Al governo non piacciono i bambini meridionali

Associazioni e sindacati riuniti in EducAzioni, denunciano le inadempienze dell'esecutivo in tema di asili nido, non solo rispetto al resto dell'Europa ma anche tra nord e sud del paese

“Al governo non solo non piacciono i bambini stranieri, ma nemmeno quelli meridionali, vista la scelta di dimezzare la percentuale di copertura degli asili nido su base regionale”. A lanciare la provocazione, parlando con Il Fatto Quotidiano, è la sociologa Chiara Saraceno, portavoce di EducAzioni (clicca qui), un’alleanza tra dieci diverse reti che comprendono centinaia di realtà del terzo settore, dell’associazionismo civile, professionale e del sindacato che lavorano nel campo educativo. Una sinergia rivolta a elaborare e sostenere strategie di contrasto alla povertà educativa e a promuovere i diritti dei bambini e degli adolescenti.

Se l’Italia col Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) si era impegnata a creare 264mila nuovi posti nei servizi educativi per la fascia 0-6 anni, lo scorso anno il governo Meloni ha ridotto l’obiettivo a 150mila. E se in precedenza, con la legge di Bilancio 2022, era stato previsto di garantire entro il 2027 ad almeno il 33% dei bambini un posto nei nidi d’infanzia su base locale, sia a livello comunale che di bacino territoriale, anche questa promessa è stata messa in discussione nel recente Piano strutturale di bilancio di medio termine inviato a Bruxelles. Una tavola allegata al piano ridimensiona la copertura su base regionale al 15%, rendendo ancora più incerto il raggiungimento del livello nazionale.

La scelta della maggioranza avrà conseguenze gravissime, spiega Saraceno: “Seppur distante dal target europeo del 45% fissato per il 2030, il Governo nel Piano ha dichiarato che gli stanziamenti consentiranno di raggiungere il 33% di copertura del servizio sul territorio nazionale, come previsto dalla normativa. Tuttavia, la tavola A VI.4 allegata al Piano ridimensiona questo obiettivo a un 15% di copertura su base regionale, rendendo ancora più incerto il raggiungimento del livello nazionale, e sono stati anche ridotti i fondi previsti per sostenere i costi di gestione. Tale riduzione non solo comprometterebbe le possibilità di raggiungere il nuovo obiettivo europeo, ma accentuerebbe le attuali disuguaglianze territoriali, penalizzando bambine e bambini del Mezzogiorno e delle aree interne, che già dispongono di una dotazione di servizi più limitata”.

Una scelta che contraddice l’impegno della premier nei confronti delle donne e della natalità: “Un messaggio preoccupante per i bambini – prosegue la sociologa – perché si continua a negare il loro diritto educativo soprattutto dove è più alta la povertà minorile. In questo modo inoltre non si sostiene l’occupazione femminile là in quelle aree dove è già bassa. È inutile aumentare il bonus nido se le strutture non ci sono”. EducAzioni chiede, dunque, un chiarimento urgente sull’effettiva volontà del governo di mantenere gli impegni presi e sui tempi e le scadenze effettive con cui questi saranno in concreto perseguiti. Già nel 2020 la rete EducAzioni ha sostenuto una dettagliata proposta di ampliamento, rafforzamento e integrazione della copertura dell’offerta di servizi educativi e scolastici per i bambini tra 0 e 6 anni e degli interventi a sostegno della genitorialità, che teneva conto delle forti disuguaglianze territoriali nella dotazione di servizi 0-2 anni, peraltro confermata anche nel recentissimo (ottobre 2024) Rapporto ISTAT sui servizi educativi per l’infanzia in Italia.

Esiste, infatti, una domanda insoddisfatta di servizi all’infanzia sotto i 3 anni, come dimostrano le ragioni del non ricorso al nido da parte dei genitori, che dipendono molto spesso da condizionamenti economici e sociali e non da scelte familiari. Insieme alla scarsità dell’offerta pubblica, il costo della retta dei nidi privati sembra essere una barriera per le famiglie con meno risorse, con il risultato che frequentano meno il nido proprio quei bambini che più potrebbero trarne vantaggi educativi. Altro elemento che evidenzia la domanda insoddisfatta di nidi è il fenomeno degli “anticipatari”, e cioè di coloro che hanno accesso alle scuole dell’infanzia prima del compimento del terzo anno di vita, nonostante queste non siano organizzate per rispondere ai bisogni dei bambini sotto i tre anni

Dal punto di vista strutturale, inoltre, si registra una diversa distribuzione dei servizi attivi sul territorio per natura giuridica del titolare, con prevalenza del settore pubblico in alcune regioni, come la Valle D’Aosta, le Province Autonome di Bolzano e Trento, l’Emilia-Romagna, il Molise, le Marche, il Piemonte, la Toscana e con prevalenza del settore privato in altre, come la Puglia, la Calabria il Friuli-Venezia Giulia, il Veneto, la Sardegna, la Lombardia, la Campania.

Altro tema è quello legato alla diffusione del tempo pieno, che dovrebbe essere la modalità standard di organizzazione di tali scuole. La mancanza del tempo pieno riguarda soprattutto le regioni del Sud: Campania e Calabria fanno registrare percentuali di bambini a tempo parziale pari al 12-14%, la Puglia raggiunge quasi il 23%. Un tema, quello del tempo parziale, che si lega a quello del servizio di mensa nelle regioni del Sud. A tal proposito, nell’XI Rapporto del Gruppo CRC, pubblicato il 20 novembre 2020, si evince come: “nelle Regioni meridionali, benché la scuola dell’infanzia sia ampiamente diffusa, un numero particolarmente alto di bambini ne fruisce solo a tempo parziale, in sezioni antimeridiane o per non più di 25 ore settimanali. Ciò vuol dire che molti bambini non condividono né un pasto quotidiano completo, né lo spazio e il tempo necessari a una socialità distesa e continuativa”.

In conclusione, la situazione attuale in Italia dei servizi educativi per l’infanzia mette in evidenza la necessità di due linee principali di intervento. Da un lato, emerge l’esigenza di politiche a sostegno sia della domanda di servizi sia dell’attivazione dell’offerta, attraverso investimenti pubblici per rendere disponibili un maggior numero di posti nei nidi. Dall’altro lato, nella prospettiva di potenziare le importanti e possibili funzioni educative, di inclusione sociale e di riequilibrio delle distanze socio-economiche che i servizi all’infanzia possono presentare, si pone la sfida dell’equità del sistema, dal punto di vista dell’accessibilità di tutti i bambini, indipendentemente dal luogo di residenza e dalle condizioni socioeconomiche dei nuclei familiari.

Il ministero adesso sembra voler correre ai ripari e proprio qualche giorno fa Giuseppe Valditara ha firmato un nuovo decreto per finanziare ulteriori 64 asili nido, nell’ambito del Pnrr per un importo pari a 40,8 milioni di euro, di cui il 55% destinato ai comuni delle regioni del Mezzogiorno. In attesa di un nuovo ripensamento.