Il lavoro dello sceneggiatore? Una bella confusione!

Da "Il capitale umano" a "Il traditore", Francesco Piccolo svela al pubblico del Bif&st i segreti di quell'arte difficile ma così affascinante a cui ha dedicato un saggio

Adattamento di un fortunato, interessante e attualissimo romanzo americano, Il Capitale umano, film del 2013 di Paolo Virzì, è un’opera che difficilmente potrebbe invecchiare, tanto è in linea con i tempi, di cui offre una panoramica precisa. La storia del cinema è gremita di esempi che possono essere accostati a questo lungometraggio. Si pensi a Parasite, il capolavoro coreano che ha stravinto alla cerimonia degli Oscar del 2020, l’anno della pandemia, l’anno in cui tutto è bruscamente mutato e che ha segnato un punto di svolta anche per il cinema mondiale, proprio per i premi più importanti assegnati a questo insospettabile film.

Un’immagine tratta da “Il capitale umano”

La società di cui parla Parasite è la stessa del film di Virzì: i ricchi cadono sempre in piedi mentre i poveri si ritrovano ad essere vittime predilette degli eventi, che siano o meno i responsabili. Una storia a cui siamo abituati: coloro che sanno cadere in piedi sono facilitati dal capitale; eh il capitale, che invece manca ai poveri per quanto s’impegnino. Eppure, in questo film di Virzì manca quel gesto estremo che compiono i poveri, gli umili, i parassiti nel capolavoro coreano. Quel gesto di irrazionale, inutile eppure inesorabile violenza – l’omicidio di alcuni rivali – che pare per un attimo livellare tutte le diseguaglianze, regolare tutti i conti. In Virzì no: i ricchi trionfano, tutti ci guadagnano e ai poveri allocchi, vittime degli eventi, resta la sconfitta, la condanna da pagare, caratterizzata però da sentimenti sinceri. Da quell’amore che manca ai piani alti.

Che amarezza ma quanta verità” afferma Francesco Piccolo, commentando il film di cui ha curato la sceneggiatura insieme a Paolo Virzì e Francesco Bruni. “Verità perché racconta la realtà e l’insoddisfazione che per forza di cose caratterizza questo momento storico, nel quale vige una realtà polarizzata, con tante persone esauste; in cui nulla migliora sotto il sole e non c’è nulla di dolce”, osserva lo sceneggiatore, per poi abbandonarsi alle riflessioni sull’utilità della scrittura, della sceneggiatura e del ruolo che in questa società, in un momento storico tanto delicato, quest’arte tanto bistrattata ma che esiste da tantissimi secoli, svolge.

È un film ‘Il capitale umano’ cui sono particolarmente legato – racconta Piccolo nel corso della masterclass al Bif&st – perché il passaggio dal romanzo al film è stato molto complesso ma infine riuscito. Con Paolo avevamo amato il romanzo dello scrittore americano Stephen Amidon, con il quale siamo poi diventati amici e abbiamo anche scritto insieme il film americano di Paolo, ‘Elle & John’. Al film pensammo però di dare, in fase di sceneggiatura, una particolare struttura narrativa: raccontare la storia da tre diversi punti di vista nei quali sarebbero ricorsi gli stessi momenti” spiega lo scrittore al giornalista Alberto Crespi.

“Era un modo per allontanarsi dal libro. Stesso discorso per l’ambientazione: quella originale a Boston e dintorni non l’abbiamo mai presa in considerazione. E, invece, ci siamo spostati in Brianza, smontando letteralmente i personaggi per poi ricostruirli come italiani. Non eravamo certi che i diversi punti di vista avrebbero funzionato. Paolo ne era spaventato. Ci siamo resi conto che eravamo riusciti nel nostro intento solo quando abbiamo visto alcune sequenze al montaggio” prosegue. Ma quali caratteristiche deve avere un bravo sceneggiatore? Questa la domanda ad un Francesco Piccolo tremendamente in difficoltà. “Che quesito difficile!” esclama, facendo ridere e applaudire il pubblico.

Deve avere talento – risponde dopo una pausa di riflessione – certo, ma soprattutto deve avere un buon carattere, deve sapere con chi ha a che fare e metterlo a suo agio. Lavorare insieme deve essere una pratica piacevole, ogni tanto è bene parlare anche di altro che non sia il film. Certo può capitare che ciò non accada, come con Silvio Soldini che da Milano scendeva a Roma e che doveva sfruttare al massimo quella settimana che trascorrevamo insieme, per cui parlava del film da mattina a sera. Nanni Moretti invece, si prende molte pause, scandite da altrettanti cappuccini”. 

Un’altra importante esperienza recente da sceneggiatore è stata per Piccolo Il traditore di Marco Bellocchio. “Io sono arrivato dopo un po’ che lui aveva già iniziato a scrivere insieme ad altri sceneggiatori. A un certo punto Bellocchio mi ha chiesto di dare una mano e io ho trascorso un’intera estate per mettermi al passo, recuperare il lavoro di documentazione necessaria, leggere libri, guardare i filmati del maxiprocesso. In pratica, ci siamo ritrovati a lavorare contemporaneamente alla sceneggiatura e alla ricerca. È stata una esperienza bellissima: mi sono sentito sicuro che sarebbe diventato un bel film. Comne, in realtà, non mi capita sempre”, osserva.

La bella confusione, il libro di Piccolo da poco pubblicato, intreccia le vicende della lavorazione di 8 ½ di Federico Fellini e Il Gattopardo di Luchino Visconti, girati contemporaneamente nel 1962 per poi uscire l’anno successivo a poche settimane l’uno dall’altro. “L’idea mi venne nel 2014 – ricorda – mentre mi trovavo al festival di Sanremo dove lavoravo come autore per Fabio Fazio. Un giorno mi trovai a fumare una sigaretta nel foyer insieme a Claudia Cardinale e lei mi raccontò, tra le altre cose, di quando stava girando negli stessi mesi ‘8 ½’ e ‘Il Gattopardo’ e di come i due registi esigessero un colore diverso di capelli per i suoi personaggi senza che dovesse indossare una parrucca”. “Pare che la sua parrucchiera abbia smesso di lavorare dopo quei film!”, afferma sorridendo.

Dopo aver deciso di scrivere un libro sui due film, ho iniziato un lavoro di documentazione che ha richiesto molti anni perché non volevo parlare solo dei film ma di tutto ciò che vi ruotava attorno: la cronaca, il modo di vivere, il cinema di allora. Volevo che si potesse leggere come il racconto di un cronista dell’epocaHo scoperto, tra le tante cose, che Fellini e Visconti non si sono parlati per otto anni, a partire da un episodio accaduto alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1954, dove erano in concorso l’uno con ‘La strada’ e l’altro con ‘Senso’. Andò a finire che Fellini vinse il Leone d’Argento e Visconti non vinse nulla. Le rispettive troupe vennero alle mani durante la premiazione e da allora i registi iniziarono una competizione che si trascinò per diversi anni”, conclude Piccolo, per poi uscire dal Petrfuzzelli e firmare tantissimi autografi a tanti fan, che gli confessavano a voce bassa di voler diventare proprio come lui.

Nella foto in alto, Francesco Piccolo al Petruzzelli