Negli ultimi anni (e anche nell’ultima campagna elettorale) è periodicamente riemersa la polemica sull’abolizione del liceo classico, e più in generale sull’utilità pratica della formazione umanistica nel mondo di oggi. La reazione a queste proposte non si è limitata alla protesta, ma ha trovato sbocco anche nella pubblicazione di libri che hanno voluto ulteriormente dimostrare la bontà di quegli studi. La formazione umanistica, insomma, non vuole saperne di arrendersi.
Ne parliamo col professor Nicola Pice, che non ha bisogno di presentazioni per il pubblico bitontino. Dottore di ricerca in Scienze dell’Antichità classica e cristiana, Storia della Tradizione e della Ricezione, è stato autore di testi scolastici e per molti anni ha insegnato latino e greco presso il liceo classico “Carmine Sylos” di Bitonto. Politicamente attivo, è stato sindaco (sempre a Bitonto) dal 1998 al 2008; oggi è Presidente della Fondazione De Palo-Ungaro.
Perché periodicamente ritornano proposte di abolizione del liceo classico?
Negli ultimi anni si è acceso un ampio dibattito sul liceo classico, a partire dalla Riforma Gelmini del 2010, quando si registrò una sorta di calo d’iscrizioni. Tale tipo di scuola ha l’indubbio merito di essere incentrata su un percorso formativo ben compatto, ma è innegabile che esso debba superare alcune angustie. A cominciare dal superamento dello sterile grammaticalismo, da sostituire con un approccio induttivo più basato sulla lettura dei testi. Nonostante le diverse proposte emerse in questi anni, rivolte al rinnovamento e mosse dalla consapevolezza che l’educazione linguistica deve incanalarsi verso altri modelli interpretativi, il liceo classico non è ancora guarito da tale male. Una frase attribuita ad uno scrittore del ‘700, il tedesco Georg Lichtenberg, più che mai si adatta alla situazione di oggi: “Io non so se le cose andranno meglio una volta cambiate. So soltanto che devono cambiare per diventare migliori”. Di qui la necessità di liberarci dai vecchi metodi d’insegnamento, il metodo grammaticale e analitico (sterile ed inefficace), salvandone la parte essenziale, ma senza indugiare nella minuta casistica della morfologia e della sintassi.
Il liceo classico è una formula formativa al passo coi tempi?
Senz’altro lo è, se davvero riusciamo ad entrare nella grandezza dell’anima e nella saggezza degli antichi, nonché a cogliere la portata rivoluzionaria del grande patrimonio di letteratura e di cultura della tradizione classica, sempre assai significativa per ricchezza e varietà di suggestioni.
Nella sua esperienza di insegnamento, quali sono i vantaggi di una formazione umanistica? Quali studi universitari, quali attività professionali hanno portato avanti i suoi studenti?
La paideia umanistica si rivela l’antidoto migliore per rimediare a qualsiasi forma di appiattimento culturale. Essa determina pensiero critico, flessibilità mentale, creatività e fantasia e fa convinti che il presente non basta a se stesso e che non bisogna lasciarsi avvolgere dal cosiddetto pensiero a breve termine, ma dal pensiero a lunga durata. La conoscenza del proprio passato diventa importante per ricercare in esso il senso di identità e di appartenenza, individuando linee di collegamento con il presente, che non si riduca a riaffermazione dell’identico, ma che accanto all’identico riconosca anche l’altro da noi, l’estraneo, il diverso, il non più uguale. Nel corso dei miei lunghi anni di insegnamento ho avuto la fortuna di avere alunni “straordinari” che si sono poi “straordinariamente” inseriti nei più diversi sentieri professionali: professori di scuole medie superiori e università, archeologi, medici, architetti, avvocati, magistrati, di cui uno a capo della Procura della Repubblica dopo essere stato uno dei massimi esperti di mafie e di terrorismo internazionale, un rettore, dirigenti del Mibact, un regista, attori. Insomma, la fierezza di essere stato un loro professore.
Negli ultimi anni si sono anche pubblicati libri che hanno al contrario sottolineato la bellezza e l’importanza del greco e del latino
Numerose sono le pubblicazioni di recente uscite nelle librerie italiane sul latino, sul greco, sulla cultura classica. Cito l’osannato libro di Andrea Marcolongo, La lingua geniale (Laterza 2016) che svela il fascino del greco antico, e l’interessante libro di Michele Napolitano Il Liceo classico: qualche idea per il futuro (Salerno ed. 2017) che spiega come rendere il classico più appetibile senza snaturarne le ragioni e le prerogative storiche profonde. A me sono particolarmente piaciuti due libri. Uno, quello di Matteo Nucci, Le lacrime degli eroi (Einaudi 2013), che incentra la sua attenzione sugli eroi del mondo omerico per riflettere sulla umana sofferenza dell’uomo, l’unico animale capace di affrontare la propria mortalità e in qualche modo sconfiggerla: è l’uomo che realizza pienamente se stesso, quello che accetta la propria fragile emotività, il proprio destino di sconfitto, e vive questa vita terrena nella sua pienezza. L’altro, quello di Sandra Bonsanti, Una favola vera (Chiarelettere 2016): “Un vecchio professore indica la strada a un gruppo di giovani che vogliono imparare a vivere la democrazia”. Così recita il sottotitolo del libro, che riassume parte della vicenda: siamo nel 1945 e Piero, un anziano docente, spiega in dieci lezioni da dove traggano origine i concetti di libertà e democrazia. Ad ascoltare le sue parole, e le suggestioni che evocano, un gruppetto di studenti universitari appena usciti dal Ventennio. Nel suo excursus filosofico e poetico, Sandra Bonsanti da Omero arriva a Kant e al cielo stellato dell’imperativo categorico, all’Hegel del pregiudizio sulla durabilità, rammenta gli intellettuali allineati o meno con il regime, fino a toccare i temi della solitudine odierna e dell’invecchiare. Che ci coinvolgono tutti, uomini e donne, in politica e in poesia, da Saffo ai giorni nostri. In questo mondo postmoderno e globale, frettoloso e assiderato, l’autrice punta l’indice contro i nuovi nemici: l’indifferenza, l’intolleranza, il cinismo. Oggi più che mai c’è bisogno di ascoltare il canto della libertà.