È la storia della scienza che diventa speranza. Una famiglia normalissima e un male incurabile: due genitori, Maria e Franco, combattono per cercare di dare un nome alla malattia che ha colpito entrambe le loro figlie, Nicla di 23 anni e Raffaella di 21. Tutto inizia dopo pochi mesi di vita delle bambine: spasmi muscolari, energici movimenti involontari iniziano a diventare più violenti e ricorrenti, accompagnati da frequenti crisi epilettiche.
E da qui inizia l’iter che costringe Maria a lasciare il lavoro di sarta e Franco ad accettare un incarico a pochi chilometri da casa. Da Milano a Reggio Emilia, a Roma e Filadelfia. E sempre la stessa risposta: trattasi di una malattia mitocondriale con alterazione dell‘attività delle cellule cerebrali e muscolari. Malattia genetica, dunque rara e mai identificata. L’unico caso in Italia.
La speranza della definizione della diagnosi si fa strada tra esami, visite, biopsie cutanee, referti e prescrizioni: non tutti i medici invogliano ad andare avanti eppure le ragazze, anziché peggiorare – come avviene nella classiche malattie mitocondriali – sembrano stabilizzarsi.
Finchè un giorno l’équipe del laboratorio di ricerca dell’Unità di genetica medica dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia, si dimostra disponibile a tentare una nuova strada verso la definizione della malattia.
Un esame di ultima generazione, chiamato Exome sequencing, sembrerebbe rappresentare proprio quel piccolissimo spiraglio di speranza in un mare di incertezze: la tecnica ha permesso di sequenziare le regioni codificanti del genoma, consentendo di individuare le varianti genetiche che potrebbero essere coinvolte nell’eziogenesi della malattia. Gli studi su modelli animali e cellulari hanno confermato le mutazioni nel gene GNB5: questo è stato il primo passo che ha portato alla scoperta di una nuova malattia genetica rara, detta IDDCA (Intellectual developmental disorder with cardiac arrhythmia) i cui principali sintomi sono bradicardia e disabilità intellettiva, ipotonia muscolare e anomalie oculari.
Gli studi realizzati dai ricercatori dell’ospedale voluto da San Pio da Pietrelcina rappresentano la base per la definizione di cure più appropriate per questi pazienti, al fine di migliorare la qualità della vita degli stessi. Certamente, come ricorda il libro “I colori della Misericordia”, di Chiara Bertoglio, “ogni realtà di ricerca medica dovrebbe compiere il percorso ‘from bed to bench and from bench to bed’, ossia dal laboratorio al letto del paziente e viceversa; ma qui non è la ricerca a muoversi, bensì il ricercatore stesso, con un coinvolgimento empatico ed umano ben diverso”.