Sulla facciata di un palazzo di via Crispiano, in una zona popolare di Massafra, due bambini si abbracciano. Un gesto che fa sempre un certo effetto, per quanto abbastanza frequente nelle scuole, nei parco-giochi, lì dove si riuniscono e giocano insieme tanti ragazzi. Mi ricorda la scena cui ho assistito ieri l’altro; quando ho visto due scolaretti che si stringevano l’uno all’altro all’uscita dalle lezioni, entrambi con la cartella in spalla.
Probabilmente avevano litigato, perché i compagni non facevano che spronarli a fare pace, a parlarsi, a sciogliere in un abbraccio tutti i nodi della discussione. E i due, dopo qualche resistenza, avevano accolto l’invito, per poi proseguire, l’uno col braccio sulla spalla dell’altro, la loro passeggiata verso casa.

Un abbraccio è un’immagine potente. E vedere quei bambini lungo la parete di un intero stabile di Massafra, non può che fare un certo effetto. Tanto più perché non si tratta di due ragazzi qualunque, come quelli che ho visto fare pace sulla strada di casa. Il loro è un abbraccio simbolico, speciale, particolare. Poiché coinvolge un bambino israeliano e un bambino palestinese. Lo si comprende dai due copricapi, la kippāh e la kefiah, simboli di due culture antichissime ma in perenne conflitto tra loro. Un contrasto che ha origini ben più antiche di quel primo attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, che sembra proprio non voler cessare. In un momento così drammatico, in cui moltissimi sono i bambini che muoiono, i ragazzini che in questo straordinario murale si abbracciano ci fanno sperare che, un giorno, finalmente tutto finirà e la pace potrà risplendere.
L’immagine riproduce un famoso scatto di Ricky Rosen, fotogiornalista americana, che risale al 1993. Una foto che ha fatto il giro del mondo e che continua a commuovere chiunque la guardi: conosciuta con il titolo di Un abbraccio per la pace, era stata scattata a tre mesi dagli accordi di Oslo del 13 settembre 1993. Per la prima volta, in quella sede, i due leader israeliano e palestinese, Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, si stringevano la mano in pubblico, testimoniando la volontà di mettere fine ad un conflitto che durava da più di quarant’anni. I due paesi riconobbero il reciproco diritto ad esistere, ma la pace durò appena due anni. Il 4 novembre 1995, il presidente israeliano tenne un comizio in piazza a Tel Aviv in cui parlò di un progetto di pace con la Palestina. Le sue idee non incontravano, tuttavia, il favore di molti: e, infatti, durante il celebre discorso, Yigal Amir, un colono ebreo nascosto tra la folla, sparò a Rabin due colpi di pistola, uccidendolo. Da lì in avanti la situazione è precipitata.

La foto della Rosen era stata scattata in un momento di grandi speranze, in cui finalmente si credeva che si sarebbe messo un punto ad una questione tanto complessa, ad un odio che sembrava essere eterno. Erano giorni di grande fiducia nel futuro e nelle future generazioni. Eppure, così non è stato. La fotografia, inoltre, fu anche al centro di uno scandalo, perché Ricky Rosen non aveva effettivamente ritratto un palestinese e un israeliano, ma due israeliani, ognuno con un diverso copricapo, in rappresentanza delle due culture. Ma, come ha cercato di spiegare la fotografa, ad essere di primaria importanza era il messaggio che lo scatto intendeva trasmettere non la sua accuratezza storica.
Un messaggio che continua ad essere un monito di speranza, come testimonia il murale realizzato a Massafra, grazie ad un’iniziativa promossa dalla Regione Puglia e da Arca Jonica, l’agenzia regionale per la casa e l’abitare, che continua ad avere ancora un grande impatto su chi la guarda. “Questo murales viene a proposito: sto per incontrare nei prossimi giorni l’ambasciatore palestinese. Come tutti i pugliesi ho un rapporto molto buono anche con Israele. Noi speriamo e invochiamo il buon senso e il senso della pace che, qualunque sia il nostro credo, è dentro il nostro cuore” ha detto Michele Emiliano, congratulandosi con l’amministratore di Arca Jonica per il “gesto di grande importanza e impatto; una invocazione per la pace tra Israele e la Palestina e in tutti gli scenari di guerra”.

Lo smart wall – tecnica che unisce la fotografia tradizionale alla fotografia, nata proprio in Giappone durante il lockdown – ha la particolarità di essere composto da migliaia di tessere digitali, che possono fornire gratuitamente internet e trasformarsi in una grande lavagna digitale con contenuti multimediali a chi lo inquadra con lo smartphone. Un’iniziativa che si inserisce in una lunga serie di attività promosse dall’Arca per riqualificare le zone più degradate e depresse.
“Questa presentazione – ha spiegato Denny Pascarella, amministratore unico di Arca Jonica – racchiude in sé tutto quello che è il nostro impegno nel segmento abitativo residenziale. In provincia di Taranto ci sono 64 milioni di euro che grazie alla Regione Puglia, Arca Ionica sta mettendo in campo per la riqualificazione di numerosi alloggi di edilizia residenziale repubblica, un patrimonio complessivo di settemila abitazioni, tra Taranto e provincia. Il cui settanta per cento risale agli anni settanta. Oggi quindi diamo il senso di questa logica di riqualificazione, anche presentando un’innovazione digitale”.
L’inaugurazione del gigantesco mosaico digitale ha attirato moltissimi visitatori, rivitalizzando la zona periferica della città. “Quello che possiamo augurarci è che i due popoli comprendano presto che le loro culture sono affini, si incastrano e si incontrano. Hanno tanto da imparare l’uno dall’altra. E, per capirlo, tanti innocenti stanno pagando. Spero che questo gesto, puramente simbolico, possa contribuire a portare speranza, pace e giustizia. Non possiamo che augurarcelo”, ha concluso il vescovo di Castellaneta, mons. Sabino Iannuzzi, rivolgendo lo sguardo a quell’abbraccio, umanissimo, tra due innocenti.