La Cavalcata di Altamura con gli occhi di Mikael

La tradizione, forza del turismo pugliese, è talvolta l'altra faccia di un discutibile fatalismo e di un'esasperata spettacolarità di cui è espressione certo folklore

“Che cosa ti piace della Puglia?” chiede un giornalista, in uno dei tanti video su YouTube che ritraggono migliaia di turisti per le strade di Bari Vecchia, a Mikael, che allegramente, con la sua precaria padronanza della lingua, offre la sua illuminante risposta: “Il forza… i donni” intendendo, presumibilmente, “la forza” dei pugliesi e “le donne” pugliesi.

Ci soffermeremo su “il forza” perché, per condurre una buona analisi di un fatto, di un evento, e in questo caso, di una “tradizione”, è bene considerare l’oggetto in esame da diverse angolazioni, indossando un paio di occhiali diverso dal solito. Proveremo, dunque, ad analizzare la Cavalcata di Altamura, utilizzando quelli di Mikael. Che cosa intende questi per “forza”? Riflettendo su ciò che il nostro turista amante della Puglia abbia voluto intendere con “forza”, ho sentito l’eco di due paroline dietro quel termine: fatalismo e abbandono.

Potrebbe sembrare un volo pindarico, un’interpretazione forzata; vero, e lo terremo a mente. Ma nelle buone analisi anche le intuizioni sono ben accette, se non salvifiche. Ma perché ho pensato che, in realtà, il nostro turista abbia sintetizzato fatalismo e abbandono con “forza”? Forse perché il suo volto mi ha ricordato quello di Benigni in Pinocchio, nella scena in cui entra nel paese dei balocchi, guardando stupito ed incredulo cose che non ha mai visto prima o che sapeva esistere ma in un mondo lontano dal suo? Ipotizzeremo che sia così perché per molti turisti, comprare oggetti o alimenti tipici del posto senza ricevere scontrino, ad esempio, o assistere allo sfruttamento di animali diventa, improvvisamente, folklore, tradizione.

Sì, forse è lo stupore che fa pronunciare a Mikael la parola forza: lo stupore di vedere donne intente a preparare orecchiette per ore in strada, lo stupore di vedere persone lavorare sotto il sole cocente, lo stupore di vedere piazze di spaccio e pochi metri da qualche pattuglia (se presente), lo stupore di vedere la straordinaria partecipazione quasi mistica ad eventi, in realtà, poco razionali se non del tutto irrazionali.

Ma ciò che è irrazionale è proprio di ciò che è sacro. E il sacro si può discutere poco o di contro, molto, ma non è questa l’occasione per farlo. Lasceremo che il “sacro” rievochi in noi ciò che è inviolabile e che noi non violeremo. Bisognerebbe chiedersi, piuttosto, come mai molte delle nostre tradizioni non siano messe in discussione o non suscitino un adeguato dibattito né in chi le osserva stupito né in chi le vive per abitudine. Forse la risposta ce la dà proprio il nostro amico Mikael quando scambia per “forza” le nostre care “storture”; quando si accorge che qui la vita scorre comunque, quando i nostri sguardi sono i primi a restare impassibili; quando vede noi partecipare alla diffusione di scorci di vita pugliesi raffiguranti sofferenza e abbandono spacciandoli per folklore: sì, mitizziamo la nostra sofferenza. Un caso emblematico è quello di Lello con quello che è diventato un tormentone social “o me la dai, o me la prendo” immortalato dalle telecamere del Quotidiano Italiano. Un caso di abbandono, sofferenza e soprattutto di povertà.

Questo triste fatalismo generale – che non voglio in alcun modo attribuire alla responsabilità del singolo – ci porta, non solo ad essere ciechi di fronte a una serie di problematiche che attanagliano la regione, ma anche a fare di tutt’erba un fascio: la Cavalcata di Altamura ci dimostra come siamo in grado di riciclare sotto il nome di “tradizione” le due paroline di cui sopra e che Mikael sintetizza con “forza”. Ma cerchiamo di capire in cosa consiste, questa cavalcata. L’evento si tiene ad Altamura nel pomeriggio della domenica successiva al 15 agosto e accompagna il carro della Madonna del Buoncammino. La festa si articola in tre momenti: l’asta della bandiera, il carro e la cavalcata.

L’asta della bandiera avviene nello stesso giorno della processione ed ha inizio sempre da “abbasce a Tringhenidde”, nei pressi dell’incrocio tra via Bari e via Ofanto, per terminare a ‘”a chiangète de la porte Vère”, ossia alla pavimentazione in pietra che si trova a Porta Bari e serve a finanziare l’evento. La licita si svolge secondo il metodo dell’estinzione delle candele. Alla prima offerta si annuncia la prima candela e così a seguire fino alla assegnazione della bandiera che termina alla “chianghète” di Porta Bari, dove l’asta viene aggiudicata definitivamente.

Chi si aggiudica la bandiera, può tenerla fino all’anno successivo. Quest’anno è stata aggiudicata ad un gruppo imprenditori altamurani per 35.000 euro dopo un’asta combattuta. Terminata l’asta della bandiera, ha inizio la processione. La statua della Madonna del Boncammino è collocata su un carro tirato da buoi, un traino, adibito a trasporti pesanti. Sul carro sono presenti in massa bambini e bambine.

Il carro è preceduto dal corteo di cavalli, la nostra cavalcata. I cavalieri indossano pantaloni neri, camicia bianca e drappo rosso alla vita, la “cegna”, tipico abbigliamento del contadino altamurano. Non sono previsti caschi o altri dispositivi di sicurezza. Inoltre i cavalli vengono “ornati” di fiori e anche lampadine alla testa e alla criniera e ogni altro tipo di addobbo che possa renderli visibili e maestosi. Insomma, chi più ne abbia più ne metta. Alla cavalcata si può partecipare pagando una quota che va dai 120 euro ai 150 in base al posizionamento nel corteo. Anche le prime tre posizioni vengono aggiudicate con un’asta. La processione attraversa, tra la folla, via Bari, poi segue l’extramurale iniziando da via Gravina per ritornare a Porta Bari, dove, dopo l’onore reso alla Madonna da parte del vescovo e del clero, il sindaco consegna le chiavi della città alla Madonna. In seguito si procede verso la Cattedrale.

Il secondo sabato di settembre si celebra in modo solenne la Festa della Madonna del Buoncammino che è preceduta da una novena. Il giorno dopo, la statua viene portata al santuario di Maria Santissima del Buoncammino su un piccolo rimorchio o portata a spalla. A Porta Bari l’immagine della Madonna viene voltata verso la città per poi sostare ancora nel giardino dell’ospedale.

E veniamo al punto. Osserviamo “il forza” di centinaia di cavalieri e cavallerizze sfilare per la città. In che modo? Attraversando una folla di persone ammassate sui marciapiede e per strada. E questo comporta uno stress enorme ai cavalli che – come tanti cittadini possono testimoniare – spesso porta a diversi incidenti. Si assiste a cavalli nervosi che sfiorano o colpiscono i passanti, gli altri cavalli, i “palafrenieri” che dovrebbero accompagnare i partecipanti di età compresa tra i 14 e i 15 anni, che disarcionano i cavalieri o che si lanciano sulle cavalle. Questo, come si può ben capire, è dovuto ad un posizionamento nel corteo che segue un criterio economico e non di rispetto dell’animale.

Spesso i bambini sono posizionati da soli alla guida di grossi cavalli da tiro (tutte le razze di cavalli sono ammesse) e per quanto il sito www.madonnadelbuoncammiano.it prescriva che “fungono da cavalieri i giovani, ma anche ragazzi e talora bambini messi al sicuro in un cerchietto installato sulla sella”, capiamo bene il pericolo a cui vengono esposti sia i bambini che i cavalli. Il nervosismo che si respira durante la processione è palpabile. E’ reale il rischio di essere incornati dai buoi intenti a trasportare tonnellate di statua e bambini caricati in massa sul carro, mentre percorrono la pericolosissima pavimentazione del centro storico, inumidita e sporca di feci e urine.

Questa situazione diviene, dunque, un enorme palcoscenico di machismo: chi gestisce meglio il cavallo, è degno di essere definito cavaliere o cavallerizza. Chi evita che lo zoccolo di un cavallo finisca in faccia ad un passante, è un vero uomo o una vera donna, o meglio, “una donna con gli attributi”; chi riesce a non essere disarcionato, evita di finire tritato nella “cultura della vergogna” o da quella della “colpa” di non essere riusciti a dominare il destriero. I controlli veterinari che si verificano negli spazi dello stadio non diminuiscono certamente la pericolosità dell’evento che spesso registra degli incidenti a causa dei cavalli stremati da stress, flash, caos, urla e musica.

Mentre nel mondo ci si indigna del trasporto dei turisti ancora oggi eseguito da cavalli sotto il sole cocente – è recente la notizia di un cavallo che, trainando per ore turisti, è collassato morendo sotto gli occhi dei passanti a Matera – ad Altamura ancora si utilizza la cavalcata per esibire forza, gloria, tradizione. Sarebbe interessante confrontare questa “tradizione” con un’altra: la festa della patrona Maria Santissima di Mellitto che si festeggia con la sfilata dei carri votivi realizzati a mano e addobbati con colorati fiori di carta che fuori dall’abitato vengono trainati da trattori mentre all’interno del paese vengono, anche qui, trainati da cavalli bardati con cuoio, rame, campanellini e pelliccia di faina.

Meravigliose costruzioni in carta velina, preparate con cura dai ragazzi giovanissimi e da intere famiglie nei mesi che precedono l’evento (svoltosi quest’anno sabato 30 e domenica 31 luglio, tra Grumo e Mellitto), sfilano precedendo la Madonna per la città, gareggiando tra di loro su uno sfondo mistico, religioso e sacro. Una tradizione che vede impegnati centinaia di fedeli e non solo nei garage delle proprie abitazioni in un esercizio creativo e difficile di costruzione del carro più originale. E che dire della speranza e del sentimento religioso di vedere sorteggiato “dalla Madonna” il numero del proprio carro; delle lacrime e del pathos di chi ha ricevuto la benedizione con la vittoria.

Questa, a mio avviso, può essere considerata una forte tradizione, solida, costruttiva, ricca di emozioni e di rispetto, ricca di sacro amore per la propria terra e per la propria fede. Anche se ancora qui resiste l’uso dei cavalli all’interno del paese, la vera attrazione sono i trattori e le immagini votive meticolosamente preparate. Per qualcuno tutto questo può non essere espressione di grande virilità, di eccitazione, ma è sicuramente ciò che possiamo definire forte come il sacro, mistico come il folklore e solido come la tradizione. Chissà, forse il nostro Mikael intendeva questo con “il forza”, ma noi non ce ne siamo accorti.