“Borges”: (r)esistere alla scomparsa

Il corto del regista Andrea Cramarossa, in cartellone domani al festival Castel dei Mondi di Andria, applica la lezione dello scrittore al limbo esistenziale dei profughi

«How long can a man stay in the water without breathing?» si chiede un uomo nell’incipit di Borges, cortometraggio scritto e diretto dal regista teatrale Andrea Cramarossa, programmato il 5, 6 e 7 settembre al Festival Castel dei Mondi di Andria. «Quanto tempo può stare un uomo sott’acqua senza respirare?» gli fa eco qualche minuto più tardi una voce di donna, traducendo in italiano il dilemma anglofono.

Se dovessimo fornire una risposta banalmente letterale alla domanda, diremmo probabilmente che un uomo può stare sott’acqua senza respirare finché non esaurisce la riserva d’ossigeno che è riuscito a procurarsi prima di immergersi (o di ritrovarsi sommerso). Se invece andassimo nella direzione del titolo, adottando una lente borgesianamente metafisica e metaforica, i responsi si moltiplicherebbero perché sarebbe la domanda stessa ad assumere forme differenti. Il respiro non sarebbe più il semplice atto chimico-biologico del respirare, l’alternarsi dei movimenti respiratori, ma starebbe piuttosto ad indicare il suo effetto concreto più immediato e logico, la vita stessa, il presupposto primario dell’esistenza. Respirare è vivere. Oppure potrebbe rimandare, ad esempio, al concetto di liberazione, qualcosa che riprende la sua normale funzionalità, l’eliminazione di ciò che costituisce motivo di ostacolo o di obbligo.

Ecco allora, in una delle sue tante possibili riformulazioni, la domanda iniziale: per quanto tempo un uomo può rimanere senza vivere, oppresso, sospeso, prima di morire o di perdere tutto ciò che lo rende umano? È questo il dilemma che si affaccia forse con più frequenza ed urgenza nella mente dei profughi che si presentano davanti alla macchina da presa in Borges, di persone costrette ad abbandonare il proprio paese, a fuggire, letteralmente, di qualcuno che vive nel «tempo-non tempo di un esilio forzato», come indica lo stesso Cramarossa nelle note di regia.

Chi «fiuta il riparo, il luogo dove poter stare» – come recita una delle voci over presenti nel cortometraggio – si avvicina forzatamente ad una condizione animale, di sopravvivenza. E viene esposto, contro la sua volontà, forzatamente appunto, ad un estraniamento e ad una fragilità che si fanno solitudine e alienazione, galleggiamento e fluttuazione in quella che l’autore definisce «l’immensa incompiutezza esistenziale». E allora, in questa necessità di “farsi compagnia”, di trovare consolazione, non resta che l’abbandono magico, mitologico per alcuni versi, all’immaginazione, alla trasfigurazione della realtà in un una nuova creazione personale, un asilo di immagini e suoni a cui tenersi, attorno a cui potersi (ri)avvolgere, un nastro magnetico su cui imprimere la propria resistenza alla sparizione.

Borges non si pone come omaggio al grande scrittore, poeta e filosofo argentino, ma piuttosto come il tentativo di fare del suo spirito e della sua ricerca – letteraria, artistica e umana – un prisma attraverso cui guardare il fenomeno della migrazione obbligata, della fuga necessaria, restituendo consistenza alle esperienze dei migranti giunti nel nostro paese grazie al percorso messo in campo dal gruppo di ricerca teatrale Teatro delle Bambole, che Cramarossa ha fondato a Bari vent’anni fa. Borges è, dunque, un filtro poetico ed intellettuale che restituisce la questione in forma non piattamente realistica, documentaristica, ma con la magia di una costruzione linguistica più ricercata, fatta di sovrapposizioni e analogie, di diacronie e sfasamenti, di lavoro sul suono e sul montaggio. 

Così la voce di un giovane inglese si sovrappone al mezzo busto di un giovane africano e nelle pause può inserirsi il canto degli uccelli, mentre particolari di occhi e mani puntellano l’intero racconto e lingue diverse si alternano tra loro nella traccia sonora. Un collage audiovisivo che raggiuge il culmine quando la sovrapposizione permea la stessa immagine, in uno split screen in cui coesistono contemporaneamente occhi e mare, fusione ungarettiana tra uomo e natura, forse l’unica via d’uscita dal labirinto del dolore, come una nuvola che si muove in modo apparentemente impercettibile nel blu infinito di un cielo terso.

In alto e nel testo, alcuni frame di Borges, cortometraggio di Andrea Cramarossa