Un amore, un gesto di gratitudine, una difficile prova di coraggio per spiccare il volo e non fermarsi più. A volte da una singola scintilla divampano incendi. Lo affermava il poeta Lucrezio nel De Rerum Natura, lo ripetiamo noi, uomini e donne del ventunesimo secolo. Oltre alla fiamma d’amore sempre in crescita nel cuore di chi la coltiva, il concetto può essere applicato ad avvenimenti di piccola entità, che divengono le cause principali di uno straordinario mutamento interiore. La storia che vi raccontiamo oggi ne è un esempio.
Una storia di un bellissimo regalo, ricevuto da un bambino dagli occhi profondi e scuri: la batteria giocattolo con cui il piccolo Alessandro Lauretti, a soli cinque anni, si diletta senza sosta fino a distruggerla a suon di colpi. Qualche tempo dopo, reduce dall’incidente che avrebbe segnato a sua insaputa tutta la sua vita, acquista una chitarra classica con la spavalderia di un adolescente pronto a destreggiarsi tra riff malinconici e talora vivaci, ma l’impatto non è dei migliori: giunto a casa, pensa di essere in grado di suonare come nei film, aspettativa che vien presto disattesa e che lo spinge a mollare, lasciando alla chitarra il ruolo di riottoso cimelio.
Nel frenetico periodo liceale la passione per la musica, verso cui nutriva una radicata diffidenza, irrompe all’improvviso. S’innamora dei classici del rock, o forse di una ragazza che li ascoltava, e comincia a strimpellare i primi accordi studiando da autodidatta. Un esercizio che richiede motivazione e impegno costante a cui Alessandro sa farsi trovare pronto, migliorando giorno dopo giorno. “Successivamente ho iniziato a cantare superando la timidezza e il disagio. Mi sono avvicinato anche ad altri strumenti come il pianoforte, l’armonica a bocca e l’ukulele”, spiega. E prosegue: “un momento fondamentale per la mia maturazione artistica è stata la scoperta di Bruce Springsteen, che mi ha letteralmente cambiato la vita, portandomi a scrivere i primi testi in inglese”.
Comincia, poi, ad avvicinarsi alla musica italiana, in particolare al genere indie, grazie ai gruppi alternativi dei Verdena, After Hours, Fask, Zen Circus e altri interpreti del momento, accantonando l’inglese e dedicandosi ai primi esperimenti in italiano con varie band del nord-barese.
La svolta arriva durante il primo lockdown. L’abbondanza di tempo libero gli ha permesso di riordinare le idee e di capire verso quali orizzonti musicali muoversi, alternando il desiderio di sperimentare agli studi universitari in lettere moderne. Quei mesi di reclusione forzata si rivelano proficui per esplorare anche il mondo del rap, attraverso le raffinate composizioni di Madame e Mecna: “a quel punto mi sono detto che non avevo più nulla da temere né tempo da perdere e mi sono lanciato in questa nuova, prima vera avventura ufficiale”, spiega. “Il mio primo singolo Gaia, uscito lo scorso luglio, è stato totalmente autoprodotto e suonato da me”, aggiunge.
Parte da qui la strada del successo che il coratino, classe 1999, ha dimostrato e tuttora dimostra di sapersi costruire. Non uno qualsiasi ma Aelle, lo pseudonimo sotto cui il giovanissimo dalla chioma ribelle si cela, come lui stesso precisa: “Sono sempre andato alla ricerca di un nome d’arte poetico, affascinante e che mi descrivesse appieno. Mi stavo sbagliando. Un giorno ho notato casualmente tra le note del cellulare le iniziali del mio nome e cognome che mi sono risultate subito perfette per questo nuovo piano”.
Un germogliare di idee, parole e melodie che Alessandro plasma sapientemente secondo una sensibilità cantautorale mai affiorata prima. I pochi testi superstiti a quella smania di perfezionismo che da sempre lo attanaglia diventano canzoni. Nasce così il secondo singolo intitolato Due treni (DUE TRENI – YouTube), propiziato dalla collaborazione con il produttore milanese Davide Maggioni nonché dalla distribuzione dei suoi brani ad una casa discografica di tutto rispetto, la Matilde Dischi, nell’ambito del MAIONESE project e dell’Artist First, due progetti di scouting e selezione creati per dare un’opportunità ad artisti indipendenti nel panorama indie e indie pop. “Data la situazione di grave criticità che ha investito non solo il settore dello spettacolo ma anche quello musicale, privato della possibilità di esibirmi in concerto o di farmi conoscere, ho provato ad inventarmi un modo per arrivare a più gente possibile: ho stampato la copertina del singolo con il relativo QR CODE Spotify e l’ho affisso nelle stazioni della zona. Numerosi sono stati i feedback di persone che, prendendo il treno, notavano incuriositi la mia canzone. Qualche giorno dopo il fenomeno si è esteso. Mi sono pervenuti video e foto da tutta Italia: Milano, Modena, Foggia, Trevi, Monopoli, Firenze e Bari”, dichiara soddisfatto.
Ad Alessandro tocca cantare un’emozione che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha vissuto. E la evoca sapientemente, facendo vibrare le corde dell’anima a chi si rivolge un ultimo addio. “Il brano ‘Due treni’Davide Maggioni, parla di un rapporto al capolinea tra due persone che non hanno più nulla da dirsi né amore da darsi. Non viene mai specificato che tipo di relazione ci sia tra i due personaggi, potrebbero essere due amici, due fidanzati o anche un genitore e un figlio. Ho voluto lasciare libera interpretazione perché credo che arrivi per tutti un momento in cui ci si domanda se ne valga ancora la pena o se abbia ancora senso trascinare una relazione basata sull’abitudine e sulla routine. Io credo che dopo aver provato e riprovato, sia meglio lasciarsi andare e prendere due strade, due direzioni, due treni diversi, proprio come è successo a me la scorsa estate quando ho salutato un vecchio amico in procinto di un lungo viaggio”, sostiene. “Ho scritto ininterrottamente lasciandomi guidare dalle immagini, dalle sensazioni, dai colori e dalla gestualità dei due protagonisti”, continua.
E alla stregua di un novello Tiresia, il mitico indovino cieco capace di svelare segreti e intrighi degli dei, Alessandro espone così le tecniche del suo comporre ardimentoso: “procedo come se dovessi mostrare le mie canzoni a chi non può vedere o almeno mi piace pensarla in questo modo. Questa storia, che qualcuno ha definito quasi cinematografica, ha come sfondo una produzione fresca e moderna, però, con un occhio al passato: alle strofe vicine al rap cantautorale si contrappone un ritornello pop, alle batterie elettroniche moderne si contrappone la chitarra, sempre presente nelle mie canzoni chiuse spesso da un assolo”.
Un talento cristallino libero e anticonformista a cui piace mescolare tradizione e modernità, unico metodo per realizzare pezzi originali. Scevro da formalismi e da stereotipi, Alessandro non ama cucire sulla sua musica marchi convenzionali: “Mi importa poco delle etichette. Alcuni mi definiscono indie, qualcuno rap, altri pop, altri ancora rock. Non sono più un nostalgico del passato, ho capito che in ogni genere c’è buona musica e cattiva musica e che nessuna epoca è perfetta. Ciò che per me davvero conta è sorprendere chi mi ascolta”.
Un’impresa titanica quella del musicista coratino che osa sfidare i grandi della canzone italiana. Basti ricordare il 45 giri di “7 e 40”, scritto da Mogol nel 1969 e cantato dal grande Lucio Battisti, un brano votato a celebrare il dolce addio tra due amanti che, alla fine, non si separeranno mai in nome di un amore che non muore ma si rigenera.
Tornando al singolo di Alessandro, armonioso è anche il ritmo coronato da una voce per nulla stentorea ma spontaneamente carezzevole, tipica della fervida giovinezza. Una leggiadria di toni che attrae, coinvolge e vagheggia emozioni, proprio quelle che la bella musa Mina, sua ragazza nonché fotografa prediletta, ha il merito di infondergli. A lei la gratitudine di un autore innamorato che riempie la sua vita di musica e parole, mischiandole alla gioia e alla spensieratezza dei suoi ventidue anni ancora da compiere.
Nella foto in alto, Alessandro Lauretti