Dall’eutanasia forzata alla shoah il passo breve del nazismo

Alle radici del genocidio degli ebrei, di cui si fa memoria in questi giorni, c'è la soppressione di duecentomila persone diversamente abili, ritenute indegne della razza ariana

La shoah, il genocidio nazista, la distruzione d’un popolo, il più grave livello mai raggiunto dall’antisemitismo nella storia del mondo, iniziò, di fatto, con un disumano programma di eutanasia forzata che, seppure non diretto a colpire i soli ebrei, prese di mira migliaia di persone diversamente abili sia dal punto di vista fisico che psichico. Era il 1939, alla metà dell’anno, quando in Germania partì il progetto di eutanasia forzata all’interno di una vasta attività, finalizzata alla purificazione della razza ariana da ogni difetto genetico. Un disegno scellerato che aveva le radici nella promulgazione, nel 1933, della legge per la sterilizzazione forzata delle stesse persone con disagi fisici e psichici.

La legge per la sterilizzazione delle persone con disagi fisici e psichici

Aveva già scritto a questo proposito Adolf Hitler nel 1925: “Chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze nel corpo del suo bambino. Qui, lo Stato nazionale deve fornire un enorme lavoro educativo, che un giorno apparirà quale un’opera grandiosa, più grandiosa delle più vittoriose guerre della nostra epoca borghese”.

Negli anni Trenta, l’integrazione delle persone diversamente abili subì un’improvvisa quanto violenta battuta d’arresto. Alcune idee – non nuove in verità nella storia dell’umanità – furono riproposte dal nazifascismo, sorrette da motivazioni scientifiche o pseudoscientifiche. Tutti coloro che sino a quel momento venivano considerati come l’anello debole, più fragile della società e, dunque, bisognosi di cura e attenzione, furono esposti a un inaudito vento di oppressione e persecuzione. Le loro esistenze divennero molto meno importanti delle persone cosiddette normali; divennero esseri umani inferiori, inutili, difettosi; un peso per la società e come tali potevano e dovevano essere trattati, ovvero eliminati. Su tale principio, venne, appunto, concepito un crudele programma di eutanasia forzata.

 

La mentalità che portò all’uccisione di migliaia di persone diversamente abili non si deve esclusivamente a Hitler – anche se indubbiamente questi ne fu l’artefice massimo – giacché s’era creato, a quel tempo, un clima terrificante. Il suo avvento al potere consentì alle professioni mediche e psichiatriche di immaginare l’inimmaginabile (Ian Kershaw). Soprattutto dalla fine degli anni Trenta in poi, medici, psichiatri e personale infermieristico erano ben consapevoli di cosa il regime nazista richiedeva loro. Lo stesso si può dire per la burocrazia sanitaria, intenta a oliare le giunture di un infernale ingranaggio omicida.

Il clima “favorevole” all’eutanasia forzata all’interno della società tedesca

Del resto, anche tra la stessa opinione pubblica il clima non poteva dirsi sfavorevole. Se molti per principio si schieravano decisamente contro l’eutanasia volontaria, tanto più rispetto a quella imposta, soprattutto tra i devoti alle confessioni cristiane, altri invece erano favorevoli, e se non del tutto favorevoli, quanto meno disposti passivamente ad accettarla. D’altro canto, un programma segreto di omicidi di massa sarebbe stato inconcepibile e anche difficilmente applicabile se non all’interno di una situazione assolutamente straordinaria. Ovvero nell’euforica speranza di un popolo preso nella morsa di un’insostenibile situazione economica e sociale che, pur di uscirne e ritrovare l’antica potenza, si rese disponibile a credere nel progetto apparentemente incredibile, quanto terrificante, di un uomo modesto che stava per conquistare il mondo perché fermamente convinto di essere un salvatore chiamato ad assolvere un compito di eccezionale rilevanza: salvare la nazione tedesca dal definitivo declino. Soltanto sulla base di un siffatto assunto, Hitler ha potuto concepire l’inconcepibile. Dopo di che, tutto si è reso possibile: la progressiva erosione dello stato di diritto e la disintegraziazione delle strutture formali di governo.

Bisognava, tuttavia, preparare la cittadinanza ad accogliere un progetto non facile da accettare. Se ne occupò, tra gli altri, il capo dei medici del Reich, Gerhard Wagner, che condivise e assecondò il disegno del Führer. Hitler era assolutamente favorevole all’eliminazione della parte più fragile della popolazione tramite un procedimento di eutanasia forzata. Wagner, dal canto suo, invocava da tempo misure radicali che portassero all’eliminazione degli esseri umani che, a suo giudizio, erano indegni di vivere: i malati cronici e i diversamente abili, in primis. Hitler si convinse che un progetto simile poteva essere meglio attuato in tempo di guerra, perché le resistenze che una parte della società, specialmente la chiesa cattolica, avrebbe prevedibilmente attivato, avrebbero avuto un minor impatto che in tempo di pace. In tempo di guerra molte cose cambiano, molte cose si vedono da altre e diverse angolazioni. La guerra cambia le cose e le persone.

Il ruolo del capo dei medici del Reich, Gerhard Wagner, nel preparare il terreno all’eliminazione delle persone affette da disabilità

Ebbene, Wagner promosse il dibattito per preparare la cittadinanza. Si pubblicarono dati sui costi di mantenimento dei diversamente abili e dei pazienti affetti da malattie incurabili e da tare ereditarie, lasciando intendere tutto ciò che di buono si sarebbe potuto fare con le ingenti risorse che al momento andavano invece “sprecate” a beneficio di così tante esistenze inutili. Le cineprese entrarono negli ospedali, nei manicomi, documentando scene raccapriccianti per fare colpo sulla gente e convincerla dell’opportunità, anzi della necessità di eliminare, per il bene di tutti, quella che veniva presentata come la parte peggiore (la feccia) della società.

Il caso della soppressione, su richiesta del padre, del bambino gravemente deforme 

Nei primi mesi del 1939, il padre di un bambino gravemente svantaggiato (era nato cieco, privo del braccio sinistro e con una gamba deforme) inviò una supplica al Führer chiedendo che venisse concessa al piccolo una morte pietosa. Hitler colse l’occasione: inviò il suo medico personale di allora, Karl Brandt, a consulto con i medici del bambino, con il mandato – qualora le circostanze corrispondessero a quelle descritte dal padre nella lettera – di autorizzare a suo nome il personale sanitario a eseguire l’eutanasia. Il che effettivamente avvenne nel luglio dello stesso anno. A quel punto, Hitler non fece altro che autorizzare chi di dovere a comportarsi nello stesso modo nell’eventualità di casi analoghi. E ce ne erano. Nel giro di pochi mesi, sotto l’egida di un apposito organismo prontamente attivato, denominato Comitato nazionale per la catalogazione scientifica di gravi disturbi ereditari, tra i 5.000 e gli 8.000 esseri umani diversamente abili, quasi tutti bambini, furono messi a morte tramite iniezioni letali.

Nel 1939 furono praticate iniezioni letali ad un numero di bambini, compreso tra i 5 e gli 8mila

Di lì a poco, stessa sorte toccò ai pazienti adulti affetti da gravi malattie fisiche e mentali. Degli ospedali e dei manicomi si doveva fare migliore utilizzo, i medici e il personale sanitario non dovevano più “perdere tempo” stando appresso a quegli esseri umani inutili: la guerra incombeva. Di strutture e personale si sarebbe dovuto fare un uso migliore.

A quel punto, il terreno era fertile per avviare un progetto su più ampia scala e più strutturato, sempre nella massima segretezza, per consentire l’adozione di soluzioni rapide e sempre extraufficiali. Venne creata un’organizzazione composita, formata da 3 organismi e oltre 100 persone che lavoravano in parallelo, ciascuna con i propri compiti, che individuò 60mila casi di persone diversamente abili, sia bambini che adulti, a cui appliccare nell’immediato l’eutanasia forzata. L’organismo aveva sede a Berlino, in una piccola villa al numero 4 della Tiergartenstrasse, da cui l’operazione trasse il suo nome in codice: Aktion T4.

Ciò che stava accadendo (siamo ancora nel 1939) mostrava nel modo più chiaro l’indice di stravolgimento delle strutture di governo ufficiali, rimpiazzate da agenzie operative, per lo più segrete, impegnate a dare concreta attuazione ai propositi del Führer. Quanto meno ai suoi presunti propositi, giacché in merito Ian Kershaw osserva che s’era creata una situazione che invitava a non attendere ordini e direttive, in quanto era dovere di ogni singolo individuo cercare nel proprio lavoro di andare incontro al Führer secondo le linee da lui auspicate. Il che favorì lo scatenarsi di un antagonismo feroce tra organismi rivali e tra individui di uno stesso organismo. Nella giungla darwinista del Terzo Reich, la strada per l’avanzamento di carriera e la presa di potere passava, dunque, anche attraverso la promozione di quelli che si presumevano essere i suoi intenti e i suoi desideri. Difficile fare la somma di quanto tale circostanza abbia, nel complesso, influito sul clima generale, ma certo non poco. Comunque siano andate effettivamente le cose, una questione è certa: da un determinato momento in poi il regime imboccò la via dell’autentica criminalità.

Tra il 1939 e 1941, furono 180mila le vittime dell’operazione Aktion T4 

Nell’agosto del 1941, la famigerata operazione T4 venne fermata: il programma aveva portato a morte non 60 mila esseri umani, come all’inizio preventivato, ma almeno 70 mila e più probabilmente 80 o 90mila; non solo, ma considerato che le uccisioni non furono eseguite dai soli uomini della T4, il numero complessivo della campagna nazista per l’elinazione dei diversamente abili, tra la metà del 1939 e la metà del 1941, deve essere con buona approssimazione raddoppiato: tra i 140 e i 180 mila esseri umani brutalmente ammazzati. Oltre alle iniezioni fatali, vennero utilizzati locali di morte camuffati da locali doccia e semplici furgoni attrezzati con camere a gas (attrezzature e tecnologie ancora rudimentali rispetto a quelle che verranno poi tragicamente utilizzate nei famigerati campi di concentramento), ma non mancarono le più sbrigative fucilazioni da parte dei plotoni delle SS.

Lo sterminio degli ebrei diversamente abili residenti in Italia

A guerra iniziata, con l’estendersi dei fronti, lo sterminio dei diversamente abili non risparmiò i paesi occupati, con drammatici risvolti anche in Italia, come la deportazione ad Auschwitz di tutti i diversamente abili – in questo caso ebrei – che erano internati negli ospedali psichiatrici di Venezia.

Lo sterminio, con alterne vicende, continuò sino alla fine del mese di maggio del 1945. La guerra era finita da tre settimane, il regime era caduto, ma il 29 di maggio, una capo infermiera ebbe il coraggio di uccidere, in uno di quei luoghi di morte, un bambino di 4 anni. L’ultima giovanissima vittima del programma di eutanasia forzata, che intanto, dal 1941 in poi, aveva allargato i suoi confini, colpendo rom, slavi, siti, omosessuali e, soprattutto, ebrei. Risultato finale: lo sterminio di non meno di 200mila esseri umani.

Ciascuno di quei 200mila esseri umani aveva una propria identità personale: un nome, un cognome, un’età, delle idee, dei sentimenti, delle speranze; giocava, studiava, lavorava, aveva una famiglia. Dopo, nulla più. La tragedia di ciascuno rimbomba nella tragedia dei tanti: 200mila esseri umani morti non per mano di una qualche belva feroce, ma per mano di altri esseri umani. Come è potuto succedere?

Forse aveva ragione Baudelaire, quando a metà Ottocento scriveva che le disfatte sociali non sono solo imputabili alla sorte di questa o quella istituzione, ma (anche) all’avvilimento dei cuori. Non di un solo cuore – dunque – ma lo smarrimento di tanti e tanti cuori. Hitler aveva di certo smarrito il suo cuore, ma non è stato il solo, si è trovato in tanta buona compagnia in quei terribili anni. Secondo alcuni era letteralmente preda della follia, e questa idea, che fosse un pazzo esaltato, ha ancora non pochi sostenitori. Persino gli stessi suoi generali e collaboratori più stretti l’avevano talvolta supposto.

Il capo del nazismo, tuttavia, non aveva, sì, cuore; era, sì, esaltato, ma non era affatto pazzo (Ian Kershaw). C’è da chiedersi come sia stato possibile che un uomo così poco dotato intellettualmente, privo di qualità sociali e di sostegno familiare, senza alcuna esperienza di governo, abbia potuto avere un così rilevante impatto sulla storia e tenere il mondo intero col fiato sospeso.

Ebbene, intanto, Hitler non era affatto stupido, e possedeva una mente vivida in grado di attingere a una memoria formidabile. La sua capacità di cogliere rapidamente il nocciolo delle questioni era impressionante. E poi, la sua celeberrima abilità declamatoria, che gli stessi antagonisti politici gli riconoscevano. Ma questa straordinaria combinazione – una mente vivida abbinata a una straordinaria capacità di comunicazione – non costituiscono fattori dirimenti, per spiegare la singolarità del caso. C’è qualcosa in più.

Hitler era convinto di aver ricevuto un mandato divino: salvare la nazione tedesca dal definitivo declino

Questo qualcosa in più, sta nella miseria, nella vacuità di un uomo privato; in quell’essere, Hitler, una non-persona, nell’incarnare un uomo senza biografia, praticamente privo di una storia personale al di là degli eventi politici a cui prese parte e che lo videro protagonista. Il Führer non possedeva una sfera privata in cui ritirarsi, un’esistenza che ne condizionasse i riflessi politici. La sua vita privata, un’autentica scatola vuota al di fuori della vita politica, non entrò mai a far parte del personaggio pubblico.

Hitler era anaffettivo al sommo grado, un anaffettivo fanatico e crudele. Era fermamente convinto di aver ricevuto un mandato divino, di essere un dono del cielo, di essere, come s’è detto, un salvatore, una sorta di secolare messia chiamato ad assolvere un compito di eccezionale rilevanza: salvare la nazione tedesca dal definitivo declino. Soltanto sulla base di un siffatto assunto ha potuto concepire l’inconcepibile.

Hitler riservava i soli istanti di dolcezza al suo pastore tedesco Blondi, e a Wolf, il suo cucciolo, per il resto la vita e il dolore della gente non aveva per lui alcuna importanza. Non visitò mai un ospedale da campo, mai si recò sui luoghi dei massacri, tanto meno in un campo di concentramento: ai suoi occhi i nemici erano solo insetti da schiacciare.

La sua assenza di impulso era totale, tant’è che il profondo disprezzo in cui teneva l’esistenza degli esseri umani non risparmiava il suo stesso popolo. Aveva una missione superiore da compiere e, dunque, le centinaia di migliaia di morti e feriti erano una semplice astrazione; la sofferenza stessa un necessario e giustificato sacrificio che lo stesso popolo tedesco doveva affrontare con eroismo in vista del premio finale: la salvezza della nazione. Aveva un motivo superiore, era un esaltato, certo, ma non era affatto pazzo. Va da sé che comunque stiano le cose, niente potrà mai giustificare le sciagure a cui ha dato origine. E tra queste la shoah, il genocidio di milioni di persone di religione ebraica, la più terrificante.