“Il compito della scuola? Fornire le mappe del mondo”

Nell'intervista che ripubblichiamo, il prof. Giuseppe Naglieri, bitontino, già vice presidente dell'AIIG, riflette sulla centralità della geografia, una materia che rischia di finire in soffitta con i nuovi programmi del ministro Valditara

Riprendiamo il nostro viaggio nel mondo della scuola, con la galleria di docenti, oggi lontani dalla professione ma che hanno lasciato una traccia indelebile negli anni trascorsi tra i banchi a formare intere generazioni di studenti. L’obiettivo è mettere a confronto esperienze, metodi e pareri, tracciando un parallelo con la realtà scolastica attuale ed evidenziando punti di contatto e divergenze tra sistemi educativi che, a distanza di alcuni decenni l’uno dall’altro, appaiono profondamente differenti.

In questo articolo diamo la parola al prof. Giuseppe Naglieri, ex insegnante di lettere per oltre trent’anni presso l’Istituto De Renzio di Bitonto, ma anche formatore di docenti. Naglieri comincia la sua attività come maestro elementare nella scuola popolare. L’incontro decisivo, sotto il profilo della formazione professionale, è quello con il prof. Andrea Bissanti, docente di Geografia economica alla facoltà di Economia e commercio dell’università di Bari: Naglieri scopre un interesse nuovo e più coinvolgente per la geografia, una disciplina, in realtà, spesso sottovalutata, soprattutto nelle scuole di oggi. Decide, così, di iscriversi all’AIIG, l’Associazione italiana insegnanti di geografia, ricoprendo i ruoli di consigliere, prima, e di vicepresidente nazionale poi.

Docente per quasi dieci anni della vecchia SSIS, la Scuola di specializzazione all’insegnamento secondario, finalizzata alla formazione degli insegnanti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, prevalentemente con incarichi di Laboratorio di didattica della Geografia nelle università di Foggia e Bari, Naglieri ha collaborato per diversi anni con la rivista Scuola Didattica con saggi sull’insegnamento della geografia.

Qual è la sua opinione sul valore della didattica?

Sono convinto che il docente sia la risorsa più apprezzabile dell’educazione scolastica. L’insegnante deve possedere non solo le strutture epistemologiche della disciplina che insegna ma anche le strategie e le tecniche didattiche, che facilitino un apprendimento stabile e significativo da parte degli alunni. La SSIS non è riuscita nell’intento per cui era stata istituita perché, il più delle volte, gli insegnamenti non erano altro che la riproposizione di corsi monografici universitari. Non venivano svolti corsi di didattica disciplinare, che facessero riflettere sulle strutture epistemologiche della disciplina e, coerentemente con queste, indicassero strategie, metodi, tecniche scientificamente validate. Nella SSIS si doveva fare ricerca didattica soprattutto nei vari campi disciplinari e sperimentare in équipe, fra i docenti universitari coinvolti, forme efficaci di formazione iniziale e in servizio degli insegnanti. Quest’ultima, in realtà, più volte reclamata o imposta da riforme e decreti ministeriali, è risultata teorica, disorganica: una vera gogna per i docenti. Sono convinto, inoltre, che il docente, oltre a una forte preparazione culturale, disciplinare e didattica, deve avere curiosità, creatività, gusto e gioia di insegnare, di relazionarsi, per creare in classe un ambiente sereno che favorisca l’apprendimento da parte dei giovani.

Cosa manca nella scuola attuale, secondo lei?

Alla scuola mancano soprattutto tre erre: riflessione, rielaborazione e ricerca. Riflessione sulla disciplina che si insegna e sulla sua evoluzione nella ricerca scientifica. E ancora, sugli elementi della disciplina che possono aiutare a formare, a cancellare e ricostruire le mappe di questo mondo complesso, in perenne evoluzione. Ogni disciplina è un modo di leggere, interpretare la realtà che ci circonda e la scuola deve aiutare gli alunni a costruirsi quante più mappe possibili. Rielaborazione, e siamo alla seconda erre, delle strutture e conoscenze disciplinari, delle prassi e pratiche didattiche per adeguarle agli alunni di un particolare contesto scolastico e storico. E, infine, ricerca delle strategie didattiche più efficaci, significative non in solitario ma in équipe. Nella scuola non mi pare ci sia un grande lavoro di squadra per riflettere insieme, confrontarsi, scambiarsi esperienze, comunicare successi e insuccessi.

Cosa consiglia ai futuri insegnanti che vogliano svolgere al meglio il loro compito?

Curare continuamente la propria preparazione disciplinare e didattica, la propria cultura generale nell’accezione più ampia possibile. Evitare di chiudersi nel proprio orticello disciplinare. Soprattutto consiglio ad ogni futuro insegnante di prestare attenzione ad ogni bambino, ragazzo, adolescente che gli viene affidato. Guardare alla sua storia personale, ai suoi problemi, alle sue relazioni, specialmente a quelle in classe con gli altri coetanei. Ho dedicato molto tempo ad osservare i miei alunni: quanti sono stati per noi inesistenti o assenti durante le nostre lezioni, che non sono riuscite a coinvolgerli? Quanti ragazzi vivono male la loro esperienza scolastica, perché non hanno relazioni con i propri pari o se le hanno le subiscono in modo negativo?

Lei ha sempre attribuito una grande importanza alla geografia. Perché?

La geografia è una disciplina con una valenza altamente formativa: aiuta a sviluppare l’intelligenza visivo-spaziale e a implementare, a correggere le carte mentali del mondo. Aiuta a sapersi muovere anche mentalmente in spazi sia vicini che lontani. Serve a saper leggere, a saper gestire in modo consapevole, responsabile e critico il territorio che ci circonda; ad accettare e valorizzare le diversità che il mondo presenta. Tutti abbiamo nelle nostre teste carte mentali: della nostra casa, della nostra città, dell’Italia, del mondo. Ma queste mappe non sono fatte solo di luoghi ma anche di immagini, attributi che colleghiamo a quei luoghi spesso in modo inconsapevole. Molti di quegli attributi sono dei pregiudizi, degli stereotipi. Le carte mentali sono le nostre visioni del mondo e condizionano i nostri comportamenti. Perché decidiamo di non andare in certi posti? Perché rifiutiamo di relazionarci con chi viene da certe regioni?

Quali sono le attività che più stimolano i ragazzi?

Innanzitutto quelle operative. Il prof. Bissanti ci ricordava un antico detto di Confucio: “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”. Occorre dedicare tempo ad attività che esercitino gli alunni nella comunicazione, con tutti i linguaggi non solo verbale ma anche mimico-gestuale, visivo, sonoro. Utilizzare anche, senza enfatizzarle, le nuove tecnologie. Dedicare tempo alla lettura in classe di testi vari. Ai miei tempi dedicavo un’ora e più alla settimana alla lettura silenziosa di libri di narrativa, custoditi nella bibliotechina di classe, che la scuola provvedeva ad aggiornare in tutte le aule. Gli alunni non erano obbligati a terminare il libro: se a loro non piaceva, potevano sceglierne un altro. Durante la lettura erano a disposizione degli alunni, vocabolari e atlanti, e schede per annotare i testi passati fra le mani o le riflessioni sul proprio rapporto con la lettura.

Un ricordo, un’emozione particolare, legata alla sua lunga carriera presso la scuola De Renzio?

Devo dire che assistere alla demolizione della scuola che ha ospitato per oltre quarant’anni quella istituzione (da diversi anni nel nuovo edificio a sud della città, ndr) mi ha fatto venire un nodo alla gola. Certo quell’immobile non era idoneo per ospitare una scuola: era brutto, scomodo e pericolosissimo. Ma all’interno era un nido, una casa in cui si respirava una gioiosa e serena operosità, confortata da un grande e autentico rispetto reciproco. Tutti ci sentivamo orgogliosi del servizio che svolgevamo, sforzandoci di metterci il massimo di dedizione e professionalità. Assistere alla distruzione di una scuola, per un’insegnante, è davvero troppo. Mi risollevo, tuttavia, al pensiero, ben più fecondo e positivo, che ciò che fa veramente una scuola sono le persone non i mattoni. E che non c’è nulla di più appagante per un insegnante del saluto caloroso degli ex alunni, una volta ragazzi oggi uomini consapevoli e pronti ad affrontare le sfide della vita.