L’intervento del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, rivolto a dettare le nuove indicazioni nazionali per le scuole, per l’anno in corso, ha destato non poche perplessità, soprattutto con riferimento alla decisione di cancellare la geostoria come materia curricolare nelle scuole superiori.
Una scelta che sembra ignorare l’essenziale connessione tra geografia e storia, due discipline che, com’è chiaro, sono inseparabili nel raccontare la complessità delle vicende umane. Non c’è dubbio che andrebbe rivista o meglio illustrata l’idea stessa di interdisciplinarità, propria della geostoria come materia. Ma una cosa sono gli opportuni “aggiustamenti”, altra il concetto stesso di geostoria, che non si può rigettare. Valditara, affermato studioso e docente universitario di diritto romano, non è certo privo di competenze sul tema scuola. Resta, per questo, sorprendente che un accademico di tale spessore non riconosca il valore di un approccio che consideri il territorio come elemento imprescindibile nella formazione della cultura e della storia.
Chi meglio di Fernand Braudel ha saputo spiegare questa centralità del legame tra geografia e storia? Nel 1942, fu proprio il grande storico francese a coniare il concetto di “geostoria”, un’idea che ha rivoluzionato il modo di pensare la sequela di accadimenti storici, unendo in un unico quadro le dinamiche spaziali e temporali. Il Mediterraneo, ad esempio, è stato un mare che ha plasmato la vita di interi popoli, determinando la storia delle civiltà che vi si affacciavano. Braudel, con questa sua visione innovativa, ci ha fatto comprendere che non possiamo pensare alla storia senza considerare il contesto geografico che la rende possibile, un’idea che il ministro sembra non cogliere.
È interessante notare che fu l’ex ministra dell’Istruzione del governo Berlusconi, Mariastella Gelmini, a decidere che la geostoria diventasse materia curricolare, riconoscendo l’importanza di un approccio che integri storia e geografia. Il passo indietro di Valditara appare come una visione riduttiva che non tiene conto dell’importanza di un approccio integrato.
Sarà stata l’opinabile o “cattiva” consulenza di qualche consigliere? In ogni caso, non mancano certo intellettuali e storici di area che avrebbero potuto guidare il ministro verso una visione più sfumata e articolata del rapporto tra geografia e storia. Avrebbero potuto aiutarlo a meglio scorgere l’indispensabilità di un metodo che arricchisce la formazione dei giovani in modo completo e consapevole.
Certo Valditara ha messo in evidenza altri aspetti positivi, in campi diversi, come l’importanza del latino e della memorizzazione delle poesie, ma non possiamo fare a meno di notare che un’educazione che separa la storia dalla geografia rischia di distorcere la comprensione del nostro passato.
La storia è strettamente legata ai luoghi in cui quegli eventi si sono svolti. Prendere atto di tale relazione è fondamentale per comprendere l’identità culturale che accomuna gli individui di questa nostra nazione; così come il Mediterraneo ci insegna ad essere testimoni di scambi, lotte e interazioni che hanno modellato le nostre civiltà. Ci sarebbe qualcosa da far notare anche sulla nozione e sul concetto di Occidente ma per ora non ci dilunghiamo. Così come positiva e adeguata è l’attenzione alla storia del cristianesimo, ultimamente vista – persino da qualche docente di religione cattolica – quasi come orpello ideologico, mentre rappresenta una concreta realtà culturale, autentico collante storico e non di esibizione identitaria tout court. Utile anche la visione della storia come “scienza degli uomini nel tempo”, una felice espressione a patto che si consideri che il concetto di tempo anche come evoluzione del paesaggio, non mero fatto e atto umano.
In conclusione, un quesito si pone in maniera ineludibile: davvero il ministro ritiene che la storia possa essere separata dal contesto geografico che l’ha plasmata e tanto più nel contesto delle scuole superiori? Se è così, forse è il momento davvero di riflettere e di rivedere una visione che rischia di ridurre la nostra comprensione del mondo e del passato a un’idea semplicistica e decontestualizzata.