della cisterna ha una pavimentazione a grandi lastre, organizzata attualmente con una pendenza che convoglia le acque, secondo un impluvio, verso monte, a sud, in un punto che si trova sul retro della fontana posta all’esterno. Tale sistemazione del piano di copertura, come vedremo, non corrisponde a quella prevista in fase di restauro ma, assai probabilmente, neanche a quella della costruzione originaria.

Il piano, poi, è caratterizzato da quattro bocche per il prelievo dell’acqua, formate da grossi blocchi monolitici ottagonali. Il piano della cisterna è circondato, su tre lati, da muri di pietra, che risvoltano ad uncino sul quarto lato, ad ovest, lasciandolo parzialmente libero. Tra le due porzioni murarie si interpone una scalinata, che forma un accesso dal carattere monumentale. Sui due corti fronti murari sono presenti delle iscrizioni, oggi in parte coperte dal livello stradale rialzato, trascritte, così come le vediamo, nel già citato libro “Stemma e gonfalone del comune di Bitonto” di Donato De Capua. A sinistra si trova l’epigrafe che riporta la data di costruzione, avvenuta nel 1612, assieme ad una serie di nomi, che rappresentano sicuramente le figure protagoniste dell’edificazione della cisterna, tra cui il sovrano di Spagna Filippo III, detto il Pio, regnante di Napoli dal 1598 al 1621, il sindaco di Bitonto Giovanni Vincenzo De Rubeis, il notaio Michele Vacca e infine due deputati Antonio Gentile ed un altro, il cui nome risulta purtroppo illeggibile.

La presenza, tra i nomi, del re di Napoli Filippo III, lega questa cisterna all’aneddoto della tradizione locale, secondo la quale, in occasione di una visita del sovrano alla città di Bitonto, un anonimo popolano abbia urlato al re, sotto forma di richiesta, “Acque a re féuve”. Tralasciando i particolari della vicenda, a seguito dell’avvenimento, si presume che il sovrano abbia sollecitato l’Università di Bitonto a costruire una cisterna, che nei fatti è stata quella di Santa Teresa. Infatti occorre, a tal proposito, confutare la credenza in base alla quale tutte e quattro le cisterne pubbliche sono state realizzate dopo questo episodio, come si evince da diverse pubblicazioni. Non è affatto vero, poiché Filippo III sale al trono il 1598, e a quell’epoca la Pescara della Commenda forse era già stata costruita, si suppone sia antecedente alla Cisterna della Corriera, che risale al 1581, una data certa riscontrabile dall’epigrafe sul manufatto, mentre la Cisterna del Carmine viene edificata nel XIX secolo, come si rileva da documenti d’archivio, che vedremo in seguito. L’epigrafe posta a destra, invece, in parte abrasa, si riferisce al restauro, eseguito nel 1822, e porta al di sopra lo stemma della città, che, quasi certamente, è da attribuire all’epoca della costruzione da parte dell’Università della città. A mezzogiorno, sul lato prospiciente la chiesa, addossata al muro esterno, vi è una fontana, chiamata volgarmente “abbeveratoio”, per la presenza della grande vasca di cemento sottostante, che ha sostituito, probabilmente, una “pila” più antica in pietra.

Epigrafi apposte sulle testate murarie della cisterna di Santa Teresa: a sinistra quella relativa alla costruzione (1612), a destra quella del restauro (1822) con lo stemma sovrastante della città

Per ciò che concerne la costruzione della cisterna, l’architetto Angelo Ambrosi nel suo straordinario saggio, dal titolo “Su alcune cisterne pubbliche a Bitonto tra XVI e XIX secolo” – che abbiamo già menzionato, ma che vale la pena nuovamente citare, tanto è stato rilevante per questo ciclo di articoli – riporta un documento del 1611, ritrovato presso la Biblioteca De Gemmis, relativo alla gara d’appalto indetta dall’Università di Bitonto. Questo documento, di grande interesse, precisa punto per punto le caratteristiche che la costruzione doveva possedere per raccogliere l’acqua. Fra l’altro, ci informa che l’opera era già iniziata da parte di due maestri bitontini, Imperio e Jonno de Leone e altri mastri di Modugno: si trattava, quindi, di completare un lavoro già iniziato. Infatti sono nominati dall’Università, come “Deputati a far complire il lavoriero della Pescara”, Giovanni Ambrogio Gentile e Giuseppe Termite. Quest’ultimo quasi certamente identifica il nome illeggibile sull’epigrafe di sinistra posta sulla cisterna. Nel contratto si fa anche riferimento ad una porta di accesso da lasciare nel muro, e una rampa, utile per la discesa al fondo della cisterna e la pulizia del limo depositato: elementi costruttivi oggi purtroppo non più rintracciabili, forse perché eliminati con lavori successivi. Nel contratto, inoltre, si fissano i tempi della gara d’appalto, per il 10 marzo del 1612, e la fine dei lavori, previsti per il mese di novembre dello stesso anno. L’opera, effettivamente, viene portata a termine entro quell’anno, nei tempi indicati, come ci conferma l’epigrafe stessa apposta sul manufatto. Durante il secolo successivo la cisterna cade in uno stato di degrado, subendo, quindi, lo stesso destino della Pescara del Corso, anch’essa perciò viene restaurata, negli anni venti dell’Ottocento, come risulta anche dall’altra iscrizione. Dalla lettura dei documenti dell’Archivio comunale di Bitonto, conservati presso il Museo Archeologico della Fondazione De Palo-Ungaro, si rileva che, come per la cisterna sul Corso, anche qui, incaricato per il restauro è l’architetto Giuseppe Gimma, poiché in quel periodo ricopriva la carica di tecnico per le opere comunali.

Trascrizioni delle epigrafi tratte dal libro “Stemma e gonfalone del Comune di Bitonto” di Donato De Capua

Prima di proseguire, però, con la descrizione dell’intervento di restauro, considerando che tutte le cisterne che abbiamo visto sin qui, per le opere di risistemazione, sono accumunate dal lavoro dell’architetto Giuseppe Gimma, ci sembra interessante tracciare un profilo di questa figura professionale, che ha operato in Puglia, tra la fine del XVIII e i primi anni del XIX secolo, ma che è ancora poco conosciuta. Ricaviamo alcune notizie da una nota biografica, curata dal centro culturale “u Castarill” della sua città natale. L’architetto-ingegnere Giuseppe Gimma nasce a Polignano il 13 luglio del 1747 da Mario Rocco Gimma, maestro muratore, e Lucia Colella. La sua famiglia compare nei registri capitolari però col cognome Gimmo. Nella seconda metà del ‘600, molti maschi della famiglia Gimmo erano mastri muratori, più o meno affermati, che svolgevano l’attività prevalentemente nel territorio polignanese.

Più prestigiosa, invece, era la famiglia Colella, da cui discende la madre. Giuseppe Colella, il nonno dell’architetto Gimma, infatti, era un affermato capomastro muratore, di origine napoletana, che sposando la cittadina barese Pasqua Bottalica, si trasferirà con tutta la famiglia a Polignano. È in questo contesto familiare intergenerazionale che si inserisce la vita di Giuseppe Gimma, e si spiegano le scelte professionali e il suo successo, che lo portano durante la vita a ricoprire incarichi di prestigio estesi su tutto il territorio pugliese. Proprio per dare maggior respiro e prestigio alla sua professione, Gimma, si trasferisce a Bari abitando in strada Macario, dove risulta domiciliato dal marzo 1779 all’aprile 1787. Ritornerà nella stessa abitazione, a seguito del matrimonio con Maria Campanella, avvenuto a Barletta il 15 aprile 1790, dopo un’assenza di tre anni, per rimanervi fino al 1813, anno in cui si trasferirà nella dimora di via S. Domenico, nella quale, poi, morirà la sera del 21 aprile 1829. Tra le opere di ingegneria, il lavoro più prestigioso gli viene affidato nel 1809 in qualità di Ispettore per la bonifica dei cinque porti della Provincia di Bari: Barletta, Trani, Bisceglie, Bari, Mola.

I blocchi in pietra delle bocche ottagonali per il prelievo dell’acqua

Purtroppo a Bitonto come tecnico comunale, da progettista, sarà impegnato soprattutto in interventi di restauro su opere pubbliche, che interessano non solo le cisterne e la condotta fognaria, ma anche altre fabbriche. Nella scheda su Giuseppe Gimma, contenuta nel libro “Note sulle vicende edilizie e urbanistiche a Bitonto dal XVIII al XX secolo” dello studioso locale Antonio Castellano, troviamo cenni a Porta Baresana e Palazzo del Sedile in Piazza Cavour, le trasformazioni del Palazzo della Regia Corte e degli ex conventi di San Francesco della Scarpa e di San Domenico. Sarà pure l’artefice della realizzazione delle due importanti strade extraurbane comunali per Santo Spirito e Palombaio, il cui iter progettuale si inizierà nel 1807 e si protrarrà fino al 1837, ben oltre la morte del Gimma.

Tra le opere per la via del Palombaio viene costruito il ponte San Marco: l’unica struttura ex novo, rappresentativa della sua attività architettonica sul nostro territorio, realizzata nell’omonima contrada, attraversata dalla Lama Balice, e ultimata nel 1823. Si tratta pur sempre di una struttura di carattere idraulico, che si contraddistingue, nel suo aspetto formale, per la sua massa muraria molto essenziale. Il ponte, ad un unico fornice, resisterà persino alle due grandi alluvioni, quella del 29 agosto del 1833 e l’altra più disastrosa del 1° ottobre del 1846, che distruggeranno i ponti di Santa Teresa e del Carmine. Gimma, come architetto, dimostra di essere dotato di notevoli capacità tecniche, non impregnate di solo accademismo e rivolte a problemi pratici secondo una concezione del lavoro che non si limita al solo edificio ma a tutti i problemi legati alla costruzione, manifestando con ciò un grande impegno pure verso le questioni sociali.

Vista del Ponte di San Marco dall’alveo della Lama Balice, opera dell’architetto Giuseppe Gimma (1823)

Ritornando alla cisterna di Santa Teresa, dalla prima perizia redatta dal Gimma, contenuta negli “Atti d’appalto del restauro riduzione e nuove opere alla gran cisterna pubblica situata nelle vicinanze della chiesa e convento delli ex teresiani”,  dell’Archivio Comunale di Bitonto, si percepisce tutta l’ammirazione del tecnico, esperto di idraulica, per la struttura e l’estrema volontà di riattivarla quanto prima, per procurare acqua alla città.

La perizia, datata 14 agosto 1820, è composta da 35 articoli, e tutto il contenuto in seguito costituirà parte integrante del contratto d’appalto dei lavori. Il Gimma, apre l’elaborato tecnico con la descrizione della cisterna nei suoi rapporti dimensionali al primo punto. Inserisce nelle voci successive le opere da eseguire relative al rifacimento della copertura, dei parapetti, delle due scalinate, originariamente tra loro contrapposte. Aggiunge, poi, una serie di articoli, nei quali riporta le indicazioni sui dettagli con cui queste stesse opere devono essere eseguite. Contempla nel progetto anche la risistemazione dello spiazzo e dell’area circostante. Chiude infine con alcuni articoli di carattere economico ed amministrativo. È interessante trascrivere alcuni passi della perizia per poterne meglio apprezzare il contenuto, attraverso le parole stesse di Giuseppe Gimma: “L’enunciato vasto recipiente di acque piovane, tanto necessario alla popolazione bitontina, la di cui struttura ha dovuto costare all’età passata somma molto considerevole, per essere il suo vano di lunghezza palmi 150 (equivalenti a 39 metri, ndr) larghezza palmi 30 (pari a metri 7,80, ndr) che può contenere fino a palmi 30 di acqua in altezza, esigge primieramente che sia stabilmente riparato nella sua copertura di pianole, con levarsi d’opera quelle che esistono e rimettersi le pianole nuove ove mancano. Essa intiera copertura ha la lunghezza di palmi 140 e la larghezza di palmi 39, tra i muri dei parapetti, e lateralmente alla strada verso Ponente vi sono altre due porzioni ciascuna di palmi 9 per 6 e un quarto, meno però la parte occupata dalle quattro bocche, ogniuna di palmi 6 in quadro” (articolo 1). 

Foto storica con il ponte, la chiesa di Santa Teresa e l’annesso convento, e la cisterna prospiciente il Vallone

Gimma continua definendo la quantità di “pianolata residuale da farsi nuova” (articolo 2) e la preparazione necessaria: “sotto l’intera pianolata” dove “deve eseguirsi il masso di ottima fabbrica di pietre minute”(articolo 3). Stabilisce, inoltre, che”Deve compianarsi la pianta di detta nuova pianolata … con pendenza tale che le acque raccolte in essa nuova copertura piombino nella prossima esistente sentina a Levante” (articolo 4), posta, quindi, sul lato opposto alla scala tuttora presente: un’immagine del piano della cisterna molto diversa da quella che vediamo attualmente. Infatti, poi, chiarisce che, “Si monta alla copertura di essa cisterna con due grade. Quella di Ponente è in buono stato … L’altra verso Levante in cattivo stato deve scomporsi e rifarsi con otto scalini… questi scalini si avranno dagli esistenti … e li rimanenti si prenderanno dai pezzi che ora coprono i parapetti antichi della cisterna che sono di eguale lunghezza … dovendosi rilavorare con la sedici denti e martellina fina e scalpellatura nei canti” (articolo 5). Per la sistemazione di questa scala “Devono costruirsi i due nuovi parapetti laterali ad essa grada ciascuno di lunghezza di palmi 10 dal muro della cisterna sino al primo scalino” (articolo 7) e “devono vestirsi di linee a bozzo dentro e fuori le stesse due pettorate” (articolo 8). Aggiunge una serie di indicazioni sui dettagli esecutivi: devono terminarsi di demolire l’esistente pettorate in giro della copertura della cisterna, e rifarsi solide di ottima fabbrica … che rivotteranno nella nuova grada” (articolo 9), … “le stesse pettorate devono coprirsi di pezzi di pietra” (articolo 12), … e “tra i pezzi di essa copertura devono ricavarsi le micce alternativamente di maschio e femmina (articolo 13): un dettaglio costruttivo per l’ancoraggio degli elementi lapidei. Inoltre “devono nettarsi le due sentine attuali o siano purgatoi di essa cisterna ogniuna di palmi trenta per dieci di puro vano e di profondità palmi otto” (articolo 14) e intervenire su “Lo spiazzo nel largo cosiddetto di Santa Teresa, che serve di dote alla predetta cisterna e per il quale passar devono le acque provenienti da una strada superiore, si trova talmente guasto che le acque in esso raccolte e le altre che vi passano si versano nella sottoposta valle dalla via di Levante, conviene dunque che contemporaneamente alle riparazioni sia configurata regolarmente la faccia di esso spiazzo in modo che le acque vadano tutte a piombare tutte nel corrispondente purgatoio per quest’effetto dovrà farsi il cavo della terra mista a pietra nella faccia del citato spiazzo” (articolo 20).

La cisterna di Santa Teresa vista da Piazza Carmine Sylos

Il progettista dovendo risolvere la questione tecnica legata alla “dote” della cisterna, così come era già accaduto per la Pescara del Corso, dove, per lo stesso problema, era riuscito a dare un nuovo volto a quella che poi è divenuta l’attuale Piazza Aldo Moro, anche qui, non perde l’occasione, per restituire un nuovo assetto a Piazza Carmine Sylos. Di fatti, oltre al restauro della cisterna, si preoccupa di mettere in campo una serie di interventi connessi alla sistemazione dell’area, prevedendo, nello specifico, un muraglione a protezione del lato dello spiazzo, che si affaccia sul vallone del Tiflis, dal quale veniva continuamente eroso. Questo muraglione, di raccordo tra la cisterna e il ponte di Santa Teresa, aveva l’obiettivo di non far disperdere le acque piovane, nel sottostante invaso carsico, e di convogliarle nelle sentine, e allo stesso tempo stabilisce, con il proprio limite, una definizione formale allo spiazzo.

Per Gimma, quindi, “risulta di positiva necessità che alle appresse riparazioni della cisterna pubblica si unisca la struttura di un grosso muro che custodisca la citata ripa” (articolo 21), cioè il costone di cui aveva innanzi parlato. Di seguito Gimma riporta la “modifica dell’ingegner Prade” (articolo 22), da apportare al muraglione previsto: approvata come variante dal tecnico di prima classe del dipartimento di “Ponti e Strade”: l’equivalente del nostro Genio Civile nel Regno di Napoli. Aggiunge poi che “fra il descritto nuovo muro e la ripa esistente deve colmarsi di materia il vano che resta (articolo 25), quindi, l’opera andava completata con un’operazione di riempimento. Poi per la realizzazione di questo muraglione precisa i dettagli relativi a “la pettorata necessaria ad elevarsi sopra  il descritto muro” (articolo 26), il rivestimento (articolo 27), la copertura (articolo 28), e le micce maschio femmina (articolo 28), cioè gli elementi di ancoraggio, con cui questa stessa “pettorata” doveva essere rifinita. Di seguito chiude fino all’articolo 35 con le prescrizioni di carattere economico ed amministrativo.

La fontana, o cosiddetto “abbeveratoio”, della cisterna di Santa Teresa

Dalla data della perizia passa quasi un anno, e il 2 luglio 1821 i lavori non sono ancora iniziati, ma Gimma redige un’altra relazione dalla quale risulta che “La pubblica cisterna di questo Comune, che si dice di S. Teresa, trovandosi senz’acqua nell’attuale stagione estiva è stata osservata da operatori di mia fiducia, in mia presenza, per conoscere se sia perfettamente stagna nell’intiera altezza del recipiente. Si è trovato vero quel che comunemente mi si era asserito, cioè che dopo elevatosi in esso recipiente l’acqua a circa palmi quattordici dal fondo, nel resto di circa altri palmi quindici va via per molte screpolature esistenti interiormente nel lato verso il vallone e con tale motivo si è anche osservato esservi circa palmi 1/2 di limo e pietre sul fondo del recipiente stesso. L’urgente bisogno di questo Comune, in cui non ci sono, che due gran vasi di Cisterne ad uso del pubblico, l’uno dei quali si è ultimamente ristabilito e trovasi attualmente senz’acqua … è perciò indispensabile a mio giudizio, che la predetta gran cisterna di Santa Teresa sia prontamente nettata dal limo e pietre che ne ingombrano il fondo e che contemporaneamente si renda perfettamente stagna nella citata intiera altezza del recipiente ora che trovasi senz’acqua”.

Dalla relazione, in sostanza, emerge che oltre all’intervento di restauro, necessario alla risistemazione esterna della struttura, sono richiesti lavori per le riparazioni dell’invaso di pietra, che disperde parte dell’acqua piovana raccolta, per le varie screpolature presenti su lato prospiciente il vallone, più la pulizia del fondo, sul quale si sono accumulate pietre e limo. È interessante evidenziare in questo passo della relazione del Gimma il riferimento alle due grandi cisterne pubbliche della città, ossia quella di Santa Teresa e quella del Corso, da poco ristabilita, attraverso il suo intervento. È chiaro che l’architetto non considera la Pescara della Commenda, su cui aveva avuto modo di lavorare e di cui oggi non abbiamo più traccia, paragonabile per le dimensioni agli altri due serbatoi, tant’è vero che, come abbiamo già visto, successivamente il manufatto sarà oggetto di riduzione in altezza e ingrandimento grazie ad un progetto dell’architetto Francesco Lerario.

“Filtro in muratura”, disegno su progetto dell’arch. Michele Masotino, estratto dai documenti dell’archivio comunale, conservati presso il Museo Archeologico – Fondazione De Palo-Ungaro

Ad ogni modo i lavori relativi al restauro e alle riparazioni da effettuare seguiranno iter differenti, che porteranno ad individuare maestranze diverse per l’esecuzione delle opere. Di fatti tutte le fasi saranno gestite separatamente dalla comunicazione alle sessioni di gara, dall’aggiudicazione fino alla stipula del contratto d’appalto, che ciononostante avverrà per entrambe le opere, nello stesso giorno. È del 31 dicembre 1821 il contratto d’appalto tra il sindaco del comune di Bitonto, il cavaliere Ignazio Carducci e il muratore Emmanuele Sannicandro per i lavori di restauro, previsti dal Gimma con la perizia del 14 agosto 1820, che ad esso viene allegata. Sempre dello stesso giorno è il contratto tra il sindaco e il muratore Gaetano Sgaramella il quale, secondo quanto previsto dal Gimma, nella relazione del 2 luglio 1821 allegata, si obbliga a rendere stagna la pubblica cisterna e a togliere il limo e le pietre, e pulire di tutto ciò che ingombra il fondo. Nel 1886, come la Pescara della Commenda, fuori Porta Robustina, anche la cisterna di Santa Teresa sarà dotata di filtri costruiti in opera, per rendere potabili ed igieniche le acque piovane raccolte nelle riserve idriche pubbliche.

Ricordiamo che l’intervento è realizzato sotto l’amministrazione guidata dal sindaco Avv. Vito Fione, con un progetto curato dall’architetto Michele Masotino, allora tecnico delle opere comunali. I lavori, che prevedono la costruzione di pozzetti di scarico e di filtro in muratura, sono eseguiti dall’impresa Miccolis Vitantonio, come da contratto, stipulato il 3 febbraio 1886, mentre il collaudo, con il parere favorevole del Genio Civile, avviene il 2 agosto 1889. Diventa difficile oggi capire, per la cisterna di Santa Teresa, dove sono stati realizzati questi pozzetti. Forse in prossimità alla sentina di Levante, dove Gimma aveva deciso di convogliare le acque, oppure in corrispondenza della fontana, tenuto conto che la sistemazione attuale del piano di copertura della cisterna, presenta, peraltro, la chiusura con un parapetto sul lato di Levante. È chiaro che queste modifiche potrebbero essere state appositamente apportate alla cisterna proprio in occasione della dotazione dei filtri. Di certo la chiusura, con il parapetto in pietra, del piano della cisterna, sul lato orientale, visibile pure nelle foto storiche di inizio Novecento della Piazza Carmine Sylos, fa sorgere qualche dubbio sull’effettiva realizzazione della scalinata prevista dal Gimma sul lato di Levante, non essendoci un riscontro tra i documenti d’archivio, come, ad esempio, un collaudo che ne attesti l’esecuzione, o se la trasformazione in realtà è stata apportata dopo.

La cisterna, con il suo piano di copertura e le bocche ottagonali per il prelievo dell’acqua, in relazione simbiotica con la facciata di Santa Teresa

Quest’architettura, con il suo piano lastricato in pietra, in relazione simbiotica con la facciata in pietra della chiesa, con cui compone un perfetto spazio scenico urbano, giace ormai desolata, priva di vitalità, da quando ha smesso di svolgere la sua funzione di serbatoio idrico. Sarebbe importante rivitalizzarla con piccole manifestazioni o eventi che vedano la partecipazione di scolaresche, in modo tale da far toccare con mano questi spazi e trasmettere alle nuove generazioni quella cultura materiale dell’acqua che lentamente ed inesorabilmente si è perduta.

Nella foto in alto, il piano di copertura della cisterna di Santa Teresa, con le bocche ottagonali per il prelievo dell’acqua. Le foto sono di Domenico Fioriello