L’umiltà è la strada della beatitudine

Il percorso verso la santità, che in questi giorni compie un significativo passo in avanti, rivela la modernità di papa Albino Luciani, apostolo al servizio degli ultimi

Non credo che papa Luciani, Giovanni Paolo I, si sia ingelosito nel vedersi superato da Giovanni Paolo ll nella salita agli altari per la beatificazione (clicca qui) o per la proclamazione a santo. Nella sua umiltà – humilitas, l’unica parola del suo stemma anche pontificio – ha saputo attendere che la bolla di fake news, creata dalla sua morte improvvisa, si sgonfiasse. Fu morte naturale. Papa Luciani era in cura perché sofferente di cuore. Un infarto, la notte tra il 28 e il 29 settembre lo stronca. Siamo nel 1978.

Il Concilio Vaticano II

Il 26 agosto, il patriarca di Venezia Albino Luciani, con sua somma sorpresa, viene eletto vescovo di Roma (clicca qui) e, quindi, successore di Pietro. Papa per soli 33 giorni. Definito papa del sorriso. E’ il successore di Paolo VI, il papa che conclude il Concilio Vaticano II, il più grande concilio della storia della Chiesa al quale partecipano oltre 2500 vescovi provenienti da ogni parte del mondo. Tocca al nuovo papa, mantenendo unita la Chiesa, dare a questo straordinario evento dello Spirito pratica attuazione.

Si pensi alla riforma liturgica, alla riscoperta del ruolo dei laici nella Chiesa. Il Concilio Vaticano II, risalendo alle fonti della Parola di Dio, cambia per sempre l’indirizzo della Chiesa. Ad aprirlo è  l’11 ottobre 1962 Giovanni XXIII, che muore il 3 giugno 1963. Tocca al suo successore, Paolo VI, la prosecuzione e la chiusura l’8 dicembre 1965.

Albino Luciani viene proclamato vescovo di Venezia

Gaudium et spes

La Chiesa vive sempre i segni dei tempi e, in maniera profetica, giunge ben preparata all’appuntamento con la storia, con la rivoluzione-contestazione giovanile del 1968. La costituzione pastorale Gaudium et spes (clicca qui) sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, pone l’attenzione sulla necessità di aprire un proficuo confronto con la cultura e con ogni popolo. Così l’incipit: “Intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana. Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.

La riforma liturgica

Abbiamo accennato alla riforma liturgica: è ampia, profonda, vissuta con determinazione da Paolo VI. L’introduzione della lingua italiana, delle lingue parlate dai singoli popoli, con gli altari rivoltati verso il popolo. Una grande valorizzazione, quasi una riscoperta della Parola di Dio, della Bibbia. La fine di una Chiesa che parlava con il “noi”, con il plurale “maiestatis”, lontana dal popolo; gerarchica, che si riscopre popolo, Popolo di Dio. Al servizio degli uomini, capace di rimettere al primo posto i poveri, gli ultimi, i senza voce, le periferie, i migranti.

La Chiesa del grembiule 

La Chiesa del grembiule, come la definì don Tonino Bello. Molto eloquente la svolta. Con un colpo di spugna papa Luciani cancella la cerimonia della pomposa incoronazione papale con il triregno, previsto all’inizio della missione, in una solenne liturgia che coinvolge pienamente i fedeli. E che dire dell’abolizione della sedia gestatoria? Sembrano semplici questi cambiamenti. Ma, in realtà, sono stati contrastati e criticati aspramente all’interno e all’esterno della Chiesa. Oggi plaudiamo a quelle scelte, alla loro eloquente efficacia, alla forza che anche papa Luciani seppe imporre per la loro cancellazione. Diventa normale dover pensare alle scelte che il Sinodo voluto ora da papa Francesco dovrebbe essere chiamato a fare. Se si torna alle fonti, alle origini della Chiesa, nessun apostolo fu mai chiamato eminenza o nessun vescovo eccellenza. Appellativi anacronistici che tardano ad essere sradicati. Papa Francesco parla con forza, insistentemente sul bisogno di uscire da una mondanità diffusa e dal clericalismo che paralizza la vita della Chiesa. Vanno recuperate le origini della missione e va cancellata la trasformazione barocca che nel tempo, come un’incrostazione, è stata impressa alla vita della Chiesa.

Albino Luciani fu un papa vero comunicatore, vero catechista. Usò un linguaggio semplice, diretto, quasi colloquiale. Il suo primo vibrante, emozionato intervento dalla loggia di San Pietro coinvolse la piazza gremita che lo accolse con molto calore, quasi ad incoraggiarlo e a sostenerlo di fronte alla dimensione planetaria dei confini della Chiesa che attendeva il nuovo papa. Fu lo stile che si ripetè in tutte le udienze generali nell’Aula Paolo VI, vero segno di una scelta soprattutto di stile comunicativo e relazionale. Una rivoluzione che umanizzò il gravoso compito di guidare la barca di Pietro, modalità molto apprezzata dai fedeli; una modalità che ha segnato la svolta.

Trentatrè giorni di pontificato

Trentatrè giorni segnati da una ricchezza di interventi, non scritti, ma, come verificato dagli appunti lasciati, tutti rigorosamente preparati, meditati. Le prime catechesi su fede, speranza e carità, sono raggruppati in un suo manoscritto divenuto reliquia portata alla venerazione del popolo in piazza San Pietro. Indimenticabile la definizione di Dio data all’Angelus del 10 settembre 1978: “Anche noi che siamo qui, abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. E’ papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore”.

Vero figlio della civiltà contadina, famiglia povera ma ricca di fede, papa Luciani ha portato il lieto annuncio dal cuore delle Dolomiti fino agli estremi confini del mondo. Ora è stato proclamato beato, la Chiesa ha riconosciuto un miracolo compiuto per sua intercessione su un caso grave di epilessia refrattaria maligna, con un virus e una polmonite di una ragazza di 11 anni in Argentina. Mirabile segno di universalità della Chiesa.

Un papa innovatore anche nei nomi. Ricordo ancora la sua spiegazione: ”Giovanni XXIII mi volle vescovo, Paolo VI mi consegnò, a Venezia – dove era stato fatto patriarca – la sua stola papale”. Una premonitrice investitura. I due protagonisti del Concilio Vaticano II che indicano come scelta programmatica anche con il nome il successore: Giovanni Paolo I. In questi giorni, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare di vedere il prezioso lavoro di ricostruzione non solo storica, ma spirituale del suo immenso patrimonio di appunti personalmente preparati ad ogni suo intervento catechetico.

Incredibile come i disegni della Provvidenza siano capaci di concentrarsi efficacemente anche in soli trentatrè giorni di pontificato. Anche se a parlare è tutta la vita di Albino Luciani, sacerdote e vescovo, vissuto con intensità, semplicità e con l’assillo di far arrivare il messaggio della salvezza a tutti, con un linguaggio comprensibile da tutti. Così il cardinale Beniamino Stella, prefetto emerito della Congregazione per il clero, descrive il senso e il cuore della vita del nuovo beato: “La sua beatificazione rappresenta, in questo tempo, un momento di consolazione, sia per la Chiesa che per la società. Viviamo un tempo difficile, ore estremamente gravi. Siamo colpiti dall’ansia, dalle preoccupazioni del presente e del domani. Ecco la beatificazione di Luciani ci ricorda che non siamo soli, che Dio si è fatto e continua a farsi prossimo, che non ci abbandona e non ci lascia in balia di noi stessi”.

Le foto sono tratte da Vaticannews.va