Quelle che viviamo sono giornate importanti. Giornate che resteranno nella storia. La chiesa cattolica ha il suo nuovo pastore universale, il nuovo vicario di Cristo. Il nome Leone XIV, scelto dal cardinale Prevost, rappresenta un richiamo profondo all’eredità spirituale e dottrinale del pontefice ottocentesco Leone XIII. In particolare, alla sua enciclica Rerum Novarum.
Con questo documento, Leone XIII ha sancito l’autonomia della Dottrina Sociale della Chiesa, affermando che l’attenzione al sociale è parte integrante del messaggio evangelico, senza contaminazioni ideologiche provenienti dal materialismo. Il fatto di richiamare un papa del XIX secolo ci fa capire due cose: la storia è una cosa viva e viva è la chiesa! La storia sconta una sua attualità e l’istituzione cattolica la sua freschezza e giovinezza, malgrado “acciacchi” ogni tanto evidenti ma fisiologici e comprensibili.
La Rerum Novarum pose le basi per un impegno concreto della Chiesa nel promuovere la giustizia sociale, riconoscendo la dignità del lavoro e dei lavoratori. Papa Leone XIV si inserisce in questa tradizione, affrontando le sfide della nostra epoca, come la rivoluzione digitale e le sue implicazioni sul lavoro e sulla dignità umana. Davvero il suo nome è già il suo programma, indicando la volontà del nuovo pontefice di affrontare i problemi sociali contemporanei con lo stesso spirito di giustizia e carità che ha animato Leone XIII. In un contesto in cui la fede cristiana è spesso ridicolizzata e si privilegiano il denaro, il potere e la tecnologia stessa, papa Leone richiama l’attenzione sul valore trascendente della fede legata al sociale, evitando ogni equivoco di commistione con ideologie naturaliter anticristiane e materialiste.
La dimensione sociale del Vangelo non è accessoria, è parte integrante del messaggio di salvezza che Cristo offre. La sensibilità al sociale è, dunque, una via concreta del Vangelo, che non può essere ridotta a logiche terrene o ideologiche. Ma sono tanti i pensieri generati in queste ore, anche sulla scorta di visioni pubblicistiche e semplicistiche diffuse negli ultimi tempi. Come si porrà il nuovo pontefice nei confronti dell’eredità di papa Francesco? Seguirà i suoi ‘segni’? Queste alcune delle domande più ricorrenti.
È importante ricordare, però, che il papa è innanzitutto il successore di Pietro, non tanto del suo immediato predecessore. Questa semplice e basilare verità di fede sottolinea la continuità apostolica della Chiesa, al di là delle personalità dei singoli pontefici. E che dire delle polemiche circa il presunto fasto delle vesti papali o le differenze stilistiche tra i papi? Un qualcosa davvero di pretestuoso. La liturgia e la solennità del momento hanno evidentemente richiesto a papa Leone rispetto e comprensione della tradizione ecclesiale. Le polemiche circa vesti e simboli o altre questioni superficiali riguardanti l’estetica delle liturgie papali sono completamente fuori luogo.
La liturgia della Chiesa, e in particolare quella papale, non è mai una questione di ostentazione, ma di solennità e dignità, riflettendo la maestà del servizio a Dio e alla Chiesa stessa. La scelta di come il papa si presenta al popolo di Dio e alla chiesa universale ha un significato simbolico profondo, che non va interpretato secondo logiche mondane. La dignità delle vesti, la solennità delle cerimonie, sono espressione di una Chiesa che riconosce il proprio Signore come il Re dell’universo e, quindi, nella liturgia o in momenti comunitari di particolare importanza della vita cristiana, si rivolge a Lui con il massimo della riverenza. I rilievi sui paramenti che si sono ascoltati o letti dopo il primo affaccio papale risultano non rispondenti alla realtà della missione spirituale e pastorale della Chiesa. Posto, ovviamente, che la grandezza di una missione si misura nella fedeltà alla dottrina e decisamente più che nelle apparenze esteriori.
Importante anche ricordare quanto la fede della Chiesa non viva in un solo uomo, il papa, per quanto importante e imponente. Tutte cose che proprio Leone XIII ha scritto e ricordato in diverse sue encicliche. E così, questo papa che sembra sottolineare una idea asciutta e senza malintesi della Dottrina Sociale -per il fatto stesso di aver scelto questo nome- di certo garantisce, allo stesso tempo, attenzione alle sfide contemporanee. Il suo impegno per la giustizia sociale, la dignità del lavoro e la promozione della fede in un mondo secolarizzato rappresenterà una continuazione della missione della Chiesa nel mondo. Così come la successione papale rappresenta la continuità della Chiesa universale nel suo insieme.
La figura del pontefice – questo il punto – non può essere vista come interprete di un mero ed ordinario passaggio di consegne tra singoli uomini ma come un rinnovarsi della missione apostolica che Cristo ha affidato a Pietro. La tradizione cristiana insegna che il Papa è il “vicario di Cristo”, ovvero il rappresentante di Cristo sulla terra e la sua missione è legata alla custodia e trasmissione del deposito della fede. È la perpetuazione del magistero della Chiesa, che ha la sua fonte nell’insegnamento e nel mandato ricevuto direttamente da Cristo. Quando si parla di continuità, non si può dimenticare che ogni papa, pur portando la sua unicità e la sua sensibilità, si inserisce nella grande tradizione della Chiesa, che è una realtà universale e trascendente, non legata a singoli momenti storici.
In un momento di transizione pontificia, l’approccio che dovrebbe prevalere è del rispetto per la figura del papa, fuori da qualsiasi deduzione. Tra l’altro, l’errore più comune è pensare che ogni eventuale ‘orpello’ sia destinato ad omaggiare il papa – o qualsiasi ecclesiastico – e non Cristo, quando invece la fedeltà alla Chiesa e al papa deve essere guidata dalla consapevolezza che non è il pontefice ad essere il centro della fede ma, naturalmente, Cristo stesso, verso il quale va rinnovato ogni onore.
L’apostolo Pietro, primo papa, ha ricevuto la missione di guidare la Chiesa, ma questo non implica che la Chiesa stessa dipenda esclusivamente dalla figura umana che ricopre il ruolo di papa in un determinato periodo storico. Un concetto che nulla toglie al valore del ruolo del papa e che può essere strettamente legato al dogma dell’infallibilità papale, che non significa che il papa sia infallibile in ogni suo atto personale, piuttosto che, in materia di fede e morale, egli è assistito dallo Spirito Santo nel ruolo di custode della verità rivelata.
Non pochi, invece, confondono la figura del papa in senso religioso con quella di un capo assoluto (che è semmai solo a livello strettamente politico, nel senso del papa come capo dello stato della Città del Vaticano). Un errore che spesso nasce dalla comprensione ridotta della Chiesa e della fede. Il papa, figura centralissima, non è l’incarnazione della Chiesa in senso esclusivo. La Chiesa è una realtà comunitaria, fondata sulla fede di tutti i suoi membri. Il papa è il pastore universale ma la fede della Chiesa e nella Chiesa è più grande della sua persona. E la Chiesa, pur avendo una necessaria struttura gerarchica, è, al suo nucleo, il popolo di Dio, un corpo mistico che cresce e si sviluppa attraverso la partecipazione di ogni credente.
Un’altra considerazione, infine. La fede che unisce i cattolici non può essere mai legata all’emotività, alla ‘simpatia’ particolare verso un papa. Può esistere un papa che colpisca, converta, ‘piaccia’. Ma il tutto in nome della fede verso Cristo. Ben al di là delle loro volontà, quello di calamitare attenzione eccessiva verso le proprie personalità è stato il rischio dei papi carismatici. È stato il pericolo tanto di Giovanni Paolo II quanto di Francesco. Quante volte abbiamo ascoltato frasi come “questo papa mi ha avvicinato alla Chiesa”. E dopo, adesso, cosa succede? Anche invertire tradizioni o personalizzare troppo gesti e ritualità può risultare, alla fine, gravido di conseguenze, conferendo alla figura del papa delle titolarità ed unicità che possono condurre a raffronti qualitativi di preferenza abbastanza ingenui ed aprioristici (“Nessuno tocchi papa Francesco”, “Stiamo tornando indietro” e così via).
La fede è un dono divino che nasce dalla consapevolezza che la Chiesa è sempre guidata dallo Spirito Santo, che la rende capace di discernere la verità anche nei momenti di cambiamento. La Chiesa non è mai orfana di guida, perché la sua guida suprema è il Cristo stesso, che, sebbene invisibile, è sempre presente attraverso il suo Spirito. Il pontefice, in quanto successore di Pietro, è chiamato a testimoniare questa guida nella sua funzione di pastore e a confermare i fedeli in questa stessa fede, mantenendo l’unità della Chiesa e, potrebbe dirsi, senza ‘possederne’ la fede. La sacralità che il papa garantisce attraverso la sua persona ed il suo corpo è centrale proprio in quanto ‘spazio’, pietra, centro che guarda a Dio, da servitore della fede stessa (“servo dei servi”).
La roccia della Chiesa è Cristo, nessun uomo terreno. E il personale della Chiesa può essere fallibile, mai la sua Persona, che è sempre Cristo. Non dobbiamo confondere l’affetto per il papa con la fede stessa, che è più grande e più profonda di qualsiasi figura umana. Il rischio può essere quello di avere fede nel papa, dimenticando la fede nella e della Chiesa (che nessun papa può e deve cambiare).
Le foto di Leone XIV sono tratte da Vatican News