La tiella di riso, patate e cozze è la testimonianza della presenza spagnola in Puglia. Si dice, infatti, che siano stati i borboni a far conoscere questa pietanza agli abitanti della nostra regione.
La tiella ha molto in comune, in fatto di sapore, con la paella spagnola. Nella prima predominano il riso, le patate e le cozze; nella seconda sono aggiunte carne, verdure e fagioli insieme ai molluschi o alle seppie. Entrambe sono cucinate nella pentola di terracotta alta e di forma circolare.
All’originaria unione di riso e patate, piatto povero della tradizione contadina, si sono aggiunti, con la dominazione spagnola della Puglia intorno al 1600, le cozze, genere di pescato comunque economico, e, ancora più avanti nel tempo, i carciofi, le zucchine e il polpo, altro sinonimo di “baresità”.
Era un mattino di fine inverno, molto presto, quando Alvise camminava lungo il molo del porto. Quel passeggiare, respirando l’odore del mare, lo ristorava nello spirito e nel corpo.
L’aria fresca esaltava la ricchezza del pesce sui banconi del mercato. Una volta Alvise era salito su un barcone grande e dallo scafo così largo e tondo che sembrava la pancia tesa prima di un parto. Navigando nella notte aveva visto il luccichio del pesce azzurro, appena tirato su dalle reti, stivato insieme alle cozze che, col colore blu-nero, erano come gocce di oscurità nel mare illuminato da una luna fortunata.
Lo avevano invitato, per quella notte in mare, i pescatori di Santo Spirito. Ricordava ancora, che quando la barca rientrò in porto, apparve all’improvviso una donna, Giuliana, che aveva nascosto la sua folta capigliatura sotto un cappello dalla falda larga, da cui uscivano alcuni riccioli rossi.
I marinai lo invitarono a raggiungere la casa di Giuliana, che aveva predisposto tutto per il pranzo. Alvise era uno scrittore e si era trasferito a Santo Spirito per completare il suo romanzo, lasciando una città del nord dove la sua vena creativa si era rinsecchita per un amore finito.
Qualcuno, con le mani ancora intrise di acqua salmastra, stava pelando le patate, per poggiarle poi in una pentola larga, piena d’acqua. Altri affondavano le mani nel fresco prezzemolo, che profumava di terriccio e di salmastro. L’aglio, con la sua friabile pelle biancastra e trasparente, si sfogliava facilmente tra le mani dopo essere stato nel forno. Giuliana era riuscita a cambiarsi con una velocità tale che Alvise solo all’improvviso si era accorto delle sue gambe così slanciate, che volteggiavano nell’ampia gonna a pois, mentre il suo busto era avvolto da una maglia bianca ed aderente, che lo fasciava come il bozzolo di una farfalla.
La madreperla delle cozze aperte si confondeva con il luccichio dell’acqua che bagnava le sue dita e riuniva i diversi condimenti: il riso, le patate, le cipolle, il pecorino grattugiato, sale e l’olio extravergine d’oliva. Tutti sapori che, una volta cotti nel forno a legna, si sarebbero fusi come un ricamo su una tela di lino.
Saltò all’occhio di tutti i pescatori che il rossore, che stava salendo sul viso di Alvise non era per i semi dei pomodori rossi aperti con le mani, che avevano bagnato le sue guance. Tutto era pronto per riempire la pentola: i diversi ingredienti, depositati a strati, erano ricoperti da una pioggia di riso. Patate, riso e cozze diventavano lentamente la pietanza di un nuovo incontro, dopo la notte passata tra cielo e mare.
Giuliana aveva riempito, di altra legna d’ulivo il forno e dava le spalle ad Alvise, mentre osservava la lenta cottura. L’acqua, che copriva e avvolgeva i diversi strati d’ingredienti, si asciugava lentamente, amalgamandosi al sale, al pepe e all’olio e a una punta di crema d’aglio ad ogni strato. Il sapore di riso croccante con i suoi chicchi uniti e saldi alle patate e alle cozze con il pomodoro, fece scivolare nella gola la cozza, liberata dal suo guscio: era come immergersi nuovamente nell’infinita distesa del mare.
Quello che desiderava ora Alvise, che continuava a passeggiare lungo il molo di Santo Spirito, era non lasciare più la mano di Giuliana, macchiata dal rossore dei pomodori.