“Il lampascione o lampagione (Muscari comosu) è una pianta erbacea della famiglia delle Liliaceae (o Hyacinthaceae, secondo la classificazione), diffusa nelle regioni mediterranee. I fiori della sua pianta sbocciano in primavera e sono persistenti fino all’estate. Il bulbo globuloso di tale pianta, ricco di sali minerali e che cresce a 12-20 cm circa nel sottosuolo, è simile a una piccola cipolla di sapore amarognolo ed è consumato specialmente nell’Italia meridionale; particolarmente in Basilicata e Puglia”.
Così recita la divulgazione. Non mi riesce di ricordare l’etimologia del nome dialettale che, poi, dialettale non è, è nome e basta, anche in italiano. Tant’è che non conosciamo altra designazione per questo burbero frutto della terra nostra. Il sistema di scrittura del mio computer, infatti, sottolinea la parola col rosso che designa i nomi sconosciuti o gli errori. Aggiungo che trovo che i fiori siano bellissimi nella loro selvaggia sobrietà. Come coniugare questi delicati petali con l’indole, diciamo così, bellicosa del lampascione, resta un problema. Perché questa indole causa un fenomeno caratteristico al fisico che è ben noto ai duri di intestino che i duri di cuore usano con rude cinismo per beffarde allusioni conviviali.
L’efficacia lassativa pare documentata da una vasta e sciolta aneddotica di cui si pascono i commensali per l’apologia della liliacea nostrana quando tentano di convincere i forestieri a provare l’amarognolo ineffabile di quella che, ai più, sembra una comune cipolla. Nelle allocuzioni apologetiche capita di sentire spesso la parola liberazione. Varie sono, comunque, le virtù nutritive del nostro e, da ultimo, non sono mancate loro autenticazioni altolocate e di tutto rispetto. La gastronomia pugliese si illustra, del resto per scrollarsi di dosso i luoghi comuni sulla rude sobrietà delle scelte e propone, oggi il lampascione in varianti culinarie interessanti. Ma ciò detto, quello che mi interessa è il nome, la parola.
Il lubrico suono del termine di cui, ripeto, ignoro l’etimologia e sarei grato al lessicografo competente che mi illuminasse, mi affascina. Il nesso sc fu prediletto da Totò che, memorabilmente, domandava, in un surreale teatrino dell’assurdo “E se io le dico poscia, lei che mi dice? La cosa mi scompiscia, poscia”. E a nessuno sfugge il ricordo di quel “A prescindere” che fu intercalare giocoso di tante scenette. Lampascione attiene alla nomenclatura buffa in sé e per sé e non chiedetemi perché. Dunque, è una di quelle parole che, per il suono, diventa maschera, rafforza il lazzo, aumenta lo sberleffo.
È la delizia e la forza del comico ruspante, ma, anche giaculatoria colloquiale utilissima a deridere, sfottere, mortificare l’arroganza, delimitare la spocchia. Dare ad uno del lampascione resta, comunque, bonaria raccomandazione a migliori astuzie, comportamenti corretti, prudenza mentale. Benché altre contumelie con variabili di sbracamenti linguistici sembrano aver preso il sopravvento con corredo turpe di anglicismi, neologismi, barbarismi di vario conio nella nostra parlata e ben lo sappiamo qui da noi, in Puglia, un certo lessico può essere recuperato e riproposto a maggior gloria della tradizione, oltre che della efficacia narrativa.
Propongo un primo esempio per cominciare a compilare un manuale per l’uso. Si può dare del lampascione al cafone arricchito di turno che parcheggia il macchinone in plateale divieto sul marciapiedi e si può designarlo lampascione con convinzione dopo aver registrato la scusante che traduco dal “giargianese”: “Mia moglie si è messa a cercare un parcheggio, ma, forse, per non inquinare girellando tra gli isolati, ha messo la macchina dove è capitato, pur restando dentro la stessa.” Come? Ti preoccupi di non inquinare e ti compri il Suv per girare per Bari. Andiamo! Doppio lampascione.
Triplo lampascione, visto che il padrone di quella specie di carro funebre con blindatura, radar e speroni per i rinoceronti, ha, comunque, il problema del parcheggio allargato a tutta la sfera esistenziale. Si mormora tra gli esperti di sessuologia e psicologia della sessualità che la dimensione del fuoristrada sia inversamente proporzionale alla gagliardia delle prestazioni sessuali. Personalmente, suggerisco la ricetta del croccante bulbo globuloso, detto lampascione, messo sott’olio, il nostro olio di Bitonto, naturalmente. Costa meno della benzina per il macchinone e si parcheggia in un attimo. Basta un piatto.