Un viaggio ci rende diversi, ci cambia. Rompe le vecchie abitudini, costringendoci a superare ogni limite mentale o fisico. Con l’estate ormai alle porte, quando torneranno di moda i dischi, le serate in riva al mare, i libri sotto l’ombrellone e le fugaci storie d’amore, riesce facile ripensare a vecchie esperienze passate che hanno impresso una svolta nella nostra esistenza.
Sulle note di una famosa canzone di Lucio Battisti vorremmo ripartire, certamente non volare, ma viaggiare con la storia della pittrice Anna Tedone, ancora memore di quel bellissimo giro a Roma nel lontano 1995, alla scoperta della Cappella Sistina, divenuto poi l’evento determinante, l’archè, il principio da cui è scaturito il suo sconfinato amore per l’arte. I volumi dei corpi del Giudizio Universale e della volta affrescata da Michelangelo Buonarroti lasciano un profondo segno nella sua anima tanto che, presa dalla fascinazione per quelle forme, prova a riprodurle in alcune sue opere intitolate, rispettivamente, Testa del Dio dalla Creazione ed Eva, dalla Cacciata dal Paradiso.

La sua maestria e il suo eclettismo trovano progressivamente una forma di espressione a lei gradita. Inizia, infatti, ad ammirare i grandi dell’arte moderna: Guttuso, Klimt, Van Gogh, Schiele, Casorati, De Lempicka dai quali viene ripetutamente influenzata nelle sue creazioni, ciascuna a suo modo diversa. Le stesse sono talvolta il risultato di un lungo processo che si organizza a livello di composizione già nella testa; talaltra sono invece frutto di un impulso irrefrenabile che si materializza riversandosi sulla tela, nella quale tutti gli elementi peculiari convergono e s’incastrano come in un puzzle, fino al prodotto definitivo. La perpetua mescolanza di stili classico e moderno le consente di dare origine ad una molteplicità di soggetti nati da riflessioni introspettive sulla natura umana, sul rapporto conflittuale tra eterno e immediatezza, sulla lotta ad armi impari con il destino, sulla vulnerabilità e resilienza dell’uomo, sul mistero della vita e della morte (Mani – Mediazione tra cielo e terra, la trilogia di Ménage à trois o quella di Escape), da spunti forniti dalla realtà sociale (Smile – On the quest for the true self), dalla cronaca (Ego te absolvo e La sposa bambina), dalle relazioni interpersonali e da fatti di vita quotidiana che sollecitano la sua sensibilità (Il pavone e Morte del figlio) o addirittura dal patrimonio mitico (Il peccato di Leda, Allegoria della perversione intellettuale e Come Danae) e dal repertorio biblico veterotestamentario (Io sono Giuditta e L’offerta di Salomé).
La scelta di questo tipo di raffigurazione spesso allegorica, che si avvale sovente di simbolismi, è scevra di ogni intento didascalico, bensì è dettata dall’intima esigenza di raccontare, con uno stile personale, la sua opinione su un determinato tema. Gli indizi che pertanto lo spettatore è invitato a seguire per indagare e pervenire al significato complessivo dell’opera cominciano già dal titolo, a cui è attribuita una missione precisa: offrire un ulteriore ed importante cenno nel caso la rappresentazione sia troppo ermetica.

Ecco perché Anna, rifuggendo da stereotipi manualistici, tipici di un sapere cattedratico, sostiene che l’arte non vada categorizzata, se essa stessa si esplica nella possibilità di esprimere un’idea con mezzi propri, senza censure né paletti, nonché nella capacità di mettere in gioco le proprie emozioni in uno sforzo creativo ed intellettuale, con la finalità di esternare quanto di più intimo e privato esista. “Spesso un pensiero ricorrente, un’idea, una sensazione che ristagna nella mente per giorni, perfino settimane – spiega l’artista – si tramuta in un’immagine che piano piano prende corpo e si arricchisce di così tanti dettagli che non è più possibile tenerla a mente. Ebbene, quando questo accade, nasce l’esigenza di partorirli, di dare loro vita propria, staccarli da me recidendo quel cordone ombelicale immaginario che li tiene legati a me perché trovino uno spazio tutto loro, una dimensione propria”.
In fondo la vita di Anna è sempre stata un continuo peregrinare colmo di sorprese e nuove occasioni di arricchimento personale. Ha vissuto a Ruvo fino all’età di venticinque anni per poi trasferirsi a Milano, dove ha lavorato come insegnante di scuola primaria. Una decina d’anni dopo, ha conosciuto l’uomo che ha poi sposato, stabilendosi con lui in Svizzera dove tuttora vive con la famiglia. Fra gli innumerevoli ricordi che affiorano alla sua mente, non dimentica quanto sia stata tenace nel coltivare la passione per il disegno, maturando ben presto l’esigenza di riempire i “vuoti” lasciati dal segno grafico, modellando i volumi con il colore e perfezionandosi nella tecnica ad olio.

Parallelamente all’arte, la talentuosa pittrice sviluppa una particolare propensione per la scrittura. Suoi sono un romanzo poliziesco, un mistery ancora da completare, altri due distopici e uno storico ancora in fase di elaborazione (in italiano e in inglese), a cui si aggiungono componimenti poetici e florilegi di storie brevi che spiccano per le loro descrizioni pittoresche declinate con l’utilizzo delle parole: una sorta di mutuo soccorso di linguaggi che si sostengono a vicenda e le permettono di dare voce al suo mondo interiore. Alla sfera della creatività si ascrive anche un caleidoscopio di piacevoli passatempi, come il ricamo e la cucina, nonché la conoscenza approfondita della lingua inglese, della mitologia greca, della botanica e di chicche culinarie esotiche.
La cultura poliedrica che la contraddistingue, mista ad un’aria da inarrestabile cittadina del mondo, le permette di approcciarsi ad un’insolita rivisitazione in chiave moderna di un testo cardine della letteratura italiana: La Divina Commedia di Dante Alighieri. L’idea di rappresentare artisticamente quest’opera le è stata suggerita dalle numerose iniziative per le celebrazioni del settecentesimo anno dalla morte del Sommo Poeta. “Ero già in contatto con il prof. Giorgio Grasso, critico e storico dell’arte, il quale mi ha voluta nel suo progetto di pubblicare una nuova edizione della Divina Commedia illustrata da artisti contemporanei. Ho deciso, così – chiarisce Anna – di rappresentare il XIII canto dell’Inferno perché rientra nel filone tematico delle mie opere, ovvero l’ineluttabilità del destino dell’uomo. In questa cantica la crudeltà delle immagini e delle circostanze a volte pericolose, a volte semplicemente drammatiche e spaventose, ben rappresentano la mia concezione della condizione umana”.

La Selva dei Suicidi, così si intitola il capolavoro della pittrice svizzero-ruvese che rende omaggio al padre della letteratura italiana. Realizzato con colori ad olio su tela di cotone 80 x 120 cm, il dipinto stigmatizza la precarietà dell’essere umano, costretto a patire e a pagare i suoi errori perfino dopo la morte. Nel XIII canto dell’Inferno e precisamente nel secondo girone infernale sono puniti i suicidi e gli scialacquatori. In virtù della legge del contrappasso, i primi sono trasformati in alberi dentro i quali le loro anime rimangono fissate, imprigionate, quasi cristallizzate nel loro stato, come ad impedire loro di evolvere e di espiare il proprio peccato (infatti alcuni di loro sono ben radicati nel terreno o coperti, persino avviluppati da spire e intrichi di radici); i secondi invece sono inseguiti e fatti a pezzi da nere cagne. Ai loro occhi si staglia una selva orrida dai colori spettrali, dove tra i rami nodosi si nascondono le odiose Arpie che infliggono ai dannati supplizi continui per rammentare loro la colpa di essersi tolti la vita non avendone alcun diritto.
Come già accennato, l’opera è stata selezionata per la nuova edizione della Divina Commedia Illustrata pubblicata alla fine di maggio in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Cultura, a cui seguirà l’inaugurazione di una mostra, in programma il 10 luglio, di tutte le opere incluse nella pubblicazione a Rocca Brivio Sforza, nei pressi di Milano. Nei mesi successivi invece gli appuntamenti espositivi si sposteranno in altre città: Ravenna, Caravaggio, Venezia, Giulianova, Urbino, Firenze. Oltre alle esibizioni del dipinto La selva dei suicidi per le celebrazioni di Dante, Anna ci rivela che i suoi quadri saranno esposti in Italia e all’estero. Le prossime mostre si terranno a Venezia, San Pietroburgo, Mosca e Bratislava tra giugno e agosto, tornando poi nella Serenissima con altre due imperdibili esposizioni nei mesi di settembre e ottobre.

Negli ultimi tre anni la pittrice è stata coinvolta in numerosi progetti grazie ad operatori del settore che hanno creduto nella sua arte. In particolare, il critico e storico d’arte prof. Giorgio Gregorio Grasso che per primo ha creduto in lei, offrendole la possibilità di esporre a Venezia alla Venice Art Gallery e la sua direttrice, la dott.ssa Palladino, la cui gentilezza e disponibilità sono impareggiabili. Profonda gratitudine anche per Roberta Papponetti, organizzatrice della Biennale Internazionale di Pescara che lo scorso ottobre ha ospitato tre dei suoi dipinti; Roseli Crepaldi che ha voluto le sue opere in mostra permanente nella galleria online, Galleria Milanese; la dott.ssa Ferrarini per averla voluta nella mostra di Roma lo scorso febbraio; Loreta Larkina per le mostre in Russia; la dott.ssa Callipari per averla selezionata per il premio Artista d’Italia; la dott.ssa Zappulla per averla scelta per il Premio Michelangelo e Dante Alighieri e infine Mauro Giampieri per le mostre a Venezia, a Montecorsaro e a Bratislava.
Allora, cosa avrebbe detto Anna al suo amato Dante se fosse stato qui, in questo particolare momento storico, al termine del suo vagabondare per i tre regni oltremondani? E se il Sommo Poeta avesse avuto la possibilità di vedere il suo quadro, ne sarebbe rimasto soddisfatto? Trasportata dalla fantasia, sua silenziosa compagna di ‘avventure’, l’ingegnosa pittrice controbatte così: “supplicherei Dante di ‘prendermi a bottega’ per imparare da lui la raffinata arte dell’allegoria sotto forma di parola scritta. Vorrei che fosse il mio Virgilio e che mi conducesse per mano nelle perigliose acque della scrittura, acciocché io possa carpirne tutti i segreti. La sua scrittura è tanto tagliente quanto elegante, ricca di riferimenti storici e a lui contemporanei, abbondante di rimandi agli scritti classici, talmente colta da risultare a tratti persino oscura. Un’abilità incredibile, la sua, che a settecento anni dalla morte ancora impegna studiosi nell’interpretazione di passi il cui significato resta ancora inespugnabile”. “E se fosse ancora vivo sarei orgogliosa di mostrargli il mio dipinto, sono certa che saprebbe apprezzare il mio impegno e il mio sforzo creativo”, conclude Anna.
Nella foto in alto, “La Selva dei Suicidi” l’opera con cui Anna Tedone ha contribuito ad illustrare la Divina Commedia