La fondazione Opera Santi Medici Cosma e Damiano di Bitonto ha festeggiato, nei giorni scorsi, i suoi primi venticinque anni di vita, con una serie di eventi e iniziative di notevole rilievo: dall’approfondimento di delicate e complesse tematiche, legate alla particolare tipologia delle prestazioni assistenziali erogate, all’illustrazione dei bilanci sociale ed economico, passando attraverso l’aspetto più squisitamente religioso, con intensi e toccanti momenti di fede. Un programma di appuntamenti destinato ad ampliarsi nelle prossime settimane, grazie ad altre significative occasioni di incontro e approfondimento. In un momento di pausa dell’articolato e denso calendario di iniziative, abbiamo provato a riflettere con don Vito Piccinonna, rettore della basilica dei Santi Medici e presidente della fondazione, sul senso più autentico dell’attività svolta dall’istituzione e sul suo ruolo nella crescita sociale e culturale non solo della città ma anche del ben più vasto territorio di riferimento.
Per consegnare alla città, in primis ai giovani, e agli stessi operatori della fondazione e a quanti traggono beneficio dalle sue molteplici esperienze assistenziali e caritative, un bilancio il più realistico possibile, fuori dalla “ritualità” delle occasioni celebrative, dell’opera svolta dalla stessa fondazione, provando a capire, inoltre, le linee lungo le quali potrà proseguire, in futuro, una progettualità così significativa e feconda.
Don Vito, l’istituzione che lei presiede ha radici ormai antiche. Una storia che s’intreccia saldamente con la vita del territorio in cui opera e che innerva profondamente con attività fondamentali per il suo sviluppo, soprattutto sotto il profilo sociale e assistenziale…
Partiamo dalla storia. La fondazione è stata istituita giuridicamente nel 1993, con l’intento di dare organicità e sviluppo a una serie di attività, svolte sin dal 1986, quando come comitato socio-sanitario presso il santuario avviava la mensa per i poveri, 1987, un ambulatorio per indigenti, 1988, la Casa d’accoglienza per senza fissa dimora e il Centro di ascolto nel 1990. Il comitato guidato da don Ciccio Savino, unitamente ad alcuni esperti della diocesi, redigendo e sottoscrivendo lo statuto, gettò le basi di una realtà che potesse organizzare bene il bene, iniziando a realizzare alcuni servizi socio-sanitari e assistenziali rivolti a dare fiducia e speranza a quanti vivevano ai margini e segnavano il passo a causa di difficoltà economiche, sociali e culturali. I servizi, durante gli anni, sono stati adeguati ai requisiti previsti e richiesti dai regolamenti regionali e nazionali, nonché ristrutturati e riqualificati.
In quest’ultimo triennio, sempre con il supporto del consiglio di amministrazione e della direzione abbiamo cercato di consolidare quanto già mons. Savino aveva costruito, concludendo, tra l’altro, l’iter procedurale per l’acquisizione della comunità terapeutica “Lorusso-Cipparoli” che opera nell’ambito delle dipendenze patologiche oltre a richiedere l’autorizzazione al funzionamento di un centro diurno per minori a rischio.
Come ha vissuto il passaggio di testimone dalle mani di don Ciccio Savino?
E’ stato certo un momento molto delicato e importante, sia per l’impegnativa e, al tempo stesso, preziosa eredità che mi è stata affidata, sia per un differente background culturale che mi separa e insieme mi avvicina al mio predecessore. A mons. Savino riconosco tutto il merito di aver avuto la felice intuizione di fornire risposte concrete a tanti problemi che il territorio presentava e che per anni erano rimasti inascoltati. Tutto ciò che è stato realizzato, penso sia il frutto della preghiera, della riflessione, dell’attenzione di una comunità cristiana che s’interroga, si lascia guidare dal vangelo e si sforza di testimoniare, coi fatti, la carità.
Quali sono gli obiettivi raggiunti sinora? E il rapporto tra operatori e fruitori dei molteplici servizi della fondazione?
A giudicare dal lavoro svolto, credo si possa essere molto soddisfatti dei traguardi raggiunti. A cominciare dal tentativo di rispondere ai bisogni di senso espressi dalle storie, i volti, le sofferenze che quotidianamente registro nell’incontrare tanti uomini e donne che si rivolgono ai nostri servizi.
La fondazione, per realizzare le sue opere nei diversi servizi, si è avvalsa di numerosi volontari e operatori, i quali hanno prontamente risposto alle necessità dei più deboli e dei senza voce. L’organizzazione è affidata a un presidente e a un consiglio di amministrazione. In tutti i servizi sono previsti momenti di progettazione, programmazione e verifica, utili per comprendere i punti di debolezza e ripartire da essi, con l’obiettivo di allargare sempre più il raggio d’azione nella società.
È chiaro, potremmo aggiungere, che una fede non sorretta dalle buone opere è una fede fiacca, che tende a vacillare: proprio seguendo questa traccia, nel 1993, mons. Mariano Magrassi, già arcivescovo della diocesi di Bari-Bitonto, decise di allargare i confini del santuario per realizzare una Clinica del corpo e dello spirito, due parti coessenziali all’essere umano.
Le attività della fondazione oggi vengono svolte attraverso la casa di accoglienza, la mensa per i poveri, due centri di rilevanza sociale e sanitaria, la casa alloggio Raggio di sole per i malati di Aids e l’Hospice – Centro di cure palliative “Mons. Aurelio Marena”, per i malati inguaribili e in fase avanzata, inaugurato nel luglio 2007, che si prefigge l’obiettivo di accompagnare il malato nell’ultimo tratto della sua vita attraverso un approccio globale, medico, psicologico e spirituale.
Tanto è stato fatto in questi venticinque anni grazie anche al coinvolgimento di persone che hanno sostenuto, e non solo economicamente, la nostra realtà. D’altra parte non si può non tener conto dell’apporto di circa ottanta dipendenti, opportunamente formati, che attraverso il loro lavoro cercano di offrire, ogni giorno, un servizio di qualità. Non va dimenticato che la fondazione ha ottenuto la certificazione di qualità Iso 9001 e che il suo bilancio è certificato da una società esterna. Tutto ciò per affermare sempre più che i poveri sono la nostra stella polare e ai poveri si deve offrire il meglio.
Nell’esperienza La tenda dell’incontro, organizzata dalla pastorale giovanile, la fondazione ha proposto un’iniziativa su don Tonino Bello…
La mission e la vision della fondazione hanno tra i punti di riferimento proprio la figura di don Tonino Bello con la sua idea di “Chiesa del grembiule”, a servizio di tutti e per tutti, in linea con il messaggio cristiano di amore disinteressato. Quell’amore che, come scrive San Paolo, “tutto spera e tutto sopporta”, in nome di Gesù “sacrificatosi per l’umanità tutta”.
Le giornate della tenda, sono state, davvero, un cammino reale, interiore, direi una vera e propria esperienza di rinnovamento per tutta la comunità ecclesiale bitontina. Sono state l’occasione propizia per “riaffidare” la fondazione alla città col proposito di rafforzare quel legame intessuto di sussidiarietà verticale e circolare che ha permesso a Bitonto di essere riconosciuta come Città del Sollievo.
Come si pone la fondazione nei confronti dei giovani e, più specificamente, degli studenti ai quali va spiegata e fatta comprendere l’importanza della solidarietà?
La fondazione da diversi anni si fa promotrice di progetti che coinvolgono le scuole di ogni ordine e grado. Basti pensare alla School Cup. Quest’anno, in particolare, stiamo portando avanti il progetto Mentor Angels del Volontariato, un percorso di formazione sui temi della solidarietà, della prossimità e del volontariato, che registra la collaborazione della Caritas diocesana e dell’università di Bari. L’iniziativa, finanziata dalla Fondazione per il Sud, è rivolta agli studenti delle classi terze delle scuole secondarie di secondo grado.
L’auspicio è che i più giovani, lasciandosi guidare dagli insegnanti e dalle persone adulte, possano comprendere l’importanza dell’impegno sociale, volto alla costruzione del bene comune, e possano dedicarsi ad attività che contrastano la povertà, il disagio, la criminalità, innanzitutto attraverso la conoscenza di questi fenomeni e, poi, inserendosi in realtà e iniziative che intendono risolvere i problemi della città.
Essere protagonisti della storia e della realtà sociale, in un momento così complesso e delicato soprattutto per le giovani generazioni, è un compito non solo immenso e difficile ma anche necessario e urgente. Il mio, pertanto, è un invito ai giovani a realizzare questa grande missione civile che è già davanti ai loro occhi e che non può essere nè rinviata nè demandata ad altri.