Se le forze dell’ordine non fossero giunte in tempo, i sessanta reperti archeologici emersi nel corso di una serie di scavi clandestini e trafugati negli Stati Uniti, avrebbero fruttato alla rete dei malviventi un bottino di più di venti milioni, testimoniando ancora una volta il giro d’affari da capogiro che ruota intorno a questo genere di illeciti. La sagacia degli investigatori e la professionalità degli agenti impegnati nell’operazione, ma soprattutto la collaborazione tra i Carabinieri del nucleo tutela del patrimonio culturale e il New York County District Attornesy’s Office hanno fatto segnare una preziosa vittoria nella lotta al mercato nero di beni archeologici, restituendo al pubblico e alle istituzioni culturali a cui erano destinate le numerose e pregevolissime testimonianze dell’arte e della storia del nostro paese.
I reperti, databili tra il VII secolo a.C. e il II sec. d.C. (clicca qui), sono stati presentati alla stampa nella Sala Spadolini del ministero della cultura a Roma, non appena rientrati dagli Usa, dove erano stati immessi sul mercato da trafficanti di opere d’arte internazionali. I pezzi, tra i quali figurano diverse ceramiche provenienti dell’area tarantina, saranno consegnati ai musei dei territori d’appartenenza.
Come si diceva, il giro d’affari che ruota attorno agli appetibilissimi reperti italiani è davvero imponente. Un fenomeno che non smette, purtroppo, di “incitare” tombaroli e trafficanti ad attaccare siti archeologici per sottrare qualcosa che non è soltanto “un oggetto antico” ma racchiude in sé la cultura e la storia di interi territori, lembi di storia che vengono strappati per sempre dal loro contesto originario e che, come dicono gli archeologi (categoria a cui mi pregio di appartenere) “non parlano più” o meglio lo fanno solo parzialmente. Se mai recuperati questi oggetti non riuscirebbero a parlarci con esattezza della storia del luogo in cui erano sepolti, a offrire tutte le informazioni sull’esatto contesto e “strato storico” d’appartenenza. Insomma, una perdita enorme di dati, un atto terribile che si configura appunto come un vero crimine contro l’umanità. Tra i reperti giunti dagli Stati Uniti figura, ad esempio, un importante affresco pompeiano proveniente da scavi clandestini in area vesuviana: l’Ercole fanciullo con serpente, risalente al I secolo d.C.
La dinamica è sempre la stessa, i beni archeologici sono una merce molto richiesta su alcuni “mercati” e sono frutto di saccheggi di siti archeologici italiani effettuati su richiesta di trafficanti internazionali, a loro volta in grado di piazzare la “merce” tanto al facoltoso collezionista di turno, il quale di rado si pone il problema della provenienza degli oggetti d’arte, quanto alle istituzioni museali. Proprio in questa circostanza alcuni dei reperti erano confluiti nelle collezioni private di un cittadino statunitense, uno dei più grandi collezionisti d’arte antica del mondo, al quale è stato imposto dalle autorità americane un divieto a vita di acquistare antichità. La prima volta che viene disposta una sanzione così drastica.
Ma come già accennato, il problema degli acquisti poco chiari non coinvolge solo i privati. Succede molto spesso che istituzioni museali estere acquistino ed espongano oggetti di provenienza sospetta con una leggerezza davvero disarmante. I casi più eclatanti sono quelli che hanno visto protagonista, tra gli altri, il Getty Museum di Los Angeles, più volte salito alla ribalta delle cronache per aver acquistato beni culturali trafugati. Lo stesso Getty negli anni, messo alle strette da inchieste giornalistiche svolte oltre oceano e dagli inquirenti, ha ammesso di non aver prestato sufficiente attenzione in fase di acquisto, rendendosi protagonista di alcune importanti restituzioni di reperti italiani.
La più nota tra queste è sicuramente quella che ha visto coinvolto il territorio pugliese con l’importante rientro, nel 2007, dei Marmi di Ascoli Satriano. Il prestigioso gruppo scultoreo, composto da un complesso di reperti in marmo del IV secolo a.C. appartenuti ad una tomba dell’élite principesca dauna. I marmi furono probabilmente rinvenuti tra il 1976 e il 1977 durante scavi clandestini per mano di tombaroli locali, i quali smembrarono il gruppo per scopi commerciali. Alcuni pezzi furono sequestrati quasi subito dalla guardia di finanza, mentre il trapezophoros, supporto per mensa con i celebri grifoni nell’atto di sbranare una cerva, e il bacino rituale dipinto, più pregiati, furono venduti al mercante d’arte Giacomo Medici e, prima, entrarono illegalmente a far parte della collezione di Maurice Tempelsman e, dopo, furono ceduti al Paul Getty Museum, che nel frattempo era stranamente entrato in possesso anche della preziosa statua di Apollo con grifo che ne era un importante pezzo. Oggi lo straordinario gruppo marmoreo può essere ammirato presso il museo di Ascoli Satriano nel foggiano.
Il museo americano possiede ancora numerosi reperti di provenienza “non certificata”, con molta probabilità scavati clandestinamente in Italia. Per scoprire il traffico illecito di questi ultimi reperti rientrati nel nostro paese, oltre al lavoro investigativo dell’Arma e delle competenti autorità statunitensi, è stato fondamentale il contributo tecnico-scientifico degli archeologi del ministero della Cultura per quanto riguarda il riconoscimento per stabilire i luoghi di origine degli oggetti e l’importante supporto del ministero degli Affari Esteri per la cooperazione giudiziaria e di polizia. Alla presentazione dei reperti rientrati dagli Usa, insieme al ministro Gennaro Sangiuliano e al comandante dei Carabinieri del nucleo tutela del patrimonio, gen. Vincenzo Molinese, ha partecipato il viceprocuratore del District Attorney’s Office di Manhattan, Matthew Bogdanos. Con loro anche il procuratore aggiunto della repubblica presso il tribunale di Roma, Angelantonio Racanelli, il ministro consigliere per gli Affari pubblici dell’ambasciata degli Stati Uniti a Roma, Christina Tomlinson e l’archeologa Federica Pitzalis, funzionaria del MiC.
Nel corso della conferenza stampa, il gen. Molinese ha illustrato i dati statistici del 2022 in merito alle attività di contrasto ai traffici illeciti dei beni culturali condotte dai Carabinieri del nucleo tutela del patrimonio. L’attività operativa dell’anno, i cui dati non sono ancora definitivi, ha fatto registrare 217 verifiche sulla sicurezza in musei, biblioteche e archivi, 381 perquisizioni, 971 persone denunciate, 74.748 beni archeologici e paleontologici recuperati e 1.227 opere false sequestrate (con un valore, qualora immesse sul mercato come autentiche, di oltre 85 milioni di euro). I furti di beni culturali sono stati complessivamente 288, così ripartiti: musei 10, luoghi espositivi 51, luoghi di culto 123, archivi 14, biblioteche 13, luoghi privati e pertinenze 77. Sono stati 31.672 i beni d’arte controllati nella “Banca Dati Leonardo” e 1.419 i controlli alle aree archeologiche terrestri e marine, alcuni eseguiti in collaborazione con i Carabinieri del Raggruppamento Aeromobili o dei Nuclei Subacquei, 64 le persone denunciate per scavo clandestino. Ammontano a 2.088 i controlli effettuati a esercizi antiquariali, in parte svolti online anche su cataloghi d’asta, mentre sono state 678 le verifiche a mercati e fiere.
Nell’immagine in alto, L’Ercole fanciullo con serpente, risalente al I secolo d.C. Le foto sono tratte dal sito del ministero dei Beni culturali