Nel cono di luce che fende la notte, nella lama di luna riflessa sui tetti, nell’impeto del vento che striglia la piazza, nel respiro dell’arco che profuma d’incenso; contro le grate che blindano l’ansia, sul balcone dove rotola una palla, nel passo furtivo di un passante segreto, sul legno ritorto che sale al campanile, nella luce “impietosa” che scopre grazia e armonia, nel silenzio maestoso della piana d’ulivi, nell’orizzonte compatto del mare lontano.
Due note s’interrogano timide e lente. Tintinnano circospette; s’impennano e poi si nascondono. E’ lo sguardo attonito, il pensiero smarrito, il cuore sospeso eppure ostinato di chi ripensa la strada, il caos festoso all’uscita di scuola, il crocchio di rondini sul tetto, le dita in cui stringere il campanile oltre il filo dei panni. Di chi prova a spalancare l’oblò del cuore nelle giornate anonime ma stranamente diverse, incorniciate dall’insolenza dell’azzurro più maestoso, appena trapunto da un breve gregge di nuvole.
Di chi di notte tende l’orecchio al rintocco limpido della campana sulla porta ammiraglia della città. Di chi si riavvolge nelle coperte dei sogni, stringendo morbidi guanciali in cerca di paffute certezze.
A un tratto, però, lo spazio tra le note s’accorcia, l’armonia si srotola più morbida, la tensione si spunta, il respiro si fa più lungo. Via via, un manto leggero e soave si spande su palazzi, piazze, giardini e cortili; sulla maestosa torre e nel chiostro segreto; sui mattoni polverosi e le colonne sinuose, nel dedalo di viuzze e nell’arioso mercato; sulle insegne spente e le vetrine già accese. Sciami melodiosi dilagano felici sui tetti divorati dal sole; s’insinuano nel fitto del borgo e bussano all’uscio che s’apre sui vicoli, mentre un’altalena, all’altro capo del paese, riprende a cinguettare e la piazza s’anima di vita, il fattorino cede un pacco, un ragazzo sorveglia il cane, una donna si carica di spesa perchè è meglio non rischiare. Lentamente, con cautela, guardandosi intorno e poi, via via, con più lucida certezza, con più dinamica solerzia, la musica vola e risplende, annunciando il nuovo giorno. La speranza ha tolto gli ormeggi, l’eco del temporale è sempre più lontano.
È l’omaggio di Alberto Iovene alla sua città, “a Bitonto, e a tutte le città avvolte dal silenzio irrequieto di questa attesa”. Un brano scritto dal talentuoso pianista e arrangiato e registrato a distanza con i soliti, fidati compagni di viaggio: Pasquale Angelini, alla batteria, e Camillo Pace al contrabbasso. Mixato da Paolo De Stefani a Civitavecchia e commentato dalle immagini ipnotiche di Paolo Priore, montate con lucido realismo e poetica scansione da Lorenzo Scaraggi, il celebre reporter a bordo del Vostok 100k, anch’egli come Iovene tra le glorie della città degli ulivi.
Il gesto d’amore alla città stranita dall’assenza di vita nei giorni di pandemia. La rinnovata promessa di stringerne al cuore l’infinita bellezza. Di continuare a scrivere a comporre e a vivere avendo in mente la pietra superba della cattedrale, la fila ordinata delle querce in piazza, i raggi perfetti delle strade intorno a Porta Baresana, il flusso regolare dei tetti e delle finestre tra corti e viuzze, la placida distesa degli ulivi nei campi, l’energica operosità della gente, l’aria di terra che in certi giorni riflette il salmastro del mare.
Una dichiarazione d’amore per la città mentre il morso del contagio comincia a svelenirsi e l’olezzo domestico torna ad inebriare più suadente il cuore. La riscoperta del dono straordinario a cui la città ci ha abituato e che non sempre abbiamo ricambiato con uguale generosità.
Un inno, in realtà, alla bellezza ritrovata, alla luce, al profumo, alla forma di questo nostro meraviglioso Paese, baciato dal mare e incorniciato dai monti. Un paese a cui l’onta del contagio non potrà mai rubare la superba e sterminata bellezza: l’arte sublime, i paesaggi incantati, le storie individuali e collettive di cittadini pronti a reagire al giogo del sopruso come alle avversità del destino. Testimoniando ancora una volta, in questo tempo difficile, che i colori di quel vessillo che da centosessant’anni ci rappresenta, sono la sintesi più efficace delle nostre più genuine qualità: il rosso del sangue e dell’ardore dei cuori, il bianco del pudore e della purezza degli ideali, il verde della pace e della speranza – oggi finalmente una certezza – della rinascita.
Grazie Alberto per averci fatto riflettere!
In alto e nel testo, frames del video montato da Lorenzo Scaraggi con le immagini riprese da Paolo Priore