Smartphone? Senza dialogo il divieto diventa “punizione”

L'utilizzo consapevole dei device a scuola deve passare attraverso un ampio e articolato dibattito, che coinvolga gli stessi ragazzi e interpelli le responsabilità dei genitori

Il divieto dell’uso di smartphone nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, anche per scopi didattici, come disposto dal ministro Valditara, e la coincidente petizione promossa da Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, e Daniele Novara, pedagogista e direttore del CPP (Centro Psicopedagogico per la gestione dei conflitti), per vietare addirittura l’acquisto dello smartphone agli under 14, stanno suscitando un ampio e complesso dibattito sull’uso e consumo del mezzo tecnologico in un’ottica di crescita dei bambini e degli adolescenti.

Un dibattito sul quale, in realtà, dovrebbero essere coinvolti proprio i ragazzi delle scuole. I social, i dispositivi elettronici, l’online, le chat, le community e ogni altro aspetto del virtuale incidono ormai profondamente sulla realtà che ci circonda. Dedicare del tempo a tali argomenti permette di fotografare meglio i fenomeni e le problematiche che investono gli studenti. Così un docente che, sia pur casualmente, lascia spazio nella sua ora di lezione all’educatore per dialogare con gli studenti di scuola media sul tema dell’uso dello smartphone, si rivela un’occasione davvero preziosa. In un clima aperto al dialogo e alla condivisione, emerge un dato confortante. A seguito della visione di un video, in cui venivano spiegati i pregi e difetti dell’utilizzo degli strumenti tecnologici soprattutto per scopi didattici, alla domanda secca dell’educatore “Siete d’accordo al divieto dell’uso dello smartphone in classe?”, la maggior parte degli studenti ha risposto affermativamente.

Proprio i più giovani, quelli della generazione zeta, ammettono e intuiscono i pericoli del sovrautilizzo del mezzo tecnologico. Proprio coloro che sembrerebbero maggiormente esposti ai pericoli e spesso colpevolizzati per gli effetti sociali creati dalla dipendenza del telefonino, recepiscono i rischi della “terra di mezzo” del digitale nella vita quotidiana. E’ innegabile che la nostra operatività online pervada i comportamenti della vita reale e il dialogo instaurato nell’aula ha portato alla luce le difficoltà o gli ostacoli delle relazioni, ma anche una maggior consapevolezza di essi. Da un accenno tecnico sugli elementi basilari del digitale ci si è calati insieme nel panorama esperienziale degli adolescenti. Così, oltre all’ammissione da parte di alcuni di loro a cedere alla tentazione di aprire link ingannevoli – i fishing sconosciuti proprio ai nativi digitali – altri ammettono di prediligere le relazioni amichevoli online, a cui dedicano parte del tempo libero parlando, chattando o videochiamando amici lontani. E altri ancora hanno condiviso le loro emozioni quando una loro amica, seppur dietro ad un display, gridava il suo bisogno di aiuto, manifestato con gesti di autolesionismo, a seguito del quale una compagna ha potuto avvisare i genitori. Non tutto il virtuale viene per nuocere.

Discutere con gli alunni delle scuole del mezzo tecnologico, diventa il “metamezzo” (sia concessa la ridondanza terminologica) per arrivare alle loro riflessioni, alle dinamiche anche a limite del pericolo. Discutere dell’uso e del consumo degli smarpthone conserva una componente educativa. Senza dubbio dal confronto con i ragazzi si evince che possedere competenze digitali non presuppone che si posseggano anche quelle informatiche: motivo per cui è errato pensare che i nativi digitali abbiano la piena consapevolezza di tutti i pericoli del web. In loro è predominante la componente ludica del mezzo, ma c’è anche consapevolezza che l’eccessivo utilizzo crea disorientamento. In quell’aula si è creato un micromondo virtuoso tra generazioni a confronto, educatori, insegnanti e ragazzi.

“Al di là del bene e del male derivante dall’utilizzo del cellulare e dei social, la questione di fondo sostanzialmente rimane la modalità attraverso cui portare i ragazzi a ragionare sul divieto dell’uso dello smartphone nelle scuole, che va spiegato, giustificato, messo in discussione.” E’ il pensiero di Carmen Villani, docente del liceo di scienze umane Bianchi Dottula” di Bari.

“Sebbene proibire non possa essere ascritto nella cosiddetta ‘pedagogia nera’, è pur vero che l’imposizione di regole può generare frustrazione sia nel bambino che nell’adolescente, sfociando nel disagio e nell’incapacità di gestire le emozioni. Si tratta di descrivere i pericoli a cui si va incontro nell’uso smodato dei dispositivi elettronici, non certo di diffondere terrorismo psicologico, elencando i rischi della rete o parlando di dipendenza”, spiega.

“Certo, non si può giustificare l’abuso di smartphone e tablet, mascherandolo con l’utilità che da essi deriva, o peggio, con la narrazione illusoria del progresso, del cambiamento, delle trasformazioni sociali e antropologiche estremamente repentine che attraversano i nostri tempi”, prosegue l’insegnante. “Tuttavia rimanere ancorati a metodi educativi del passato rende vano lo sforzo dei professionisti dell’educazione e dei genitori, impegnati costantemente nel difficile compito di formare i ragazzi”.

“E’ davvero complicato ma irrinunciabile il compito di educare ai no, motivando un determinato divieto. L’osservanza delle regole, l’assunzione di comportamenti corretti e responsabili, rappresentano obiettivi che possono essere perseguiti solo con lo sviluppo di un giudizio critico; competenza questa, in cima alle finalità di un processo educativo”, spiega Villani. Alla luce di questa riflessione si intuisce l’idea di accompagnare i ragazzi fianco a fianco nell’accogliere le scelte, trovando le necessarie motivazioni: “E’ opportuno affiancare i ragazzi nella presa di consapevolezza che cellulare e social non rappresentano gli unici strumenti di socializzazione e condivisione”, riprende l’insegnante barese. L’enorme influenza del virtuale sul reale impone un allargamento degli orizzonti in tema di qualità delle interazioni.

Passare dalle rete del web alla rete delle relazioni vere, concrete, è ciò che fa davvero la differenza, facendo sì che il divieto non sia esclusivamente una privazione: “Le relazioni si costruiscono attraverso molteplici espressioni del sé e si arricchiscono quando diventano immuni agli equivoci e alle trappole comunicative: ciò presuppone uno scambio interpersonale basato su tutte le componenti della comunicazione verbale e non verbale”, osserva la prof.ssa Villani. Nell’era della visibilità e dell’emulazione di modelli, fin troppo spesso negativi, fondamentale nella tessitura delle relazioni è rafforzare il valore della testimonianza, che i ragazzi in ogni modo sanno recepire come determinante con tutte le loro tempistiche: “La testimonianza risulta essere la chiave di volta in tale processo: se l’adulto si pone come esempio autorevole da emulare, è più facile che il passaggio dalla morale eteronoma alla morale autonoma possa avvenire con successo”. Inevitabilmente, come ricorda Carmen Villani, quando si introduce il tassello della testimonianza, gli adulti sono chiamati in causa. E, purtroppo, il più delle volte sono impreparati, risucchiati essi stessi nel vortice fascinoso del digitale.

Marzia Lillo, pedagogista e mediatrice familiare, impegnata in diversi progetti nell’hinterland barese intravede nella proibizione un elemento negativo: “Vietare il telefono e l’uso dei social potrebbe creare l’effetto opposto: creare maggiore attrattività e possibilità di trasgredire”. “Anziché concentrarsi sugli adolescenti, si dovrebbe spostare l’attenzione sugli adulti che lo acquistano ai figli in età prematura, non solo agli under 16. Assecondando un loro capriccio oppure, semplicemente, rispondendo a quel bisogno di omologazione che per i ragazzi è un aspetto delicato. In fondo, madri e padri delegano, se non superficialmente, almeno inconsciamente al mezzo tecnologico le responsabilità di esiti educativi non soddisfacenti”

“L’uso dei device, come alcuni studi delle neuroscienze dimostrano, può essere davvero dannoso. Ma come farne a meno in un contesto di sviluppo virtuale e di connessioni?”, riflette la dott.ssa Lillo. “E l’obiettivo, tanto ambito della scuola digitale?”, riprende.

Dietro queste domande si nascondono alcuni passaggi educativi putroppo trascurati. “Alcuni aspetti, per quanto possano risultare causa di conflitto tra genitori e figli, sono da ritenere, talvolta, necessari per la crescita dei ragazzi. Anche da queste dinamiche conflittuali passano i concetti di limite e punti di riferimento”.

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