Finalmente, si torna a teatro. Dopo un interminabile periodo di stasi, si riprende a respirare un’aria di insperata normalità. Si mostra il biglietto acquistato, si viene condotti al posto assegnato e tutto pare assolutamente nella norma. Neppure si dà troppo peso al green pass, immediatamente mostrato all’ingresso, o al teatro per metà vuoto. Si sa che questi sono passi necessari in un momento così delicato.
Ma questo ritorno a teatro, al bellissimo Petruzzelli, si vive come una conquista. Nei giorni in cui è stato portato in scena quell’opera straordinaria che è il Don Giovanni di Mozart, il teatro ha presto esaurito i posti disponibili nonostante le sei repliche in programma. La platea era piena sin dalla fine di agosto, lasciando vuoti solo qualche palchetto sparso e i loggioni, quasi del tutto sgombri. Vi è stata una corsa ai posti migliori, per il fortissimo desiderio di tornare finalmente a vedere l’opera lirica, nella sua sede naturale.
E nel momento di acquistare il ticket, presso la biglietteria del teatro, scappa qualche domanda di rito, per capire come proceda questa agognata stagione teatrale: “Quanti baresi quest’anno a vedere il Don Giovanni?” chiedo, incuriosita. “Parecchi, ma anche molti melomani dal nord”, mi risponde, entusiasta la signorina dietro il bancone, con un sorriso largo e sincero. “Il nostro teatro (lo chiama ‘nostro’, mostrandosi fiera e orgogliosa) è mancato a tutti”, aggiunge. Ma non pare sorpresa. Dopo tutto, è stata fatta molta pubblicità a questo grande evento e il nome degli artisti in scena ha costituito un’attrattiva troppo grande per gli esperti, ma anche per i profani. E nessuno si sbagliava nel ritenere che sarebbe stato un successo annunciato.
Adesso, a guardare indietro, quest’ultima annotazione pare sottesa da un leggera ironia, perché il Don Giovanni quando andò in scena per la prima volta a Vienna, in quel lontano 28 ottobre 1787, fu un disastro, un fiasco clamoroso. Non piacque al pubblico, che si aspettava di vedere un’opera simile a Le nozze di Figaro e al Barbiere di Siviglia. E l’allora imperatore Giuseppe II interpretò questo fiasco inatteso come la prova che i viennesi non fossero ancora pronti, non avessero sviluppato il sofisticato palato dei parigini e che non meritassero quel posto di spicco che occupavano nella produzione operistica. Ma non fu certo questo ad abbattere Wolfgang Amadeus Mozart, che in una lettera all’imperatore avrebbe concesso ai suoi concittadini il tempo di “masticare” quell’opera tanto geniale. E così fu, perché un anno dopo, in quel di Vienna, il Don Giovanni fu un successo strepitoso.
Mozart aveva scritto la musica del Don Giovanni in pochissimo tempo; addirittura non aveva completato l’overture se non poco prima che giungesse il copista a prendere libretto e musica. E il libretto, a sua volta scritto da Lorenzo Da Ponte, fu trascritto in ancor meno tempo, mentre lo scrittore si occupava della scrittura di altre tre opere. Fu una di quelle operazioni che solo due geni avrebbero potuto compiere. Una coppia ben affiatata e già collaudata, responsabile di un grande capolavoro come Le nozze di Figaro.

E a proposito di coppie affiatate e ben collaudate, anche questo Don Giovanni ha di che vantarsi. Oltre alla riuscitissima regia di Giorgio Ferrara, che riprende l’allestimento da lui diretto nel 2017 al Festival dei Due Mondi di Spoleto e ambienta l’opera in un cimitero, lo spettacolo vanta una gran coppia di scenografi, vincitori di ben tre premi oscar. Si sta parlando, naturalmente, di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Questa coppia romana, insieme da tantissimi anni, vanta il titolo di “re e regina della scenografia”. E difatti sono i vincitori di tantissimi premi nazionali e internazionali, di cui i più prestigiosi premi oscar per The aviator, Sweeney Toss e Hugo Cabret, tutti diretti da quella leggenda che è Martin Scorsese.
Lo spettacolo trae la sua forza dall’originalità e dai toni discordanti con cui è stato concepito. L’incredibile vivacità dell’opera è arricchita dai toni misterici che la caratterizzano, quale metafora della morte e del ritorno alla realtà che sono temi presenti e ricorrenti in tutto il Don Giovanni. Viene gettata una luce funesta sulle vicende narrate, quale simbolo della sorte del protagonista, che nel finale sconterà tutte le sue malefatte. Ma allo stesso tempo, grazie alla coordinazione di regia e scenografia, e al lavoro di Maurizio Galante sui costumi, è stato ripreso il tono giocoso e brioso dell’opera mozartiana, in quella che è parsa una giocosa danza macabra.

Questa rilettura in tono tragico del Don Giovanni ha colpito e convinto il pubblico, che si è lasciato trascinare nei toni così poco scontati dello spettacolo. Incredibile il gioco di luci di Fiammetta Baldiserri, che ha saputo trarre il meglio dall’ambientazione e dalle performance attoriali. Un cast eccezionale, inoltre, che mostra una bravura non così scontata anche da un punto di vista recitativo. In particolar modo, si è dimostrato perfetto nella parte Giorgio Caoduro, baritono che ha fatto ben parlare nel panorama internazionale e che ha debuttato a Bari, proprio nel ruolo di Don Giovanni. Un’ovazione a Jessica Pratt, nei panni di Donna Anna, e a Ginger Costa Jackson, un’indimenticabile Donna Elvira. Brava Sascha Goetzel alla direzione dell’orchestra, ma di un livello di poco inferiore al resto. Non resta che attendere, ansiosi, l’atteso Nabucco verdiano, con alla regia Leo Muscato.
Nella foto in alto, il baritono Giorgio Caoduro interprete di Don Giovanni