Era il 431 a.C. e gli ateniesi si riversavano nelle strade della polis per recarsi all’anfiteatro. Si celebravano le Grandi Dionisie, la festa religiosa che attirava gli alleati della Lega di Delo (capeggiata da Atene) proprio lì, nella città che rifioriva, tra le tante opere architettoniche, realizzate grazie ai tributi offerti dalle comunità limitrofe. Era giorno – perché gli spettacoli teatrali si tenevano di prima mattina – ed Euripide gareggiava con Sofocle ed Euforione, portando in scena la sua Medea. Ci sono due versioni di questa tragedia, ma spiegare un argomento tanto complesso e lungo sottrarrebbe l’attenzione dalla versione che è giunta fino a noi e che ha ispirato tantissime riscritture, antiche e moderne, continuando ancora oggi a colpire e atterrire il pubblico.
Ero nel primo ordine del Teatro Traetta, a Bitonto, e scrutavo il pubblico, in attesa dell’inizio dello spettacolo messo in scena dalla compagnia del Teatro Patologico, nata nel 1992 grazie a Dario D’Ambrosi, regista e suo fondatore. La platea era gremita e così il primo e il secondo ordine. Vedevo qualcuno affacciarsi dal terzo e perfino qualche coraggiosa vedetta in quarto ordine, desiderosa di perdersi dietro alla bellezza di una storia che ha ancora tanto da dirci e che non cessa di emozionare. Non è facile portare in scena quest’opera. Non era facile nell’antica Grecia e non è facile neppure adesso. Al centro del dramma di Euripide vi è, infatti, una donna vendicativa, che giunge persino ad uccidere i suoi figli. Una maga che prepara pozioni velenose, che tesse una trama di intrighi e che si è macchiata di crimini orrendi anche prima della vicenda rappresentata dal drammaturgo.
Medea, come accade nella grande letteratura, è un personaggio divisivo. È impossibile non provare ribrezzo per quello che compie, così come non si riesce a non provare pietà, compassione, empatia per la sua sofferenza. È una donna ferita, che ha ucciso suo padre e suo fratello per amore di un uomo, Giasone, che l’ha portata con sé ad Atene per poi abbandonarla per un partito migliore: la figlia del re. E, come se non bastasse, per un editto cittadino deve abbandonare il luogo in cui vive, insieme ai suoi due figli, perché è una barbara e una maga, e di lei chiunque ha una profonda paura. Medea è la rappresentazione degli outsider, di coloro che vengono osteggiati, discriminati, allontanati, solo perché diversi.
Come si fa a non provare compassione per un personaggio del genere? Come si fa a vedere solo le sue colpe? Quello che ogni spettatore sente, sin dalla primissima data in cui è stata portata in scena la storia di Medea, ha un nome preciso: empatia negativa. La forte simpatia che un lettore, uno spettatore avverte nei confronti di un personaggio dichiaratamente negativo, cattivo, spregevole che agisce in modo contrario alla morale. E nonostante tutto, lo sentiamo vicino, percepiamo la sua sofferenza. Non condividiamo il suo gesto, ma capiamo nel profondo ciò che l’ha causato.
Quello che il Teatro Patologico ha fatto è portare in scena una storia straziante, che continua a parlarci nonostante l’avanzare del tempo. E lo fa con la complessità del teatro sperimentale, in cui la parola si fa rappresentazione visiva, arricchita da oggetti di scena che completano il dramma. Per rendere il dolore e la rabbia di Medea, infatti, gli attori stringono tra le mani dei bastoni di legno, ai quali sono legati dei lenzuoli, che fungono da tela per la maga. Quest’ultima disegna ghirigori con la pittura rossa, in rappresentanza del dolore che prova, della rabbia e dei suoi nefasti scopi.
Il Teatro Patologico non solo si è cimentato con un testo così difficile e polarizzante come quello euripideo, ma si è servito di attori bravissimi, con disabilità sia fisiche sia psichiche, che sono il cuore e la ragione particolare del successo dello spettacolo. Non privo di problemi (la presenza sul palco del batterista e fonico ha privato, ad esempio, del tono drammatico molte scene) ma straordinario sotto molteplici aspetti. Questo team formidabile ha perfino memorizzato interi brani in greco, dando vita ad una performance complessa, che ha lasciato tutti esterrefatti. Il pubblico è andato in visibilio, e non smetteva di battere le mani. Soprattutto quando Dario D’Ambrosi ha preso la parola alla fine, tra gli applausi scroscianti: “L’associazione si occupa di un lavoro unico ed universale, quello di trovare un contatto tra il teatro e questi ragazzi straordinari. Proprio ieri eravamo ai Parioli. Siamo felicissimi di essere a Bitonto“.
Per anni ha svolto attività didattiche, pedagogiche e teatrali nella sala di via Ramazzini all’interno del Municipio XVI; sino al 2006 quando la Regione Lazio gli concede un nuovo spazio. Dall’ottobre 2009 l’Associazione del Teatro Patologico ha il suo teatro stabile a Roma in Via Cassia 472. Qui nasce la prima Scuola Europea di Formazione Teatrale per persone con diverse abilità, dal nome La magia del Teatro e da ben dieci anni questa scuola consente a questi splendidi attori di calcare i palchi di tutto il mondo. Sono stati a Tokyo, in Germania, si sono esibiti davanti al presidente Mattarella. Hanno ricevuto premi ambiti, come la medaglia di Rappresentanza, ma tutti questi premi sono stati loro rubati, insieme all’attrezzatura. Dei ladri hanno fatto irruzione nel teatro, portando via tutto.
“Ma nulla ci ferma“, eslama Dario D’Ambrosi. La loro Medea ha fatto il giro del mondo, muovendo a compassione anche chi non coltiva programmi d’integrazione per persone con disabilità. Il Teatro Patologico, in collaborazione con l’università di Roma Tor Vergata e il MIUR, apre nel 2016 il Primo Corso universitario al mondo di Teatro Integrato dell’Emozione. Il metodo di lavoro di D’Ambrosi è studiato presso la New York University, l’Akron University di Cleveland e la Hayward University di San Francisco. Molti atenei italiani hanno imitato il suo teatro. “La nostra è una lezione di umanità, che spero sia stata accolta da tutti“, commenta.
Tra gli spettacoli che la compagnia porta in scena vi sono Pinocchio, La Divina Malattia, Upside Down, Il Trip di Don Chisciotte, Tito Andronico. Spettacoli che continueranno a far parlare di sé, raccontando storie di outsider che trovano il loro posto nel mondo, senza smettere di insegnare la magia dell’arte e le sue infinite possibilità.
Nelle foto, alcuni momenti della Medea, interpretata dalla compagnia del Teatro Patologico