Un presidente patriota non nazionalista

La lettura di Voltaire ci offre gli strumenti per far luce sull'ambiguità della proposta del centrodestra di una "candidatura identitaria" per il Quirinale

“È triste che spesso per essere buon patriota bisogni diventare nemico del resto degli uomini”. Così scriveva Voltaire nel suo Dizionario filosofico riflettendo sul concetto di patriottismo. Anche in questo caso, il più simpatico ed eloquente tra i filosofi dell’Illuminismo era lungimirante, descrivendo non tanto il patriottismo classico, quanto la sua incombente degenerazione: quella dottrina politica che, circa un secolo dopo, avrebbe assunto il nome di nazionalismo.

Se non è facile definire in modo inequivocabile e condiviso che cosa siano, rispettivamente, patriottismo e nazionalismo (per alcuni soggetti politici, in diversi paesi del mondo, i due termini sono pressoché sinonimi), è possibile separare i due termini sulla base di opposte valenze morali. Nelle sue Notes on Nationalism, del 1945, George Orwell vedeva nel nazionalismo un sentimento puramente negativo, perché si manifesta di necessità in contrapposizione a qualcosa o qualcuno (uno o più paesi, un gruppo etnico, un’entità politica, una religione); una cieca ideologia in cui il soggetto sceglie di annullare la propria individualità. Qualcosa di profondamente diverso dal sentimento affermativo di orgoglio civico per le proprie istituzioni democratiche e la propria cultura condivisa che dovrebbe esprimere un sincero e onesto patriottismo.

Il filosofo Voltaire

I nazionalisti che per due volte in mezzo secolo portarono l’Europa sull’orlo dell’autodistruzione si professavano patrioti. Anche se in nessun modo potevano essere associati a coloro che, vivendo in territori oppressi da una potenza straniera, in Italia, in Europa e nelle Americhe, avevano lottato per l’indipendenza e l’autodeterminazione. E chi erano i veri patrioti nella guerra civile che insanguinò le contrade d’Italia tra il 1943 e il 1945? Coloro che avevano ceduto la patria agli ex alleati nazisti, o chi la riscattava combattendo contro di essi, contrapponendo alla svastica il tricolore?

Dopo la guerra, almeno nel mondo occidentale, il termine nazionalismo è caduto in disgrazia, divenendo sinonimo di desiderio di supremazia su altre nazioni e di razzismo, parallelamente all’emergere del nuovo concetto di cittadinanza globale, basata su principi di cooperazione e comunicazione internazionali. Ma in anni recenti, sull’onda dei movimenti sovranisti e populisti, quel termine che evoca un passato nefasto ha visto un preoccupante ritorno, in Europa e in America. Da parte del più autorevole e carismatico rappresentante di tali movimenti, l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, c’è stato anche il tentativo di riabilitarne l’uso nel corrente vocabolario politico.

“C’è una parola che sembra oggi passata di moda” disse Trump a un comizio elettorale, nel 2018, durante la campagna delle elezioni di metà mandato. “Nazionalista. Alcuni dicono che non dovremmo usare questa parola. Ma sapete che cosa sono io? Io sono un nazionalista, okay? Nazionalista. Non c’è niente di sbagliato in questa parola! Usatela! Usatela!”

L’ex presidente Usa Donald Trump, convinto nazionalista

Pochi giorni dopo, in Francia, nel corso di un summit dei leader mondiali per commemorare il centenario della fine della prima guerra mondiale, senza fare il nome di Trump, il presidente Macron affermò che il nazionalismo rappresentava “il tradimento del patriottismo” suscitando un lungo applauso tra i convenuti. Forse anche per questo, Trump si convinse che fosse meglio, per il momento, mettere da parte quella parola. Ma non mise da parte la sua politica xenofoba e razzista, che ha continuato ad entusiasmare i leader sovranisti europei, inclusi due importanti capi di partito italiani, che l’hanno sostenuto attivamente prima e durante la campagna per la rielezione.

Oggi essi preferiscono usare la parola “patriota”. Ma il loro concetto di patriottismo non esprime tanto un orgoglio civico per le proprie istituzioni democratiche, quanto un senso di superiorità legato alla loro proclamata identità etnica e religiosa.

Per l’ex ministro dell’interno (attualmente sotto processo con l’accusa di sequestro plurimo e abuso d’ufficio per il caso Open Arms), Matteo Salvini, patriota è certamente colui che difende l’Italia dall’invasione degli immigrati africani e asiatici. Per la sua alleata/rivale, Giorgia Meloni, sono patrioti coloro che difendono la supposta identità etnica e religiosa europea dalla minaccia di essere cancellata o sostituita. Ed è stata proprio quest’ultima, erede della tradizione nazionalista italiana, a chiedere con insistenza che il prossimo presidente della repubblica sia un “patriota”.

Sandro Pertini, il presidente che, con Ciampi e Mattarella, ha incarnato di più l’deale patriottico

La richiesta è allo stesso tempo banale e tendenziosa. L’Italia ha avuto dodici presidenti della repubblica. E se è difficile indicarne uno di cui si possa dire che non è stato un patriota, non c’è dubbio che tra coloro che più hanno fatto per promuovere un risveglio del patriottismo negli italiani, ci siano i presidenti Pertini, Ciampi e Mattarella: non esattamente modelli di quello che la leader di Fratelli d’Italia intende con “un presidente patriota”. Ben venga, dunque, un vero e onesto patriota al Quirinale, fautore di concordia: un uomo o una donna che ami positivamente il proprio paese, che ne difenda le istituzioni e la costituzione, senza il bisogno di nutrire il suo amore con la diffidenza e l’odio verso chi è diverso, per cultura, provenienza geografica o religione.

“Mi piacerebbe che mi dicessero quale era la patria di Abramo”, concludeva Voltaire la sua riflessione sul patriottismo. “Il primo che ha scritto che la patria è dovunque ci si trova bene fu, credo, Euripide, nel suo Fetonte. Ma il primo uomo che lasciò il luogo natale per andar a cercare fortuna altrove, l’aveva già detto prima di lui.”

Nella foto in alto, il presidente Sergio Mattarella