Alla fine dell’Ottocento, gli intellettuali europei iniziarono a pensare allo spazio e all’universo in maniera del tutto nuova. Immaginarono che la realtà fosse ben più vasta e sorprendente di quanto si ritenesse. Intuirono (grazie alle prime scoperte scientifiche e, in qualche caso, ancora prima che avvenissero) che il reale, insomma, non fosse tutto qui, davanti a noi, ben tangibile e pensabile, così ben disposto e posizionato da consentire ai nostri sensi di esaminarlo compiutamente. Ma che questo nostro cosmo, lo spazio che ci attornia, riservasse ben altre sorprese ai suoi abitanti: più dimensioni, più pianeti, più universi, più realtà.
Questa riflessione, che a noi cittadini degli anni Duemila appare scontata, stava iniziando solo duecento anni fa a solleticare le menti di questi pensatori.
Con la rivoluzione industriale, le teorie di Gregor Mendel e Charles Darwin, e presto la relatività di Albert Einstein, appariva quasi naturale che vi fosse molto di più. E allora questi nostri progenitori iniziarono a pensare che il progresso, inevitabilmente legato a queste scoperte, non potesse che migliorare il presente, rendere più facile la vita e, soprattutto, accrescere le conoscenze di ciascuno. Gli ultimi decenni dell’Ottocento sono stati, dunque, una sorta di trampolino di lancio per l’uomo moderno verso un secolo che avrebbe riservato molte sorprese. E così è stato, anche se molte di queste sorprese inattese non si sono rivelate del tutto positive.
Tra gli intellettuali di cui si diceva al principio, furono gli scrittori e gli artisti i primi a spingersi così in là nei ragionamenti. I primi ad ipotizzare nuovi mondi, nuove realtà e a pensare che la matematica e la scienza potessero dialogare con l’arte e la scrittura, dando vita a qualcosa di inedito, che rappresentasse al meglio i tempi correnti. L’intuizione che, a distanza di anni, all’inizio del Novecento, ha permesso ad un artista come Maurits Cornelis Escher di concepire le sue opere d’arte e di trovare, soprattutto, la giusta rappresentazione visiva a tutto quello che stava accadendo.
Sino al 28 settembre al Castello dei Conti Acquaviva d’Aragona di Conversano sarà in corso una straordinaria mostra dedicata proprio a Escher (qui tutte le info). Una ghiotta opportunità per il pubblico pugliese di conoscere un artista che ha saputo fare tesoro delle intuizioni ottocentesche per ideare qualcosa di completamente nuovo, da cui ancora adesso si trae ispirazione.
Con circa 80 opere, tra cui capolavori come Relatività, Cascata, Belvedere e Giorno e notte, la mostra ripercorre l’intero iter creativo di Escher, dalle prime influenze a quei celebri paradossi visivi che hanno contribuito a renderlo un’icona mondiale. Un soffitto che diventa pavimento, grazie al gioco di specchi e proporzioni, giochi combinatori, enigmi, illusioni, che non possono che tenere avvinto lo spettatore, chiamato a prendere parte alle attività proposte dall’esposizione.
La mostra, curata da Federico Giudiceandrea, tra i massimi esperti dell’artista, è organizzata da Arthemisia in collaborazione con la M.C. Escher Foundation. Attraverso un percorso cronologico che illustra l’evoluzione del pensiero dell’artista e i suoi studi, il visitatore può esplorare le varie fasi dello stile di Escher, la nascita e il compiersi del suo talento artistico, dalle prime opere naturalistiche influenzate dall‘Art Nouveau olandese, ai viaggi in Italia che lo portarono a scoprire le bellezze di Venezia, Firenze, la Calabria e la Sicilia.
Ogni artista, in realtà, deve la nascita del proprio stile a un momento epifanico, a un incontro significativo, a un evento destinato a cambiare irrimediabilmente la sua visione della vita e dell’arte. Escher ebbe questo risveglio, tale epifania, per l’appunto, durante il suo viaggio in Spagna. Era nel sud della penisola iberica, a Granada, nel 1936, quando vide l’Alhambra (letteralmente, “fortezza rossa”). Si trattava di una piccola città, al contempo una fortezza e un palazzo, che gli ultimi principi musulmani della Spagna costruirono fra il secolo XIII e il XIV. Quello che sorprese tanto il giovane Escher furono i giochi combinatori delle sue mura, le decorazioni, i colori adoperati, capaci di ipnotizzare chiunque li guardasse e di restare impressi nella mente.
Aveva intuito che il caos potesse essere racchiuso in una serie ordinata di linee. Che l’arte potesse combinarsi con la matematica. Che le due materie avessero molte più relazioni di quante immaginasse. E questo diede avvio alle sue ricerche. Fu l’inizio del suo percorso artistico. “È stato confrontandomi con gli enigmi che ci circondano e considerando e analizzando le osservazioni da me fatte, che sono giunto alla matematica” scriverà su sul diario. “E sebbene mi possa davvero considerare digiuno di esperienza e consuetudine con le scienze esatte, spesso mi sembra di avere molte più cose in comune con i matematici che con i miei discepoli artisti” prosegue.
Escher inizia a concepire, a quel punto, opere che sfidano la percezione e la logica. Le sue creazioni, come il nastro di Möbius e le strutture impossibili, rappresentano un equilibrio perfetto tra rigore scientifico e fantasia. La mostra evidenzia come Escher abbia saputo trasformare concetti matematici complessi in immagini affascinanti e accessibili, rendendo la scienza visibile attraverso l’arte.
“Le leggi della matematica non sono semplici invenzioni o creazioni umane. Esse semplicemente sono; esistono abbastanza indipendentemente dall’intelletto umano. Il meglio che chiunque possa fare è di scoprire che queste esistono e di prenderne conoscenza. L’arte in sé non può non prescindere dalle leggi matematiche, dalla scienza. Michelangelo o Leonardo non sono forse diventati grandi, grazie alla proporzione?” scrive ancora l’artista nei suoi diari, leggibili nelle parti più salienti proprio durante la mostra.
Oltre alle opere originali, l’esposizione in corso a Conversano offre sezioni immersive e didattiche, con video e approfondimenti che permettono di comprendere meglio il processo creativo dell’artista. Questa dimensione educativa rende la mostra particolarmente adatta anche a studenti e famiglie, offrendo un’occasione unica per avvicinarsi all’arte e alla concezione dell’arte di questo geniale artista. Escher era solito considerare l’arte un “gioco serio“, che potesse ampliare la mente di chi si accostava ad essa. Un gioco che necessita di una grande padronanza del disegno, che per molti anni ha concesso all’artista di sopravvivere, prima di diventare un icona. “Se proprio dovessi pensare al ruolo che ha l’artista – scrive nelle ultime pagine dei suoi diari – direi che ha il dovere di far crollare le certezze di tutti. Perfino le sue. In modo da essere certo di poche cose e continuare a cercare la verità“.
La mostra di Escher è un’occasione per comprendere come un artista di genio sia riuscito a trovare nell’arte l’antidoto alla confusione che lo circondava, ad un secolo fatto di guerre, di brutalità, in cui il progresso non ha migliorato le condizioni di nessuno. Semmai le ha peggiorate. Un percorso espositivo che cerca di ricostruire la mente dell’artista, i suoi studi, la sua storia, alla ricerca del mistero ultimo della creazione, del genio. Senza, tuttavia, riuscire mai a carpirlo del tutto, com’è giusto che sia.
Attraverso questo itineraio espositivo, così ricco e coinvolgente, il visitatore potrà inoltre riflettere sulla natura della percezione nonché sulla complessità del mondo che lo circonda. Su quanto sia piccolo in confronto a un universo in piena espansione e su quanto sia limitata la sua stessa percezione della realtà. L’arte non serve, forse, a questo? A dirci che c’è molto di più oltre noi e ad ampliare il nostro sguardo?