La vera giustizia non sia l’utile del più forte

AttoREmatto rilegge in chiave contemporanea le "Troiane" di Euripide, nello spettacolo in scena al Traetta di Bitonto con la regia di Cecilia Maggio

Cenere e macerie. Cadaveri abbandonati al suolo, lasciati in pasto agli uccelli. Altari e santuari ridotti a un lago di sangue. Così si presenta una città conquistata, un paese messo a ferro e fuoco dalle armi di un esercito nemico. Il nome di questa città è Troia, luogo archetipico della distruzione e del saccheggio, emblema mitico della caduta di un regno e dell’atroce destino dei vinti: dallo splendore della ricchezza e del potere al niente assoluto della morte e della schiavitù. Con uno sguardo carico di nostalgia, il dio Poseidone percorre quel panorama di desolazione. Un lungo affetto lo lega al paese dei Frigi.

Francesco Mitolo nei panni Poseidone, dio del mare (fonte: pagina facebook attoREmatto)

In un tempo ormai lontano, il signore del mare aveva costruito, insieme ad Apollo, le mura e le torri della città. Quella perfetta costruzione era già stata una volta minata dal feroce assalto di Eracle. Ma ciò non aveva impedito a Troia di continuare la sua esistenza e di prosperare come grande potenza dell’Asia. Ora, invece, la rovina è un orizzonte definitivo. Dal ricordo del passato, Poseidone transita alla constatazione ineluttabile del presente: Troia “è solo fumo […] un deserto di rovine” (vv. 8 sgg.). Nemmeno l’opera degli dei è stata un baluardo sufficiente ad arginare il gorgo della storia e la violenza della guerra.

In questo ‘deserto’ cominciano le Troiane euripidee: l’inizio è la sanzione di una fine senza appello. Insieme alla vita si è spento anche ogni atto di culto nei recinti sacri e nei templi abbandonati a se stessi. Non c’è più nulla da fare se non rivolgere un ultimo saluto e poi andarsene: Addio, mia città! esclama il dolente Poseidone. Quando, all’improvviso, sopraggiunge, inaspettata, la dea Atena”. Esordisce così Cecilia Maggio, regista dello spettacolo portato in scena al Traetta di Bitonto dall’ensemble di giovani attori e attrici eccezionali di attoREmatto.

La pièce è un tentativo, si legge nella sinossi dell’opera, di far “emergere dettagliatamente gli aspetti comuni della società che ci tocca in sorte oggi, facendoci assaporare quel tocco di vita che ci passa davanti quasi senza accorgercene”. Le donne di Troia (Ecuba, Atena, Cassandra, Andromaca ed Elena), prigioniere degli achei, non hanno azione né iniziativa. Subiscono solamente quanto è deciso dai vincitori al di fuori della scena.

I giovani attori sul palcoscenico del Traetta (fonte: pagina facebook attoREmatto)

A fare da spola tra i guerrieri vincitori e i personaggi femminili del dramma solo un “messo dell’esercito greco” (v. 230), Taltibio, ipotiposi del potere che le soggioga e che le assegna per sorteggio o per scelta preferenziale ai nuovi padroni. Davanti al pubblico risuonano gemiti e deliri di donne alle prese con le loro paure e i loro fantasmi: una sequenza di pannelli che scorrono articolando il racconto. Nella novantunesima Olimpiade (415 a.C.), racconta il retore Eliano (Storie Varie 2, 8), i tragediografi Senocle ed Euripide si ritrovarono concorrenti all’annuale agone teatrale di Atene. Al primo posto si classificò Senocle con la trilogia composta da Edipo, Licaone e Baccanti, seguita dal dramma satiresco Atamante, mentre Euripide concorse con Alessandro, Palamede e Troiane e il dramma satiresco Sisifo ma giunse solo secondo.

Sin dall’inizio del dramma una figura – accasciata al suolo – è presente nell’orizzonte visibile della scena. Chiusa nel silenzio e ignara dei discorsi che gli dei stanno pronunciando alle sue spalle. “La sua identità viene esplicitata da Poseidone che, con piglio didascalico, si rivolge direttamente al pubblico: E là, guardate, davanti alle porte c’è Ecuba, distesa a terra” (v. 37)”, racconta Chiara Mitolo. “Se Troia è ormai solo fumo che sale nell’aria, la regina è ridotta a uno spettro di se stessa, all’ombra evanescente di una morta. Eppure tenta ancora qualche movimento anche se, nel corso dell’azione, si accascerà nuovamente a terra perché sempre nuovo orrore viene ad aggiungersi al peso di quanto si è già consumato”.

Quello di Ecuba, tuttavia, non è l’unico corpo su cui la drammaturgia richiama l’attenzione. Donne, vecchi e bambini: sono questi gli ovvi e facili bersagli di ogni violenza. Dopo la presa di Troia, Elena, la “Spartana”, è stata collocata nelle tende riservate alle prigioniere di guerra: messa nel novero delle donne della città sconfitta. Ma quando entra in scena – trascinata per i capelli dai servi di Menelao – il suo aspetto non mostra tracce di umiliazione o di patimento.

La sua figura è un insulto al dolore di Ecuba e delle altre Troiane. È l’immagine di una regalità che si pone al di sopra della misura comune della giustizia e del pudore. Per la prima volta – spiega Gabriella Perrini -, dopo tanti anni, si trova dinanzi al suo legittimo marito, Menelao, ed è ben decisa a far valere il suo fascino e le sue ragioni. Per la ragion mitica, Elena è stata l’elemento scatenante del conflitto. Ma nello sviluppo della tragedia il dato tende ad assumere una rilevanza ancor più radicale. Soprattutto quando il coro e Menelao insultano Elena, ho sentito tutto il peso della scelta di questo personaggio”.

La traduzione è concepita essenzialmente per la scena e per la recitazione. Alla fedeltà letterale si sono preferiti la perspicuità, il ritmo e la scorrevolezza di una versione che possa essere fruita in modo autonomo anche da un pubblico non intrinseco alla letteratura greca e agli stilemi delle traduzioni accademiche”, illustra Maraglia Murgolo. La figura del defunto Ettore viene celebrata con parole di elogio, ma la sua presenza sembra per un istante materializzarsi nelle tracce corporee lasciate sul suo scudo. “Giunta a Troia, Andromaca, vedova dell’eroe defunto – prosegue Paolo Perriniaveva trovato in Ettore uno “sposo ideale” dotato di intelligenza, nascita nobile, ricchezza e coraggio”.

Taltibio – rivela Savino Coviello – è già presente nell’Iliade omerica come araldo di Agamennone. In questo dramma reca alle prigioniere notizie relative al loro destino; preoccupato di far eseguire puntualmente gli ordini affidatigli, il messaggero degli achei non è, tuttavia, appiattito sul ruolo di mero esecutore o di semplice messaggero. Mostra un atteggiamento di compassione per le vittime della guerra o quanto meno una ritrosia ad annunciare loro le decisioni più crude e dure dell’esercito greco”.

Il testo de Le troianeviene scritto da Euripide in un momento critico per la società ateniese che stava perdendo la sua grande predominanza e centralità all’interno del panorama delle poleis greche. Si avvertiva una perdita di controllo e di identità. Stato d’animo trasferito nelle figure femminili – precisa Letizia Acquafredda -, tuttora estremamente commuoventi, capaci di mostrare la loro fragilità, impotenza e il loro percepire un’assenza di futuro, un senso di fine definitiva della loro civiltà”. Questa associazione di senso tra il racconto della distruzione del popolo troiano e il momento storico di forte decadenza vissuto da Atene riporta a una dimensione estremamente concreta proprio perché realmente vissuta. Perciò, quando si delineano nel corso della Storia periodi gravi e catastrofici come quello che stiamo vivendo, quando sembra che tutto sia finito, emerge ancora vivo quel senso di disperazione di fronte a qualcosa di incontrollabile. 

Alcuni passi della tragedia sembrano davvero scritti durante la nostra epoca: il senso di perdita di identità, di realtà descritto da Euripide risulta vivo e scottante per molte persone oggi. Le troiane del presente sono le vittime in preda ai conflitti, alle quali vengono negati i diritti fondamentali, succubi di un destino ineluttabile. Gente alla ricerca di una pace tanto agognata ma che la guerra allontana”, afferma Flavio Allegretti. Questa tragedia è capace di toccare direttamente il pubblico proprio perché richiama alcune situazioni che stanno accadendo in questo momento.

Con lo scoppio della guerra russo-ucraina prima, e le tristi vicende sul confine israelo-palestinese poi, tornare a proporre sulla scena una tragedia come le Troiane è stato quasi un atto dovuto. Siamo partiti dalle vicende mitiche ponendoci come obiettivo far riflettere il pubblico, in maniera teatrale, su quanto sta accadendo in quei luoghi martoriati dalla guerra”, rivela Cecilia Maggio. “Il dramma di Euripide costituisce un paradigma su cui riflettere o un modello da riattraversare, fino alle riprese più vicine a noi, alle riscritture in cui si riflettono gli snodi traumatici del Novecento e di inizio millennio. Al di là dei confini dello spazio e del tempo – prosegue la regista – un uguale dolore sembra accomunare i dannati della terra di ieri a quelli di oggi: La tragedia, in questo caso, può assumere un afflato universale, riconducendoci a tutti i conflitti ingiusti visti dalla prospettiva dei vinti”.

I ragazzi e le new entry sul palco rappresentano la voce del coro tragico che è poi quella di un intero popolo e insieme, come una sorta di filtro privilegiato, l’atroce esperienza di vite offese e di corpi violati. L’aggancio con la realtà contemporanea immette lo spettatore in uno spaccato delle odierne società in cui, grazie alla diffusione dei social, l’immagine è diventata un elemento preponderante delle nostre esistenze, a scapito di significati più profondi”. Ad attualizzare le vicende contribuisce la decisione della regista di vestire i personaggi con abiti odierni, rendendo universali e attuali i vissuti dei protagonisti in scena, in cui possono identificarsi le società umane che subiscono ingiustizie, sofferenze, drammi immeritati scaturiti dalla legge del più forte. Anche la recitazione è modulata su schemi contemporanei, più vicina alla nostra sensibilità che, pur essendo carica di tensione e pathos, abbandona interpretazioni altisonanti e pose impostate a cui avrebbe potuto condurre la tragedia classica.

Lavorare con ventuno attori giovani e appassionati è per me un elisir di lunga vita. Allestire questo spettacolo è stato per loro un grande sforzo, ma è stato tutto molto bello. Mi hanno sempre promesso che ce l’avrebbero fatta. Grazie al loro enorme sostegno siamo riusciti insieme, come una famiglia, a far fronte anche alle situazioni più critiche”, aggiunge Maggio. E conclude: “Adesso stiamo cercando di capire rendere esportabile questa piece sul lungo periodo. Replicheremo le Troiane il prossimo 11 aprile al teatro Rossini di Gioia del Colle, all’interno di una rassegna teatrale per le scuole. Siamo in attesa di capire se anche l’anfiteatro di Bisceglie possa ospitarci nella nostra tournée”.

In alto, gli attori della compagnia “attoREmatto” interpretano le ‘Troiane’ di Euripide al Teatro Traetta di Bitonto