Caccia ai cinghiali? Un “lavoro” giusto per lupi e volpi

La scelta della Regione Puglia di autorizzare l'abbattimento, non serve a contenere il numero degli esemplari e, al contrario, porta ad una maggiore proliferazione

Non solo la Puglia ma l’Italia intera è alle prese con l’emergenza cinghiali. E tutta la penisola adotta la stessa “strategia” per risolvere il problema: fucili e pallottole. Tralasciando le obiezioni etiche, che si potrebbero muovere alla cosiddetta “caccia di selezione”, è facile rendersi conto come tale strategia non abbia portato che ad un drastico peggioramento della situazione, contribuendo all’inevitabile aumento degli esemplari in circolazione e al sempre più alto numero di incidenti causato dagli attraversamenti stradali. Come spiega Andrea Mazzantena, docente presso la facoltà di Medicina veterinaria all’università di Teramo ed esperto di feromoni, il problema del sovrannumero dei cinghiali è causato proprio dalla loro uccisione.

IL RUOLO DEI FEROMONI NELLA RIPRODUZIONE DEI CINGHIALI

Ma prima di addentrarci nell’analisi del fenomeno, dobbiamo capire cosa sono i feromoni che giocano un ruolo fondamentale nella faccenda. Si tratta di “quei prodotti chimici naturali che individui appartenenti alla stessa specie utilizzano come canale di comunicazione. Un feromone è un escreto ghiandolare (liquido o gassoso) che, versato all’esterno da un individuo di una specie produce una reazione specifica negl’individui della stessa specie alterandone il modello di comportamento, il programma fisiologico, il differenziamento embriologico. Il nome deriva dal greco: pherein (trasferire) e hormon (eccitazione), ed è stato coniato da P. Karlson e M. Lüscher nel 1959 in quanto l’azione dei feromoni è paragonabile a quella degli ormoni con la ovvia differenza che essa si esplica fra organismi anziché fra organi com’è per gli ormoni.” Dall’Enciclopedia Italiana Treccani.

LA SOCIETA’ MATRIARCALE DEI CINGHIALI

Già questa breve definizione ci consente di capire meglio la tesi del prof. Mazzantena, che comincia con lo spiegare che il cinghiale è un animale “organizzato in una società matriarcale”. Ogni famiglia, infatti, è comandata da una femmina: la “matrona” o matriarca, madre di tutti i membri, tranne che dei maschi adulti che vengono allontanati dal gruppo. La matrona emette un feromone che blocca l’estro delle altre femmine: è l’unica che si riproduce ma è anche quella più a rischio, perché negli spostamenti mette al sicuro i piccoli e tutti i componenti del gruppo e finisce per esporsi di più ai colpi dei cacciatori. Se viene uccisa, però, il blocco scompare e tutte le altre femmine vanno in estro. Risultato: se prima la matrona metteva al mondo 5-6 cuccioli, poi le sorelle finiscono per formare gruppi di 50 esemplari.

LA CACCIA DETERMINA L’AUMENTO DEGLI ESEMPLARI

Dunque non risulta difficile, ad una prima e semplice analisi, capire quanto cacciare i cinghiali sia un po’ come imboccare una strada a senso unico contromano. A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che sparare ai cuccioli risolverebbe il problema. Ma l’esperto ci spiega che i cacciatori non otterrebbero il risultato auspicato mirando ai piccoli, perché se ne eliminassero troppi, la femmina tornerebbe subito in estro per “rimpiazzarli”. Insomma, la società dei cinghiali presenta un meccanismo di equilibrio interno legato proprio ai feromoni molto delicato, e l’intervento dell’uomo rischia di alterarlo ottenendo il risultato opposto a quello che si vorrebbe. Se inoltre ai cacciatori che sparano indiscriminatamente ai cuccioli si aggiungono i proprietari dei fondi agricoli danneggiati, autorizzati dalla Regione Puglia ad abbattere ogni cinghiale in circolazione, siamo davvero al far west.

L’ultima obiezione che si potrebbe muovere a Mazzantena è che si potrebbe sparare ai grandi maschi, per evitare che si accoppino. Ma anche in questo caso non si otterrebbe alcun risultato perché, come spiega l’esperto: “Entrerebbero in gioco quelli più giovani e fertili, ampliando la base della popolazione. L’obiettivo deve essere piuttosto quello di avere pochi individui che vivono tanto: bisogna far invecchiare la popolazione dei cinghiali creando aree protette, lasciando spazio al “lavoro” del lupo e della volpe che attaccano i piccoli o i soggetti più deboli”.

CON L’APERUTURA DELLA CACCIA AUMENTANO GLI INCIDENTI STRADALI

A questo punto la riflessione del docente universitario appare chiara e illuminante. Ancor più se si analizzano i dati dell’Asl/Servizio veterinario, che in un ampio report fornisce i dettagli degli incidenti stradali, il cui aumento risulterebbe statisticamente più significativo nel periodo di apertura della caccia. Non resta, dunque, che capire perché non si presti il giusto ascolto agli esperti e ai dati scientifici; perché non si investa in un’azione mirata sul campo; perché non si utilizzino i sensori a bordo strada che, come molteplici studi hanno dimostrato, risultano essere efficaci e poco costosi.

LA PESTE SUINA

Tornando all’idea che la caccia possa rappresentare una soluzione nella strategia rivolta al contenimento del numero dei cinghiali, in realtà tocca fare i conti anche con la peste suina africana, di cui sono affetti i cinghiali. Secondo l’Ispra, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, le attività venatorie “comportano un duplice rischio: la movimentazione di cinghiali potenzialmente infetti sul territorio, soprattutto conseguente al ricorso di tecniche che utilizzano i cani e la diffusione involontaria del virus attraverso calzature, indumenti, attrezzature e veicoli”.

Se la peste suina (detta dei cinghiali) non è pericolosa per l’uomo lo è, invece, per i suini. Gli animali infetti non possono essere macellati e venduti ma non si può avere una cognizione completa dell’uso che i cacciatori fanno delle carcasse. È recente la notizia che trentasei squadre di cacciatori, a Savona, si sono rifiutate di abbattere i cinghiali perché costrette a dover consegnare le carcasse ai veterinari per verificare dalle analisi se siano affetti dalla peste suina africana (leggi qui). L’unica alternativa alla peste suina sarebbe, dato che ad oggi non esiste un vaccino per contrastarla, non cacciare gli animali evitando che il virus si diffonda ulteriormente.

Oltre a questo grosso rischio ne corriamo un altro: tornare “alla situazione degli anni ’70 quando di cinghiali non c’era più nemmeno l’ombra” come ha affermato Giorgio Cislaghi, già componente dell’Ambito Territoriale Caccia di Foggia. E aggiunge che “permettere la caccia a oltranza dei cinghiali perché causano incidenti è un pericoloso precedente perché oggi sono i cinghiali ma domani potrebbero essere i cani randagi che, in quanto a incidenti e investimenti, non sono secondi a nessun’altra specie animale”.

IL RISCHIO DI FAR SPAR SPARIRE L’INTERA SPECIE

Difficilmente, tuttavia, si arriverà a sparare ai cani perché, come diceva Nietzsche, la morale ha criteri estetici: il cane no, non possiamo spararlo, è “l’amico dell’uomo”, il cinghiale è un animale non si sa bene in quale misura considerato “diverso”, selvatico –  come se il cane, a suo tempo, non lo fosse – o solo esteticamente meno accettabile del cane. Sì, gli stereotipi sulla bellezza non risparmiano nemmeno gli animali.

Eppure, se per il pensiero comune è moralmente inaccettabile sparare ai cani o ai gatti, è invece accettabilissimo sparare ad altri animali come cinghiali, volpi, lupi, cervi e non solo. Questo anche perché ci nutriamo ancora della loro carne nonostante sia stata creata una razza solo ed esclusivamente per essere macellata e che eviti la fatica della caccia: il maiale. Ma per i cacciatori non sono queste le reali motivazioni della loro attività. Infatti è giusto ricordare che negli anni ’50 furono proprio questi ad importare indiscriminatamente e per soli scopi venatori altre razze di cinghiali provenienti dall’Est Europa senza tenere minimamente in considerazione i rischi ambientali, genetici e territoriali di questa immissione. L’Italia, all’epoca, aveva già tre sottospecie presenti sul territori, differenti da quelle immesse ma lo scopo era, evidentemente, poter sparare, sparare e sparare.

UN MONDO CHE RISPETTI GLI ANIMALI

Anche qui, dunque, ci ritroviamo a fare i conti con una problematica che, senza lo sfruttamento intensivo della terra, senza il maggior numero di spazi rubati al territorio animale per fini economici, senza l’immissione forzata di altri esemplari con il solo scopo di farli moltiplicare per poi ammazzarli, non avremmo mai avuto. Ci ritroviamo a chiederci come evitare che il cinghiale o la volpe attraversi la strada o come evitare che distrugga piantagioni quando dovremmo cominciare a chiederci come costruire noi il meno possibile strade nell’habitat di questi animali, come evitare agricolture intensive che tolgono ulteriore spazio a queste specie, sempre più soffocate, come estirpare il problema della caccia, come evitare di sterminare il predatore naturale del cinghiale: il lupo. Come raggiungere finalmente un grado di società più civile ed evoluta.