Il Seicento è un periodo storico che dal punto di vista economico e sociale segna una regressione. Periodiche erano le carestie e a queste seguiva, naturalmente, l’infuriare della peste. Una di queste a Bitonto è documentata da una tela di Carlo Rosa.
Erano tempi in cui i flagelli della natura e le stesse malattie erano considerate castighi di Dio rivolti a punire le infedeltà degli uomini. Preghiere, penitenze e digiuni erano richiesti a rimedio dei peccati. Le guerre erano interminabili, pensiamo alla guerra dei trent’anni, e impoverivano le ridotte risorse degli stati. Tentativi di ribellione contro l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, come quella di Masaniello nel 1648-9, non sortirono alcun effetto.
La spinta controriformistica nella Chiesa del Seicento
Dal punto di vista religioso, il Seicento fu dominato dalla spinta controriformistica che favorì il culto dei santi e finì con il favorire lo spirito devozionistico, alimentato dalla precaria situazione socio-economica e dal senso di insicurezza che vedeva nel prodigio, nel miracolo, la possibile soluzione di drammi esistenziali e della vita quotidiana. In questo clima pur difficile, molte risorse furono spese nella costruzione di nuove chiese, nella decorazione di altari e cappelle gentilizie. La Chiesa come assoluto punto di riferimento e unica speranza di salvezza lo richiedeva. Tanto fervore religioso diede possibilità ad architetti, pittori e scultori di affermarsi ed esprimere al meglio le proprie qualità.
Il Seicento è il periodo in cui a Bitonto si costruisce la chiesa del Purgatorio, si rifanno dalle fondamenta le chiese di San Giorgio e di Santa Maria del popolo, si edifica la chiesa di San Gaetano dei Teatini, si rinnova e risplende di grandi opere pittoriche la chiesa del Carmine (anche qui Carlo Rosa dà il meglio di sé), si costruiscono, partendo da edicole preesistenti, le chiese di Santa Maria delle Grazie e del Crocifisso, dove si veneravano immagini sacre diventate in quel periodo mete di pellegrinaggi per le notizie sempre più diffuse di prodigi e miracoli che in quei luoghi si verificavano.
Carlo Rosa e la Chiesa del Crocifisso
Con la Chiesa del Crocifisso Carlo Rosa ebbe un rapporto privilegiato. Nel sito in cui sorse l’edificio c’era un’edicola, come tantissime altre nel territorio, denominata del Repestingo (leggi qui). All’interno un affresco che rappresentava la Crocifissione era oggetto di devozione dei passanti, contadini e agricoltori, che si recavano nei campi sulla via che portava a Bari, via Balice appunto. Intorno a questa edicola cominciarono a verificarsi, si diceva, fatti prodigiosi che spinsero il capitolo cattedrale, che per diritto ecclesiastico esercitava il controllo, anche economico, sulle edicole rurali poste su strade pubbliche, a prendere l’iniziativa di costruire una chiesa. Siamo nel 1664.
Carlo Rosa che in quella data aveva già acquisito una buona fama e non solo per gli straordinari lavori effettuati a Bitonto e a Bari, fu interpellato dal capitolo cattedrale. L’artista si mise all’opera e presentò “il disegno ed architettura di detta chiesa”. Non solo, ma ne seguì personalmente le fasi di costruzione “con particolare affetto e devozione”. Dice la conclusione capitolare del 1666.
Le origini e l’arte di Carlo Rosa
Anche se di origine aquilana, la famiglia si fermò a Bitonto alla fine del ‘500. Il padre fu battezzato a Bitonto presso la chiesa di san Giorgio nel 1585, la madre Giustina de Angelis battezzò il figlio a Giovinazzo nella chiesa di San Felice che era di loro diritto patronato. La vita artistica e familiare si svolse a Bitonto dove Carlo sposò Caterina Falco appartenente ad una facoltosa famiglia. L’amicizia con il vescovo Carafa, favorita dal cognato, canonico della cattedrale, lo portò a Napoli dal 1636 al 1641. Qui conobbe Massimo Stanzioni, pittore ed architetto. Tra le due discipline allora non si delineavano confini netti, si studiavano insieme, unendole anche alla scultura. Questo spiega la stretta relazione tra architettura e pittura nell’operato di Carlo Rosa che adegua sempre la sua produzione pittorica alla decorazione architettonica degli edifici in cui opera.
L’esperienza napoletana lo portò a riproporre in maniera personale quanto visto e appreso nella capitale. Ed ecco i suoi capolavori a Bari a San Nicola, a San Gaetano a Bitonto, dove s’intuisce che l’artista si rende capace di prendere reale cognizione dell’architettura esistente e recepirla come parte integrante del suo lavoro di pittore. Stessa cosa si può dire della decorazione del Carmine e dell’abside della cattedrale di Giovinazzo. L’opera di Carlo Rosa e della sua scuola, da cui emergeranno artisti come Nicola Gliri e Francesco Antonio Altobelli, per citare i più famosi, si estese per tutta la Puglia, fin nel Salento.
La chiesa del Crocifisso, concepita in ogni componente dal suo estro, rappresenta il passaggio dalla spazialità pittorica ad uno spazio architettonico in cui il maestro già nella fase progettuale ha saputo predisporre gli spazi destinati all’opera pittorica. Dall’analisi della composizione architettonica della fabbrica risulta evidente che l’inviluppo esterno e quello interno sono due episodi completamente distinti e indipendenti, ognuno ha dei contenuti e delle prerogative proprie che rispondono a precise esigenze. La facciata ha preminenza in funzione della composizione esterna, le pitture focalizzano quella interna. Due precisi punti di vista, ma diversi.
L’edificio è realizzato con conci di pietra calcarea, perfettamente organizzati a corsi regolari nella facciata il cui partito architettonico è diviso in due ripiani. Quello inferiore è legato ai moduli classici ed è attraversato da due lesene che sostengono la cornice marcapiano. Il portale con timpano a volute è un elemento che ci ricorda lo stile barocco. La parte superiore della facciata svolge motivi originali e temi più vicini all’architettura del tempo, con una ripresa delle lesene del piano inferiore che si traducono in pilastrini più leggeri con capitelli che sostengono l’arco di chiusura della stessa facciata. Al centro ancora una finestra classicheggiante con timpano. Nella parte sud si innalza il campanile a torre quadrangolare con due celle campanarie e una cupola piramidale.
La struttura del manufatto echeggia il tipo di costruzione a trullo della campagna pugliese. La copertura delle volte è a chiancarelle degradanti e sovrapposte. Il cupolino risplende di mattonelle maiolicate.
L’interno della chiesa
Nell’interno la chiesa si presenta a forma di croce, con i bracci voltati a botte tranne quello anteriore che è a crociera. Alla intersezione dei bracci è una cupola di grande effetto scenografico che il pittore Vito Antonio de Filippis di Triggiano affrescò su commissione del Capitolo nel 1703, affrontando ancora una volta il tema del trionfo della croce. Ma tutta la chiesa è stupendamente affrescata per mano di Carlo Rosa e della sua scuola di pittura: Nicola Gliri, Giuseppe Luce.
Sulla controfacciata è raffigurato il profeta Giona nell’atto di essere ricacciato dal ventre della balena e il martirio di Isaia. Nella semilunetta a destra: la lavanda dei piedi e, dall’altra parte, l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Nelle vele delle volte a crociera sono dipinti i quattro evangelisti. Le due cappelle furono dedicate a San Martino e San Filippo con tele di Carlo Rosa trafugate agli inizi degli anni ’70 e ora riproposte in copia.
Sulle lunette scene della passione e sull’arco episodi del vecchio testamento. Anche il tamburo, le vele di raccordo tra archi e cupola sono ampiamente affrescati. La parte frontale della chiesa conserva sul muro l’antica immagine del Crocifisso trasfigurata dai numerosi interventi di restauro non sempre felici. L’altare ottocentesco nasconde e ingloba in sé quello precedente. Il timpano si chiude con una nicchia in cui è racchiusa una statua in pietra policroma di Cristo flagellato, mentre nei due ovali laterali sono inseriti due busti dei santi Filippo e Giacomo. La lunetta rappresenta la deposizione. E’una delle opere più mature del Rosa che nella parte più importante della chiesa volle porre direttamente la sua mano. Nel riquadro dell’arco sovrastante sono dipinti: Aronne, la visione di Giacobbe, il sacrificio di Abramo. Sul tamburo scene che riguardano sempre il rinvenimento della Croce: Sant’Elena imperatrice, Costantino il Grande, Eraclio e ancora Costantino vestito di saio.
L’affresco sul retro dell’altare maggiore riproduce l’antica edicola rurale e il peregrinare del popolo devoto; difronte un altro altare seicentesco, dorato, con angeli che sostengono un dipinto recuperato al tempo della costruzione della chiesa da una chiesetta rurale sulla via di Giovinazzo. Per la realizzazione della chiesa, a cui hanno concorso certamente altre maestranze della scuola del Rosa, l’artista pose tutta la sua anima, il suo affetto e la sua devozione. Era il suo gioiello artistico, era l’urna in cui volle conservare anche il suo corpo. Ne aveva fatto richiesta al capitolo al momento della sua esecuzione, capitolo che si sentì obbligato nei suoi confronti e gli offrì di essere seppellito all’interno della cappella di san Filippo Neri “in considerazione che il sig. Carlo, havendo detto altare dentro detta chiesa, lo faria a sue spese con qualche abbellimento e ornamento, lo che sarebbe di maggior decoro e servizio di detta chiesa”.
La sepoltura nel Crocifisso
Alla richiesta avanzata nel 1666 fa riscontro puntualmente il suo testamento, vergato il 6 agosto 1678 per mano del notaio Cesare Siccoda: “Raccomando detta anima mia all’Onnipotente Dio, alla Gloriosa Vergine Maria, S. Filippo Neri e tutti i santi miei avvocati e protettori e a tutta la corte celeste, et il mio corpo voglio che sia sepelito nella mia cappella di San Filippo Neri dentro la Chiesa del Santissimo Crocifisso fuori le porte di questa città alla via di Bari”. Dopo aver dettato le sue volontà e disposizioni non dimentica la stessa chiesa del Crocifisso e quella dei Teatini, a cui aveva posto mano dipingendo il suo maestoso soffitto ligneo, e conclude: “Lascio alla venerabile chiesa del Santissimo Crocifisso ducati cento da pagarsi dai detti miei eredi quando avranno la commodità… Delli quali ducati cento, seguita la mia morte, sia tenuta detta ven. chiesa celebrare e far celebrare ogn’anno in perpetuum e mundo durante messe trenta nella mia Cappella di San Filippo Neri, sita dentro detta Chiesa del Sant.mo Crocifisso per l’anima di me predetto testatore”.
Una semplice epigrafe fu posta sulla sua tomba: Carolo Rosa ex Aquila qui pro se suisque hanc cappellam D. Philippi Nerii construxit, V.I.D: Fabritius et D. Caietanus filii amoris ergo posuerunt. Al centro lo stemma: una rosa e una stella. La chiesa del Crocifisso, dunque, una sorta di carta di identità di Carlo Rosa: a questa chiesa in maniera privilegiata egli volle affidare la sua memoria di uomo, di artista e di credente.
Nella foto in alto, la volta a crociera della Chiesa del Crocifisso, oggetto del restauro curato da Michelle De Vincenzo e Luciana Brancato, per conto dell’impresa Abbatantuono Arcangelo Costruzioni e Restauri