Nel Piano Generale di Bonifica del Tavoliere, elaborato nel 1933 dall’ing. Roberto Curato, primo commissario governativo del Consorzio Generale di Bonifica di Capitanata, l’intero territorio viene suddiviso attraverso una fitta rete di percorsi, con l’obiettivo di collegare i nuovi centri comunali alle borgate rurali. Delle previsioni di piano purtroppo si attuerà ben poco. Dal Consorzio saranno realizzati soltanto Borgo La Serpe (attuale Borgo Mezzanone) e le borgate di Tavernola e Siponto.
Nel 1935 Roberto Curato muore prematuramente e i suoi successori non saranno in grado di gestire e portare avanti la Bonifica Integrale, un po’ per negligenza e per mancanza di fondi, ma sopratutto per il conflitto di interessi tra il Consorzio e i singoli proprietari terrieri. In questo contesto si creano i presupposti per far entrare in scena l’Opera Nazionale Combattenti, che nei fatti aveva terminato gli interventi di bonifica nell’Agro Pontino e vedeva proprio nel Tavoliere di Puglia una nuova zona su cui attuare la propria azione di trasformazione fondiaria.
L’OPERA NAZIONALE COMBATTENTI E ARALDO DI CROLLALANZA
L’Opera Nazionale Combattenti (O.N.C.) fu fondata nel 1917, durante la prima guerra mondiale, con lo scopo di garantire assistenza ai reduci e agli ex combattenti, adottando iniziative per il loro reinserimento nel mondo del lavoro. Con il motto “terra ai reduci”, l’O.N.C. perseguiva varie azioni nel campo dell’attività agricola e delle bonifiche agrarie, svolgendo l’importante funzione di coordinare l’attività di esproprio delle terre e la colonizzazione da parte degli ex combattenti.
Durante il fascismo, l’ente subisce due riforme del suo statuto, nel 1923 e nel 1926, che modificano la sua natura da organismo di tipo assistenziale ad economico, divenendo, fra l’altro, una delle migliori risorse nell’attuazione della politica finanziaria del governo dittatoriale. Divenne pure strumento di primo piano della politica di ruralizzazione avviata dal regime, con la valorizzazione delle terre incolte e la Bonifica Integrale, riguardante vaste aree paludose.
Caso vuole che dal 1935 al 1943 diviene presidente dell’ O.N.C. il barese Araldo Di Crollalanza, giornalista e personalità di rilievo del fascismo. Sarà lui a guidare, nel 1922, gli squadristi pugliesi durante la marcia su Roma. Dal 1926 al 1928 sarà Podestà di Bari, mentre dal 1924 al 1943 deputato del Partito Nazionale Fascista, ricoprendo, fra l’altro dal 1930 al 1935, l’importante carica di ministro dei Lavori Pubblici. Il suo impegno politico, dopo il secondo conflitto mondiale, continuerà tra le file del Movimento Sociale Italiano.
A lui si deve la scelta dei nomi dei grandi centri comunali rurali previsti dall’O.N.C.: Segezia, Incoronata e Daunilia. Segezia doveva ricordare Segesta, nome della dea del raccolto; l’Incoronata il grande santuario mariano nei pressi di Foggia; infine Daunilia doveva essere l’omaggio alla memoria della civiltà dauna, insediatasi in quella che è l’attuale Capitanata.
A Di Crollalanza si deve, pure, la selezione dei progettisti dei tre centri. Difatti, in pieno contrasto con quanto era avvenuto per l’Agro Pontino, dove si erano indetti dei bandi di concorso, Araldo Di Crollalanza sceglie le figure professionali con la formula dell’incarico fiduciario, giustificando la decisione con la necessità di accelerare quanto più possibile il processo dei lavori edili da compiere. In ogni modo, i tecnici prescelti vantavano curricula brillanti: si trattava degli architetti Concezio Petrucci e Giorgio Calza Bini e l’ingegnere Dagoberto Ortensi, che nello specifico si occuperanno rispettivamente di Segezia, Incoronata e Daunilia.
CONCEZIO PETRUCCI, IL PIANO DEL TAVOLIERE E BORGO SEGEZIA
Tra queste figure spicca Concezio Petrucci, “enfant prodige”, tra i primi dieci a laurearsi alla Regia Scuola di Architettura. La sua carriera professionale risente fortemente della sua amicizia con Araldo di Crollalanza.
Nato nel1902 a San Paolo di Civitate, un piccolo comune della provincia di Foggia, ottiene nel 1929 un incarico di docenza alla Facoltà di Architettura di Firenze. Dal 1930 al 1933 è a capo dell’Ufficio Urbanistico del Comune di Bari ed elabora il Piano Particolareggiato per il diradamento della città vecchia e il Piano Regolatore Generale per la città. Sempre a Bari progetta il Liceo Ginnasio Cirillo, l’attuale Liceo classico Quinto Orazio Flacco. In seguito vince i concorsi per le città di fondazione di Fertilia (1935), una frazione di Alghero, in provincia di Sassari, di Aprilia (1935) in provincia di Latina e Pomezia (1937) in provincia di Roma.
A partire dal 1939, Petrucci riceve una serie di incarichi dall’Ufficio per il Tavoliere di Puglia dell’O.N.C., quindi direttamente da Araldo Di Crollalanza, per la progettazione della stessa Sede dell’Opera Nazionale Combattenti (oggi Consorzio Generale di Bonifica), di uno dei nuovi centri comunali, che poi sarà quello più rappresentativo, Borgo Segezia e la redazione del Piano del Tavoliere.
Quest’ultimo, progettato nel 1940 e approvato nel 1941, prevede la città di Foggia al centro di un sistema, organizzato in modo da integrare la campagna alla città, e la costruzione di sei nuovi insediamenti, distinti nei tre centri comunali di Segezia, Incoronata e Daunilia, e nei tre borghi rurali di Cervaro, Giardinetto e Arpi.
Ai nuovi tre centri comunali viene assegnata una differente rilevanza funzionale: amministrativa per Segezia, religiosa all’Incoronata, e sociale a Daunilia. Le borgate, invece, dovevano fornire i servizi più elementari, con l’intento di renderli addirittura punti di riferimento per futuri progetti di appoderamento. Sebbene Concezio Petrucci sia uno degli architetti di riferimento del regime fascista, stimato da Araldo Di Crollallanza e dal Duce in persona, le vicende della sua vita personale lo porteranno a mettere in discussione l’ideologia politica legata al fascismo.
Una storia che ha inizio nel 1937 quando Petrucci, ad Amalfi, conosce Hilde Brat, un’ebrea berlinese giunta in Italia nel 1934, che aveva lasciato il marito in Germania, anch’egli ebreo, il quale l’avrebbe raggiunta al più presto, ma si suicida subito dopo, in seguito alla confisca delle sue aziende da parte dei nazisti. Dalla relazione segreta tra Petrucci e la Brat nasce, nel 1938, la figlia Flaminia, per la quale Hilde sarà solo l’istitutrice francese. Nel 1944, con la liberazione di Roma da parte degli Americani, i due si sposano. In quei giorni Hilde Brat viene a sapere che il figlio del precedente matrimonio Gert, lasciato in Germania e che l’avrebbe dovuta raggiungere in Italia, era stato ucciso a Mauthausen.
Queste vicende, relative alla sfera affettiva di Petrucci, narrate in ben due romanzi, “La notte matrigna” di Enzo Siciliano, colui che ha sposato Flaminia Petrucci, e “Uova di luce“, della stessa Flaminia, lasciano trasparire le vicissitudini vissute in un clima di leggi razziali, che condurranno l’architetto ad una sorta di conversione, una forma di redenzione, che si manifesterà esplicitamente proprio nel suo lavoro a Segezia.
Concezio Petrucci a capo del gruppo 2PST (Petrucci, Paolini, Silenzi, Tufaroli), come già detto, aveva progettato le città di fondazione di Fertilia, Aprilia e Pomezia. A Segezia fa tutto da solo. L’opera, infatti, riflette fin troppo la figura, il talento e la sensibilità di Petrucci essendo, oltre che un luogo dell’anima, tra le più iconiche del paesaggio pugliese. L’architetto raggiunge un risultato di straordinaria intensità e bellezza, grazie soprattutto ad un progetto minuziosamente disegnato, in tutti i particolari, e alla forte interazione con gli artisti coinvolti per le opere d’arte.
Borgo Segezia, una frazione di Foggia distante circa 10 km dal capoluogo dauno, sorge lungo la direttrice per Napoli, in adiacenza alla Strada Statale 90. Il nome del Centro Comunale prende il posto di quello originario del borgo rurale chiamato Posta Tuoro. Il progetto è datato 1939, ma la sua realizzazione avviene durante la seconda guerra mondiale, a partire dal 1940, diciottesimo anno del regime fascista, così come, peraltro, risulta dall’iscrizione posta alla base del campanile, sulla quale c’è scritto: “CONCEZIO PETRUCCI ARCHITETTO MCMXL – XVIII”, e portata a termina nel 1943.
A Segezia, Petrucci imposta lo schema dell’impianto urbano, prendendo a riferimento i modelli urbanistici del castrum e della città romana, che si sviluppavano in base a due direttrici ortogonali tra loro: il cardo e il decumano, orientati rispettivamente secondo la direzione nord-sud e est-ovest. Ciononostante non si limita a seguire pedissequamente la logica insediativa romana. Infatti entrambi gli assi viari principali, che si incontrano nella piazza, non sono allineati, ma, con un’intuizione geniale sono sfalsati e puntano sulle facciate degli edifici più rappresentativi che definiscono lo spazio urbano principale, creando così continue variazioni di fondale.
In questo modo vengono inquadrate le quinte architettoniche posizionate ai quattro angoli della piazza. Tanto è vero che chi arriva da ovest, quindi dalla strada statale 90, si trova di fronte il Palazzo del Comune, attualmente sede della scuola, mentre dalla parte opposta, da est, la Canonica, serrata stretta tra il campanile e la chiesa. Ortogonalmente, invece, anche se i due tracciati non si propagano verso le campagne, da sud, viene messo in risalto l’originario edificio scolastico, ora inagibile e in stato di abbandono, mentre da nord la vista si apre sulla Casa del Fascio.
Il piano del centro comunale di Segezia, progettato da Petrucci, era composto non solo dagli edifici rappresentativi che conformano la piazza, che poi sono quelli effettivamente realizzati, ma prevedeva anche una serie di residenze. Queste si differenziano nella tipologia in base alla direzione generatrice dello schema urbano che assecondano. Difatti le case a schiera sono dislocate secondo un orientamento est-ovest, mentre quelle binate nella direzione nord-sud. L’impianto urbano complessivo si articola così in uno schema planimetrico a forma di croce greca.
I poli di attrazione della piazza senza dubbio sono il campanile, completamente autonomo, e la chiesa. Il campanile a Segezia è un segno inequivocabile dell’invenzione nel paesaggio. Se a Borgo La Serpe (Borgo Mezzanone), come del resto anche nelle città dell’Agro Pontino, il centro della civitas è la torre littoria, a Segezia, invece, il centro è la torre campanaria: segna il paesaggio circostante e fa individuare il luogo abitato da grandi distanze,quindi, ha il duplice ruolo, di richiamare i fedeli e rappresentare il punto di riferimento per i tanti contadini sparsi nei poderi creati intorno al centro.
La torre campanaria, dal disegno articolato, è a pianta quadrata, e si eleva, oltre il basamento, su nove ordini di logge sovrapposte: una griglia di pilastri ed architravi rivestiti di pietra bianca di Trani. Questa massa lapidea traforata con quattro aperture per ogni lato ne lascia intravedere il nocciolo centrale in laterizi, che contiene internamente la scala elicoidale. A coronamento vi è una cella campanaria cubica, sormontata da un prisma poligonale e una copertura a cuspide tronco-conica, rivestita a losanghe di maiolica verde, un motivo davvero originale per il contesto del Tavoliere.
Anche la chiesa, dedicata all’Immacolata di Fatima, è un’architettura pregevole e di notevole impatto. La straordinaria trama della facciata principale della chiesa, tessuta da un reticolo di formelle in maiolica di Vietri, lascia di stucco, senza parole. Il rivestimento adoperato, a tappeto, sull’intera facciata si basa sulla ripetizione ordinata di un modulo geometrico, che si articola con lastre di pietra bianca di Trani, disposte secondo i bracci terminali di una croce uncinata, in modo da creare una cornice in cui si inserisce una formella, con decoro a rilievo, in ceramica.
Le 341 formelle di forma quadrata, che punteggiano la facciata, sono l’espressione di un forte messaggio di pace, quasi una necessità impellente per quel periodo: non a caso tra queste spicca anche una con la scritta “pax” e il ramoscello di ulivo. In esse sono rappresentati i simboli della religione cristiana, la tiara, il pastorale e le chiavi vaticane; i segni simbolici del Cristo come il pesce, l’agnello, la colomba, il calice, le iscrizioni IHS e INRI; gli altri segni della passione come i chiodi e la corona di spine ed altri simboli come il grano, l’uva, il gallo, e gli Arcangeli.
L’uso della ceramica di Vietri nelle formelle della facciata, sulla parte tronco-conica maiolicata del campanile, e nelle stazioni della Via Crucis, poste sui muri interni della chiesa, costituisce l’apparato decorativo protagonista dell’opera architettonica. Anche il Palazzo del Comune è un altro elemento che caratterizza il centro di Segezia. La facciata principale dell’edificio è rivestita in mattone laterizio rosso, in netto contrasto con la bianca pietra di Trani della chiesa e del campanile, e si modella sotto l’effetto della luce, creando un forte rapporto chiaroscurale. Nella scansione delle arcate a tutto sesto sovrapposte sui tre piani fuori terra, ricorda la romanità espressa dal Colosseo e dal quasi coevo Palazzo della Civiltà.
La posizione defilata, nella composizione dell’impianto urbano e il carattere architettonico un po’ dimesso della Casa del Fascio, rispetto agli altri edifici rappresentativi della piazza di Segezia, mettono in evidenza oltre che, alcuni aspetti legati alla vicenda umana di Petrucci, anche il declino che iniziava a toccare il Fascismo.
A Segezia, comunque, il talento di cui era dotato Petrucci è riconoscibile nel disegno di tanti piccoli dettagli, che potrebbero apparire secondari, rispetto a quanto finora descritto, invece sono da considerare ugualmente significativi, come ad esempio: le tre raffinatissime aperture sulla facciata laterale della chiesa; il coronamento della canonica, dal profilo ricurvo ed estroflesso; l’ingresso della scuola, dalla forma quasi absidale; la facciata laterale della Casa del Fascio, dove la massa di pietra viene svuotata attraverso una sequenza di fori circolari; infine anche all’interno della chiesa, dove ci si potrebbe perdere in tutta una serie di dettagli, legati alle opere artistiche, risalta l’essenzialità del passaggio tra lo spazio ecclesiastico e la sacrestia, con un uso della pietra lavorata a masso, notevole nella composizione, al punto da mantenere tutt’ora la freschezza di un’architettura appena compiuta, oggi diremmo dal sapore minimalista.
Senza tralasciare, infine, la particolare sensibilità di Concezio Petrucci, percepibile soprattutto per la presenza, all’interno del borgo, della fontana: riprendendo un tema, quello dell’acqua, caro al poeta Giuseppe Ungaretti che ne aveva fatto un “fil rouge” dei suoi racconti dauni. Segezia, infatti, è l’unico borgo della “fossa”, essendo il più rappresentativo, ad avere una fontana come elemento scenografico.
Segezia, inoltre, più di ogni altro borgo del Tavoliere, come città di fondazione, centro sorto nella campagna dal nulla, è un luogo metafisico, e oggi più che mai anche un luogo dell’assenza, che rievoca tanto le “Piazze d’Italia” disegnate di Giorgio De Chirico: immagini di vedute di città antiche che si sovrappongono a visioni di città moderne.
Come nelle piazze metafisiche, lo spazio pubblico, disabitato dall’uomo, viene popolato da oggetti – edifici, torri, ciminiere, archi, portici, muri, rovine, frammenti, statue, manichini – che, estraniati dal loro abituale contesto, emergono con tutta la loro forza iconica diventando irreali, misteriosi, enigmatici. Questa poetica metafisica è riconducibile e riconoscibile nel paesaggio urbano di Segezia. Il borgo indubbiamente resta il lavoro più originale e riuscito di Concezio Petrucci, forse non del tutto riconosciuto. Un capolavoro, non solo tra le opere progettate dall’architetto, ma anche tra quelle realizzate su tutto il territorio pugliese nella prima metà del Novecento.
Peccato che, per una cattiva sorte, Concezio Petrucci muore a Roma, il 25 marzo 1946, a soli 44 anni, vittima di un tragico evento: colpito accidentalmente da un sasso lanciato da un ponte mentre vogava sul Tevere. Chissà cosa avrebbe potuto ancora esprimere la sua genialità, la sua sensibilità e il suo talento.
Nella foto in alto, la chiesa e il campanile di Borgo Segezia visti dalla Strada Statale 90. Tutte le foto sono di Domenico Fioriello ad eccezione del busto di Araldo Di Crollalanza dell’architetto Gloria Valente