Tutti noi non nasciamo adolescenti, ma infanti: infans è chi letteralmente non ha ancora imparato ad esprimersi con parole. A differenza degli animali, noi esseri umani abbiamo un periodo di crescita lunghissimo. Sgomberiamo, allora, il campo da un equivoco: mentre una gazzella, per fare un esempio, appena dieci minuti dopo la sua nascita inizia a correre in gruppo con i suoi simili, l’educazione dei “cuccioli umani” è lenta e graduale. Nel caso dei bambini si tratta di passaggi importanti perché intervengono nella costruzione del proprio sé infantile.
Il vuoto improvviso causato dalla pandemia ha colto un po’ tutti alla sprovvista, e si è subito posto il problema di come spiegare ai figli, in particolare ai più piccoli, quanto stava succedendo e come sarebbe cambiata – per molto tempo – la nostra vita. Le famiglie hanno comunque dovuto fronteggiare l’emergenza coronavirus e darsi un’organizzazione. Non sempre è stato facile.
Il governo ha svolto riflessioni sugli enormi e imponderabili costi che stanno pagando i bambini/e e gli/le adolescenti a causa delle restrizioni imposte per contrastare la pandemia. Ciononostante, questi costi continuano a non essere all’ordine del giorno, a non entrare nell’agenda politica, tutta preoccupata di altre priorità e di altri soggetti. Ne è una concreta dimostrazione l’assenza della scuola tra le attività e i luoghi da riaprire. I bambini e gli adolescenti hanno diritto a un risarcimento – perché no, anche monetario – di quanto hanno perso? Quali le responsabilità di una scuola a scartamento ridotto, intermittente, e per i più grandi solo virtuale?
Cogliendo l’emergenza sanitaria come uno spunto per riflettere sugli effetti dell’interruzione delle attività didattiche in classe, abbiamo deciso di fare il punto sullo stato della didattica, sui problemi dell’istruzione e la sfida dell’insegnamento online. Ad accogliere il nostro invito due insegnanti bitontini di scuola elementare: Angela Scolamacchia, della Scuola Don Milani – Istituto comprensivo Sylos e Carmelo Bacco, della Scuola primaria Istituto comprensivo Cassano-De Renzio. Visto che con il virus dovremmo convivere ancora a lungo, entrambi ritengono la mancata riapertura delle scuole un tema cruciale ed urgente e la conseguente assenza di programmi e iniziative concrete per renderla possibile, disperante e anche un po’ scandalosa.
La giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza è venuta e passata…
“Due anni fa, in coincidenza con la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, si è tenuta nel centro storico una manifestazione pubblica alla quale i minori stranieri bitontini hanno partecipato insieme alle proprie famiglie, agli insegnanti e ai compagni di classe, indossando un abito tradizionale o portando un simbolo con i colori dei paesi di provenienza. Le mamme di quei bambini sono state, poi, coinvolte in un progetto di cooperazione sociale, Macramè, che si articola in tre percorsi: lingua italiana, musica e cucina, aperto a donne straniere e bitontine. Resta un vuoto enorme. Come in primavera i bambini sembrano ancora impunemente sacrificabili”, esordisce Angela Scolamacchia.
“Approvata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e sottoscritta, al momento, da 196 Paesi, la giornata intende celebrare, testimoniare e ricordare il rispetto e l’osservanza della Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Urge uno sforzo collettivo per far sì che il minore venga messo al centro delle politiche sociali e della famiglia e sia, inoltre, riconosciuto come protagonista del suo progetto di vita e, dunque, come persona con caratteristiche di originalità e completezza”, continua Carmelo Bacco
Quali effetti sta causando la pandemia sui più piccoli?
“I bambini, naturalmente portati alla socialità e al gioco sono a casa da marzo. Con il rientro a settembre i piccoli avevano una gran gioia di rivedersi. Prima del nuovo lockdown, la scuola sembrava una caserma: bambini seduti ai banchi, fermi, con la mascherina, ligi e rispettosi delle regole; erano tristi e hanno pianto quando i genitori gli hanno riferito che dal 29 ottobre non sarebbero più venuti a scuola in presenza. In teoria, la maggior parte di loro non avrebbe dovuto aver difficoltà con la didattica a distanza, visto che fin dall’infanzia hanno confidenza con i tablet, su cui guardano i cartoni mentre mangiano oppure durante i viaggi in macchina con i genitori”, prosegue Bacco.
“Chiunque abbia figli o lavori con i ragazzi sa bene come questa situazione stia erodendo fiducia e motivazioni, oltre ad allargare le disuguaglianze tra chi vive in un contesto familiare e abitativo e chi ne è privo. La didattica a distanza rischia, dunque, di accentuare le differenze sociali e geografiche del nostro Paese, anche perché i genitori che non dispongono di internet probabilmente non sono neppure in grado di seguire i propri figli sul piano scolastico. Preciso che la competenza digitale non deve essere soltanto frutto di un interesse e di un impegno individuale, ma dovrebbe essere favorita dalla stessa organizzazione scolastica attraverso adeguati corsi di formazione ai docenti”, chiarisce Scolamacchia.
L’apparente ritorno nel grande spazio sociale potrebbe far sperare che tutto riprenderà come prima, ma non è così. Dobbiamo fare i conti con un’eredità difficile da smaltire. Le famiglie sono molto provate dalla lunga reclusione, dalla persistente paura del contagio, dall’incertezza per una possibile terza ondata del contagio, e dalle comuni difficoltà economiche che creano un senso di insicurezza quotidiana.
Quello che rimane dei mesi scorsi è la consapevolezza, più o meno chiara, che siamo vulnerabili di fronte a eventi imprevedibili come il contagio da virus o malattie difficili da debellare, nonostante i passi da gigante fatti dalla ricerca scientifica. La via d’uscita da questo annus horribilis, la luce in fondo al tunnel, ha un nome solo: vaccino. È la concretezza di questa prospettiva a permetterci di stringere i denti e accettare il prolungamento delle misure eccezionali, nell’attesa che l’immunizzazione di massa ci restituisca il respiro.
Quali, invece, le principali criticità legate al benessere psico-fisico dei bambini?
“Al pari degli adulti, anche i bambini si sentono imprigionati fra le mura di casa perché il naturale desiderio di uscire, muoversi, di guardarsi intorno e di scoprire cose nuove viene costantemente bloccato. Ogni giorno si trovano a ripetere i soliti giochi o a guardare i cartoni animati in televisione, più per riempire il vuoto che per reale coinvolgimento. Per lo più figli unici, i bambini sono poco abituati a stare soli con sé stessi, costantemente impegnati in mille attività diverse. Tale situazione rischia di amplificarsi ulteriormente in questo periodo di clausura: stanno troppo insieme ai genitori a scapito della propria individualità e ciò non li aiuta a sviluppare il proprio io”, precisa Scolamacchia
“I malesseri dei bambini durante l’isolamento sono in gran parte legati al fatto che i loro ritmi quotidiani sono stati stravolti: non vanno più a scuola, non vedono più i nonni, non incontrano più gli amici, non partecipano più alle numerose attività che li occupavano nel tempo libero, e soprattutto, non escono più, quasi che il mondo esterno sia ridivenuto, improvvisamente, pericoloso. È mancata la fisicità, che per i bambini è fondamentale, perché gli incontri e gli scambi non avvengono solo attraverso le parole ma con gli sguardi, la mimica del volto, i movimenti e le posture del corpo”, aggiunge Bacco.
Era, dunque, necessaria la chiusura delle scuole che ha provocato così tante polemiche?
“Per il governo, sostenuto nella sua decisione da virologi ed epidemiologi, era inevitabile. La diffusione del contagio e l’aumento dei casi erano tali che non si poteva fare altrimenti. Fino ad ottobre, però, la scuola restava un luogo sicuro e un presidio sanitario efficiente, tutti rispettavano le norme: collaboratori scolastici, alunni, docenti, presidi. I bambini fra i tre e i sei anni hanno capacità attentive piuttosto limitate, soprattutto se viene loro richiesto di partecipare a un gioco o applicarsi a un’attività; laddove, invece, la situazione cambia se viene loro mostrato un video di cartoni animati che li cattura totalmente. In prima elementare, dove si apprende a leggere e scrivere, è fondamentale lo scambio diretto e continuo, in classe, con l’insegnante, perché favorisce l’applicazione dei bambini”, illustra Bacco.
“Nei mesi in cui è stata sperimentata la didattica a distanza sarebbe stato necessario un forte coordinamento da parte del ministero dell’Istruzione e, invece, se ne è delegata l’organizzazione alle singole scuole che hanno, quindi, proceduto con modalità molto diverse. Non tutti gli alunni, purtroppo, hanno la possibilità di accedere alla didattica a distanza, non avendo internet in casa, non disponendo di un computer né un tablet o non potendolo utilizzare perché serve ai genitori per lavoro. La fiducia e l’attesa con cui molti erano tornati a scuola è stata vanificata non dalla pandemia, ma dalla sciatteria e disattenzione con cui si è preparata la riapertura, nonostante le molte energie e tempo spese da insegnanti e presidi per riorganizzare spazi, arredi, modalità di entrata e uscita”, afferma Scolamacchia.
Anziché preoccuparsi di svolgere i programmi ministeriali, perché non intercalare le lezioni con attività piacevoli e istruttive?
“Durante questi mesi di sperimentazione, la scuola ha cercato progressivamente di adattarsi alla nuova realtà stimolando, per quanto possibile, la partecipazione degli alunni. Per esempio, sono state utilizzate piattaforme digitali e approcci diversi, dalla lezione tradizionale con slide illustrative a un lavoro interattivo con gli studenti, alla semplice assegnazione dei compiti. Non è stato sempre tecnicamente facile per gli studenti connettersi con i docenti e, specie all’inizio, si è reso necessario l’intervento dei genitori, nella fattispecie alle scuole elementari. L’impasse, però, è stato affrontato insieme, talvolta scherzandoci sopra, un’opportunità per colmare le distanze fra docenti e alunni”, sottolinea Bacco.
“Ribadisco che la didattica a distanza è, inevitabilmente, discriminatoria: i bambini hanno avuto problemi di apprendimento, di instabilità o di tipo tecnico. Per tutti loro, il rapporto via web funziona con molte difficoltà e solo per un arco di tempo contenuto. Voglio ribadirlo: l’esperienza educativa e l’apprendimento dei bambini e dei ragazzi, in generale, avviene fondamentalmente all’interno delle aule. A maggior ragione per quelli che sono stati esclusi dall’insegnamento on-line. Al rientro in classe, speriamo a gennaio, torneremo a vivere la scuola come luogo di incontri sociali; agli insegnanti chiedo di essere accoglienti, non respingenti, in un clima di scambio ed empatia”, conclude Scolamacchia.
Il collasso scolastico provocato dal contagio dovrebbe spingerci a interrogarci su tutto l’impianto educativo della scuola e su come ottimizzare le risorse dei bambini e degli adolescenti. Come ha scritto l’economista James Heckman, premio Nobel per l’economia, sulla rivista scientifica Science, occorre investire nei programmi educativi prescolastici, cioè dei primi anni di vita. Ciò ha una grande ricaduta non solo sul piano dello sviluppo cognitivo ed emotivo dei bambini, ma anche sul piano del ritorno economico. In altri termini, occorre costruire un progetto educativo che sviluppi le capacità e le potenzialità personali dei bambini e, allo stesso tempo, compensi i ritardi di chi è più svantaggiato.