Itaca tra gli ulivi di Mariotto

La storia d’amore di Michele e Astrid, uniti da Facebook dopo una vita in giro per il mondo

My love”, dice Michele alla sua Astrid, quando li incontro nel loro villino sulla strada per le Mattine, subito fuori Mariotto. La coppia m’invita a sedere al tavolo di una cucina semplice e vissuta.

Lei tedesca, lui pugliese, si sono incontrati dopo mille e più peripezie. La loro Itaca è qui a due passi, immersa tra gli ulivi. Astrid Navaja è nata a Quedlinburg, nella Germania dell’Est, nel 1956. Il clima sociale nella Rdt è insopportabile: la nazione, grande sconfitta della seconda guerra mondiale, è divisa in due e presidiata saldamente dalle truppe sovietiche. L’ambiente asfissiante, in cui la libertà personale è molto limitata, spinge la famiglia di Astrid, che allora ha solo tre anni, a trovare rifugio in Canada, dall’altra parte del globo.

Qui la bambina cresce, e con lei un irrefrenabile bisogno di solidarietà. Il tempo vola e Astrid è di colpo maggiorenne: lascia la sua terra adottiva e dà inizio a una lunga avventura, che la condurrà, passo dopo passo, nei paesi più poveri del pianeta. Dapprima a Mindanao, nelle Filippine, dove si occuperà degli orfani della guerra civile e dove sposerà un nativo del posto, da cui avrà ben dieci figli, poi a Yokoama, in Giappone, dove per tre anni aiuterà i giovanissimi a sconfiggere la paura della vita, impedendogli di accrescere il già altissimo numero di suicidi che allora si registrava fra coetanei.

Dall’estremo oriente, quindi, negli States, a San Diego, dove s’interesserà di immigrati. Ma il viaggio è ancora lungo e Astrid ne è consapevole. Sa anche di dover tagliare i ponti con una parte del suo passato, che ormai sente non appartenerle più. Ritorna, così, nelle Filippine per separarsi dal marito e portare con sé tutti i suoi figli.

Con loro approda a Huaraz, capoluogo della provincia peruviana dell’Ancash: sarà la sua “base operativa” per dodici anni. Di lì si sposterà in altri paesi sudamericani per contribuire al processo di scolarizzazione dei figli dei contadini delle montagne: un breve periodo d’istruzione, una parentesi fugace per quei bambini, che presto saranno ripresi, quasi con la forza, dalle loro famiglie per lavorare nei campi.

In mezz’ora Astrid mi ha fatto girare il mondo col suo inglese che Michele prontamente traduce: dolci parole che sanno d’avventura, a tratti interrotte dai baci sulla guancia che il mio interprete le schiocca, misti a sguardi pieni di affetto che la donna ricambia con la stessa intensità. Michele e Astrid sono innamorati persi.

Mi dicono “Hand to hand”, mano nella mano, e quelle mani sono continuamente intrecciate mentre lei parla. Si sono conosciuti due anni fa sul social più noto. Si sono piaciuti subito, così tanto che Astrid ha deciso a maggio di lasciare la terra degli Inca per trasferirsi nelle assolate campagne di Mariotto, verdeggianti d’ulivi.

La chiusura di un cerchio, forse. “Abbiamo scoperto che eravamo già uniti prima di nascere -spiega Michele- e quello che non ho mai potuto godere, lo sto vivendo ora”. Ed è proprio così, basta guardarli insieme. La vita è curiosa: vengo a trovare Michele per raccontare la sua storia e finisco per raccontarne tre: la sua, quella di Astrid, la loro. Michele è un uomo ugualmente straordinario, su cui bisognerebbe scrivere un trattato.

Famiglia di artisti, i Lupori: suo fratello Mario è un mago della musica punk, bravissimo e dalla grande sensibilità. Non a caso la mia conversazione con Michele e Astrid ha avuto come sottofondo le sue armonie, scandite in apprezzabili e generosi motivi che provava e riprovava nello studio di registrazione impiantato nel villino.

Con lui, Anna Fiorello e Luca Mercurio è nata l’Associazione “Le chiavi di Davide”. Michele lo definirei un “ribelle pacifico”: tre anni fa, appena conosciuto, ha subito accettato di condividere la sua arte di burattinaio con gli alunni della primaria nei laboratori organizzati dalla Galleria Devanna.

È l’esempio vivente del sogno di una generazione, quella che visse la contestazione giovanile (quella politica) ma soprattutto l’esperienza degli hippies. E, quindi, della “comune”, che trovò compimento nella creazione di Christiania, un quartiere di Copenaghen dove i “figli dei fiori” occuparono una base navale dismessa e fondarono la loro città ideale.

Christiania faceva il pari con Taizé, in Francia, dove frère Roger Schultz dava religiosamente avvio al suo sogno ecumenico che sopravvive ancora oggi. Michele nasce già ribelle, sessantotto anni fa, a Bari. Varie le vicende che lo portano a essere rinchiuso nell’istituto di rieducazione “Fornelli”, dichiarato “irrecuperabile sociale” e impossibilitato a ricevere un documento d’identità sino all’85. Si porta questo marchio a Urbino, quindi a Firenze, in Valle d’Aosta e a Brera, che nel ‘70 era la capitale degli hippies. Si arrangia: vive per strada, fa il cameriere, vende fi ori nei locali. Parole d’ordine: amore libero e lsd, il sogno dei giovani del tempo.

Ma il suo percorso, in realtà, è appena iniziato. A Ovada, in Piemonte, vive l’esperienza di una comune: gli hippies dormono in case dismesse, fondano comunità, si autogestiscono, lavorano, si lavano nei fiumi, hanno altre regole. Qui conosce una ragazza incinta, il cui padre cerca l’autore del “misfatto”. Michele si fa avanti: non è stato lui ma riconosce il bimbo, diventa suo padre e lo cresce.

Nel 1977 si sposa con Giorgia, una ragazza inglese dalla quale riceve quattro figli che ora sono in Germania, Cina, America e Inghilterra, e con cui si sente spesso. Nonostante lotti per gli altri, Michele è un pacifico: la sua è una ribellione serena. Ritorna così in Puglia, con il pallino di veicolare attraverso l’arte concetti educativi nelle scuole. Il progetto prende forma, si ricongiunge con suo fratello Mario, consegue un certo benessere economico perché il lavoro non manca.

In quel periodo conosce il dott. Tridente dell’Hotel Ambasciatori, che lo ingaggia per il suo teatro e lo invita a rimanere a Bari. Lavora in Sicilia, ma soprattutto a Bitetto ed Enziteto, dando vita al primo centro multimediale sociale. Alla fine il lavoro scema e Michele resta senza casa. Sulla sua strada capita per caso Luca Mercurio, musicista bitontino che gli offre la possibilità di vivere nel villino in cui ci troviamo e di continuare, così, il suo sogno e la sua arte. Perché i sogni non finiscono all’alba. E ora, con Astrid, quei sogni sono ancora più reali, più veri.