“La conoscenza aiuta la responsabilità e costituisce un forte antidoto a paure irrazionali e immotivate che inducono a comportamenti senza ragione e senza beneficio, come avviene talvolta anche in questi giorni”. Sono le parole del presidente Mattarella, pronunciate qualche giorno fa al Quirinale, di fronte ai rappresentanti di Telethon per il trentesimo anniversario della fondazione. Parole che riecheggiano come un monito imperioso, in questi drammatici giorni di diffusione del Coronavirus nel nostro paese. Pur riconoscendo la gravità della situazione – sono già quasi 4000 i contagi – in questi primi giorni di marzo, le autorità, i medici e gli scienziati invitano a contenere le derive psicotiche a cui molti cittadini, purtroppo, si sono abbandonati non appena scattato il piano di emergenza nazionale, il 23 febbraio scorso: dalle razzie alimentari nei supermercati ai prezzi stellari, pagati per gel igienizzanti e mascherine acquistati sul web.
“Nel 2009 la Puglia fu una delle ultime regioni a dotarsi di un hub per arginare la diffusione dell’H1N1 e, pur essendo quello l’unico centro attivo in tutta la regione, riuscimmo a raggiungere ottimi risultati sia nel coordinamento delle attività sanitarie sia nella gestione dei rischi di contagio. In particolare, uno dei motivi del successo dell’operazione stava nella cura della comunicazione, sinora molto carente nella gestione del COVID-19.” A parlare è Giuseppe Lonardelli, bitontino, medico specialista in igiene e sanità pubblica, già direttore sanitario del Policlinico di Bari e coordinatore della task force pugliese istituita da Vendola nel 2009 per contrastare la diffusione del virus responsabile della cosiddetta “influenza suina”. Una voce autorevole ma anche critica, la sua, sulla gestione comunicativa dell’emergenza sanitaria in questi giorni, nonostante gli sforzi dei medici per contenere l’escalation dei contagi.
“L’H1N1 era un virus davvero molto letale – spiega Lonardelli – che si manifestava sotto forma di polmoniti interstiziali, mentre il Coronavirus nel 95% dei casi è asintomatico o dà pochissimi sintomi; solo nel 5% dei casi presenta complicazioni gravi e solo nel 3% di essi porta alla morte. Percentuali che traggono forza principalmente dalla sostanziale immunità dei bambini al contagio: nell’epicentro dell’epidemia, a Wuhan, solo l’1% dei contagiati è composto da bambini, mentre in Italia sinora sono al sotto le dieci unità i casi di contagio infantile, con i piccoli pazienti che peraltro hanno reagito all’infezione mostrandosi molto reattivi e senza complicanze. Il virus, infatti, colpisce soprattutto adulti di terza e quarta età con comorbilità importanti, per cui spesso è più giusto parlare di deceduti con Coronavirus più che di deceduti di Coronavirus”.
L’ex dirigente sanitario offre un quadro più razionale e consapevole della patologia che viene presentata dai media come la peste del XXI secolo. Tiene a sottolineare come il COVID-19 sia un virus “molto intelligente”, perché il suo scopo non è tanto quello di debellare l’organismo ospitante, quanto diffondersi e replicarsi con manifestazioni asintomatiche o poco sintomatiche che ne facilitino la diffusione.
Ma la riflessione più dura è rivolta ai danni causati da quella che gli psicologi chiamano infodemìa, cioè il contagio e la diffusione di notizie molto spesso fuorvianti, se non addirittura false. Premessa la stima per l’impegno dei medici e delle autorità in questa dura battaglia, Lonardelli esprime le sue perplessità su alcune procedure applicate sinora.
“Sono molto perplesso sulla chiusura generalizzata delle scuole, visto che le possibilità di contagio dei bambini sono molto scarse; inoltre, le scuole permettono di tenere sotto controllo gli adolescenti, evitando dispersioni incontrollate che non fanno che agevolare il rischio di contagio: esse costituiscono una rete di controllo molto utile in casi d’emergenza come questi. Bisognerebbe solo seguire procedure ispirate al buon senso per contenere le possibilità di contagio, come tenere i banchi a debita distanza tra loro e utilizzare i gel igienizzanti per la loro pulizia. Sarebbe stato molto più utile – prosegue – diffondere capillarmente nelle scuole il decalogo emanato dal ministero della salute che riassume le norme igieniche per una corretta prevenzione della diffusione del contagio. Naturalmente la chiusura degli istituti in determinate aree a rischio è assolutamente condivisibile. Su questa scelta lo scenario internazionale è molto variegato. Francia e Germania infatti stanno adottando provvedimenti mirati in zone ad alto rischio.”
“Capisco, tuttavia, che la pressione mediateca e dell’opinione pubblica a favore di misure draconiane spinge anche la politica a scelte di massima prudenza, che vanno comunque applicate da chi di dovere”, aggiunge.
“Oltre a questo, mi duole vedere come la psicosi innescata dal fenomeno abbia portato a perdere il senso della medicina di comunità: siamo il paese dei medici condotti, della medicina scolastica, di una medicina che parte dalle persone e che, in questo caso, sta dimenticando che i bambini, i veri indicatori di patologie e malesseri sociali, si stanno rivelando estremamente resilienti. Il danno maggiore, tuttavia, non è tanto rappresentato da questi fenomeni: stiamo assistendo, infatti, a una distorsione comunicativa e all’invadenza della politica, con eccessive dichiarazioni dei suoi rappresentanti su un argomento su cui ad esprimersi dovrebbero essere quasi esclusivamente i tecnici. La politica deve intervenire, come ha fatto magistralmente il presidente Mattarella a dare forza alle decisioni del mondo della scienza e a stimolare il senso civico e di appartenenza della nazione”, chiarisce Lonardelli.
E prosegue: “Si rischia di generare uno stato d’allarme sproporzionato al rischio oggettivo costituito dal contagio. Alimentando la psicosi collettiva, i danni principali ricadono sull’economia del nostro Paese, che allontana gli investitori stranieri, e sui soggetti sani, che, pur asintomatici, temono di essere portatori sani di un virus fatale”.
Nell’epoca della post-realtà, in cui si pretende di costruire una storia basandola non già sui fatti ma sulle notizie comunicate dai mass-media, il fenomeno del Coronavirus si conferma figlio del suo tempo: la sua pericolosità, infatti, non si basa esclusivamente sull’effettiva pericolosità del virus o sui rischi reali di un contagio, bensì sulla narrazione drammatica e patologica che i social media ne hanno tracciato, scatenando uno stato d’allarme sicuramente eccessivo: se contattassimo i nostri medici curanti lo capiremmo subito.
Peraltro, una simile deriva di buon senso non solo pone inutilmente in allerta un’intera popolazione, ma rischia di portare in secondo piano i pazienti più gravi che hanno davvero bisogno di assistenza immediata. Visto l’allarmismo degli ultimi giorni, il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi ha stilato, infatti, un vademecum al fine di contenere le paure irrazionali che rischiano di risolversi in uno stato di panico collettivo ingiustificato.
Si tratta di un decalogo in cui si invita la comunità ad attenersi alle comunicazioni del Ministero della salute e degli organi competenti; si spiegano le disfunzioni emotive e comportamentali indotte dall’ansia e dal panico generale; si dimostra come l’indignazione pubblica per fatti eccezionali, ad esempio attacchi terroristici e atti di criminalità, alimenti alcune paure sottovalutando altri pericoli oggettivi a cui siamo abituati, come il riscaldamento globale o gli incidenti con pedoni; e infine chiarisce come l’eccessiva ricerca di sicurezza ci rende fin troppo paurosi e incapaci di affrontare il futuro perché troppo chiusi in noi stessi.
“Il Coronavirus è un fenomeno collettivo, non individuale, come viene comunicato dai media, che si concentrano sui singoli casi: è dovere del cittadino proteggere la collettività con le misure precauzionali varate dal Ministero della salute e dagli enti regionali e, soprattutto, affidandosi al buon senso. Alessandro Manzoni, pur non avendo sperimentato personalmente l’esperienza della peste, ci ha insegnato che in casi di emergenza ‘il buon senso se ne sta nascosto per paura del senso comune’. Bisognerebbe impegnarsi maggiormente sull’educazione sanitaria e sulla prevenzione con l’obiettivo di rendere i contatti protetti e non di eliminare le relazioni tra le persone. Un compito a cui tutti siamo chiamati: operatori sanitari, agenzie educative istituzioni locali, mondo del lavoro”, conclude Lonardelli.
Nella foto in alto, il dott. Giuseppe Lonardelli
Siti utili per informazioni in costante aggiornamento:
Istituto Superiore di Sanità (ISS)
Le 20 domande sul Coronavirus – La Repubblica Speciale Scienze