Quando, novant’anni fa, nel lontano 1934, l’Accademia di Svezia conferì il Nobel per la letteratura a Luigi Pirandello, non volle premiare lo scrittore per i suoi romanzi o per le sue novelle. Ovviamente, non significa che queste opere non abbiano un grande valore artistico, oltre che umano e letterario. Il motivo per cui Pirandello ottenne il premio più prestigioso fu per il suo teatro, per il quale lo scrittore comunque si rifece alle sue novelle e ai suoi romanzi.
Senza Pirandello non avremmo avuto Osborne, Beckett, O’Neill. Ognuno di loro, seppur proveniente da parti diverse del mondo, deve tutto al drammaturgo, perché nessuno prima di lui aveva avuto la geniale intuizione di rompere la quarta parete e far entrare il pubblico all’interno della finzione teatrale.
Eppure, qualcuno potrebbe dire che Pirandello, di fatto, non ha inventato niente. Sin dai tempi di Plauto il pubblico era parte dello spettacolo. Interagiva con gli attori, diceva la sua su quanto avveniva in scena e spesso dimenticava di essere in un luogo altro, su un piano diverso dalla realtà di tutti i giorni. E, così, accadeva ad Atene, nel V secolo, con Aristofane e gli altri commediografi della cosiddetta commedia antica. Anche nel Cinquecento, quando il teatro era itinerante, il pubblico era parte integrante della messinscena. Poi, nel corso dei secoli, vi è stato un allontanamento progressivo tra la scena e la platea.
Almeno per quanto riguarda il teatro per signori, per aristocratici e poi borghesi, cioè per coloro che potevano permettersi il prezzo del biglietto. Non certo per il teatro di strada, quello popolare, da cui Pirandello ha preso spunto. E sicuramente, visto che ha studiato a Bonn, avrà anche notato, da attento osservatore qual era, che anche negli spettacoli di cabaret il pubblico interagiva con gli attori, che spesso improvvisavano, proprio come nel teatro popolare. Cosa ha fatto, dunque, Pirandello? Ha preso qualcosa che già esisteva e l’ha elevata a forma d’arte. In questo risiede la sua rivoluzione.
E Paolo Rossi questo lo sa bene. Come dimostra nello spettacolo che sta portando in giro per tutto il paese e, fortunatamente, anche al Teatro Traetta di Bitonto e poi al Piccini di Bari.
Nella pièce Da questa sera si recita a soggetto! Il metodo di Pirandello, il celebre comico, nonché cabarettista e conduttore televisivo, non si limita a mettere in scena l’arcinota opera pirandelliana Questa sera si recita a soggetto, ma vuole spiegare al pubblico il “Metodo Pirandello”, cioè quel modo di recitare e di fare teatro che l’ha reso famoso. Non ha rispettato il testo originale, ma ne ha preso spunto per fare qualcosa di totalmente diverso, per testimoniare l’originalità ma anche la vitalità di questo teatro che, nonostante l’età, non è mai stato così attuale e giovane. Ed esattamente come accadeva con Pirandello, il pubblico che ha assistito allo spettacolo interpretato e diretto da Paolo Rossi, ha finito col chiedersi: ma gli attori stanno recitando? Era tutto previsto o è improvvisato? E a questa domanda non è stato sempre facile rispondere di sì o di no.
Come il jazz – alcuni musicisti jazz sono presenti sulla scena – lo spettacolo va avanti da sé, senza un copione, senza direttive dall’alto, apparentemente senza un regista. L’impressione è che ciascun attore stia lì per caso, in attesa che qualcosa muti sotto il sole, che qualcosa di incredibile accada. E, così per il pubblico, chiamato ad intervenire nello spettacolo e, alle volte, chiamato a salire sul palco.
Paolo Rossi con un ensemble d’eccezione (Emanuele Dell’Aquila, Alex Orciari, Caterina Gabanella, Laura Bussani, Alessandro Cassutti) mette su uno spettacolo proprio nel segno di Pirandello. Non un semplice omaggio, ma un vero dialogo con l’autore. La compagnia analizza a fondo il lavoro del drammaturgo, finanche rimuovendo la carta dorata che avvolge i miti, che ammanta quei personaggi che non ci si azzarda a dissacrare. Passa in rassegna la sua vita, riflettendo sul fatto che se Pirandello avesse applicato le tante geniali trovate, presenti nelle sue opere, alla sua vita, sarebbe stato di certo più felice. Ma era convinto che uno scrittore possa o scrivere o vivere. E lui ha sempre scelto la prima opzione, accettando in tal maniera un’esistenza tra le più tristi e più drammatiche.
Ma accanto alle riflessioni sullo scrittore siciliano non mancano nello spettacolo considerazioni sul nostro presente o sulla politica, sull’Italia e il mondo in cui viviamo, sempre più fuori dal nostro controllo. Un mondo in cui tutto quello che accade pare giungere dal cielo, come se noi non fossimo più padroni delle nostre stesse azioni, della nostra stessa vita. E il teatro essendo lo specchio del presente, dell’epoca in cui viviamo, come può basarsi su un copione ben scritto, su uno spettacolo canonico, quando i nostri tempi sono così folli proprio com’è “folle” lo spettacolo di Paolo Rossi? Come possiamo sentire lontano un artista, un pensatore come Pirandello, che parlava di maschere, di punti di vista, di incomunicabilità, temi più che mai aderenti all’oggi?
E come potremmo non vedere delle strane similitudini tra il suo passato e il nostro presente quando anche noi, come lui, ci ritroviamo a pochi chilometri dalla guerra? Con all’attivo un disastro climatico e un tasso di povertà sempre più allarmante? Forse, aveva ragione Pirandello: fintanto che si è a teatro, si può decidere per un po’ di non vivere e limitarsi solo a fingere di esistere. Guardare tutto dall’alto, alla maniera del Barone Rampante, che osservava il mondo dalla cima degli alberi. Per poi, a sipario calato, tornare alle nostre vite, con la consapevolezza di essere piccoli in confronto alle stelle. Ma, allo stesso tempo, di essere vivi e di avere la fortuna di guardare quelle stesse stelle dal basso. E poi, quando ne abbiamo voglia, possiamo tornare a teatro e perderci un po’ nelle storie. Uscire da noi stessi. Sapendo che, in fondo, c’è sempre tempo per rientrarci.
Nella foto in alto, Paolo Rossi nello spettacolo in scena al Traetta di Bitonto