Ricordo la prima volta che ho incontrato Michele Pastoressa. Muovevo i primi passi nel mondo del giornalismo e quella sarebbe stata la prima intervista. Avevo chiesto al direttore di Primo piano di scrivere proprio di lui, di quello scrittore bitontino che tanto avevo apprezzato durante l’adolescenza. Mariella Cassano, che all’epoca era la mia docente di italiano al liceo classico, mi prestò la sua prima raccolta di racconti, Oltre gli occhi solo la follia, con la promessa che le avrei dato il mio parere. Ne rimasi folgorata e ancora adesso mi ritrovo spesso a sfogliare quelle pagine e a perdermi in questa o quella storia.
Ho provato le stesse emozioni leggendo l’ultima raccolta di storie brevi, La felicità del boia, e mi sono persa nelle adorabili fantasticherie che precedono e seguono la lettura, in quell’atmosfera di sogno dalla quale non si vorrebbe mai uscire. Francis Scott Fitzgerald, lo scrittore di quel capolavoro che è Il grande Gatsby, suggeriva di non iniziare sin da subito un libro quando è ancora fresco nella memoria quello che si è appena concluso. E lo capisco, lo capisco davvero, ora che ho finito La risata del diavolo, l’ultima indimenticabile fatica di questo scrittore immancabilmente noir, che si avvale anche per questo libro delle artistiche illustrazioni della sorella Milena.
Un romanzo che ho atteso per diverso tempo, quasi presagissi che mi avrebbe conquistata più dei precedenti, più di tutti gli altri libri che ho letto finora di Pastoressa. Addirittura più de Una rosa tra i rovi, pubblicato poco tempo fa sempre da Pav Edizioni, casa editrice dello stesso La risata del diavolo. E non posso che essere entusiasta all’idea che il mio nome rientri tra quelli a cui lo scrittore rivolge i suoi ringraziamenti, quasi fosse un onore per lui annoverarmi tra i suoi fan e non per me sapere di avere un amico così prezioso, col quale è inevitabile parlare di letteratura e di film, soprattutto di film. Specie di Hitchcock, che rivive tra le pagine del suo romanzo noir, insieme a Kubrick. Per non parlare della musica, rigorosamente classica. Il protagonista de La risata del diavolo – Angelo Carelli – è, infatti, un violinista. Ma non uno qualunque, un fuoriclasse, un poeta del violino, un virtuoso.
Lo era sin dai tempi del conservatorio, quando gareggiava in bravura con un collega, Antonio Catelli, fatalmente innamorato di lui. Tra questi e il suo rivale non vi è alcuna differenza se non fosse per una semplice lettera del cognome, che separa inevitabilmente le due storie, i due destini, garantendo ad uno la gloria e all’altro molteplici sfortune che, chissà, magari si tradurranno nel loro esatto contrario. Se Antonio Catelli è fermato dai fan e riempito di complimenti e ovazioni, Angelo Carelli, il nostro eroe, ha solo quel fastidioso amaro in bocca e una malcelata invidia che gli divora l’anima. Ma, d’altra parte, ha con sé un violino che si diceva fosse appartenuto al “diavolo” in persona, al grande Paganini. Un dono speciale, che sarà principio (e fine) di tante avventure, di un viaggio anche all’interno dello stesso violinista, in quell’Inferno che, come aveva presagito Dante un bel po’ di tempo fa, prima o poi nel cammin di nostra vita ci attende.
E, proprio come Dante, anche il nostro protagonista ha una dolce guida “dall’alito di menta e dalle labbra simili a petali di rosa“. Una ragazza – Alba – che, proprio come Arianna, terrà il filo che consente a Teseo di non perdersi nel labirinto. E quel nostro caro Angelo, un uomo che ha sempre avuto la musica come unica e indimenticabile passione, non potrà che innamorarsi della sua musa e salvatrice e lasciarsi guidare, come su un pentagramma, attraverso le tante avventure che lo attendono. Proprio come ne Il maestro e Margherita, il tutto assume i contorni di un’inquietante e a tratti grottesco viaggio – a volte nel sogno, a volte nella realtà – e quell’iter misterioso si fa metafora, si fa turbinio. Ogni parola tira l’altra e ogni pagina vola sotto il movimento regolare della mano che sfoglia. Il risultato è un libro che si finisce in un paio d’ore proprio per la bellezza di una storia che attira e spiazza, tiene incollati alle pagine.
Un romanzo che tiene viva l’attenzione fino all’ultimo, fino alla completa risoluzione del mistero o dei tanti misteri. Oppure, come insegnano i grandi, la storia si concluderà con uno di quei colpi di scena o finali aperti che fanno sobbalzare il lettore, lo tengono sul filo, senza il consolante abbraccio di una conclusione felice. Ai futuri lettori la possibilità di scoprirlo. Intanto, come direbbe Pasolini, la sola cosa fare è “leggere, leggere, leggere” e piano piano, il lettore si sentirà “arricchire dentro, sentirà formarsi dentro di sé quell’esperienza speciale che è la cultura” e per un attimo crederà che tutti i problemi che abbiamo nella vita di tutti i giorni siano poca cosa rispetto a tutte le sciagure che capitano ai protagonisti di alcuni romanzi.
E, diciamocelo, vi capiterà assai di rado di invidiare questo violinista che, forse, non troverete subito carismatico o affasciante (contrariamente a quel misterioso professore che incontra) ma a cui finirete col voler bene. Sarà per voi uno di quei personaggi con cui vorrete parlare al telefono e incontrare ma, dato che non abbiamo la fortuna di entrare nei romanzi che più ci piacciono, nelle storie che più ci fanno battere il cuore, potremo comunque scrivere a Michele Pastoressa e proporgli un caffè in tarda mattina, per poter parlare di cinema, letteratura e di vita. Potrebbe essere un viaggio altrettanto indimenticabile.
Nella foto in alto, la copertina de “La risata del diavolo”, il nuovo romanzo di Michele Pastoressa