Per un conclave “aperto” nel segno di Francesco

Nei Novendiali è emersa la volontà della Chiesa di ritrovare le proprie radici e una visione ecumenica in un Papa capace di raccogliere l’eredità di Bergoglio

Si può immaginare il travaglio interiore che attraversa i 135 cardinali, pronti a riunirsi in conclave per eleggere il nuovo papa? E la sofferenza del popolo di Dio, che sente di vivere un tempo di attesa, da gregge senza pastore, sia pure solo per un tempo limitato?

Negli ultimi giorni i cardinali si sono dedicati alla preghiera e alla riflessione, svolte soprattutto in maniera collegiale. Parliamo del novendiale, i giorni tra le esequie del papa e l’apertura del conclave vissuti come una novena di preghiera e di sacrificio. Alle messe sono seguite le riunioni collegiali, le congregazioni generali: tutti i cardinali hanno il diritto e il dovere di esprimersi su come la chiesa deve affrontare il futuro.

I cardinali nel loro insieme costituiscono il collegio dei cardinali, il cui compito è  eleggere il successore di Pietro, il vescovo di Roma, e “assistere” il papa nella cura della chiesa universale. Sono cardinali elettori coloro che nel giorno della morte del papa non hanno compiuto 80 anni. Ad oggi il collegio è costituito da 252 cardinali, di cui 135 sono gli elettori. Non tutti si conoscono fra di loro; ma questa è la chiesa universale. Tempo e luoghi di provenienza sono molto diversi. Questi giorni di preparazione al conclave hanno aiutato alla conoscenza ma, soprattutto, alla condivisione.

Sede del conclave è la Cappella Sistina. Per essere eletto il nuovo papa ha bisogno dei due terzi dei voti dei cardinali: 90 il numero dei voti richiesti. In realtà, ne saranno sufficienti 89 perché 2 cardinali non hanno potuto raggiungere Roma per motivi di salute. Il voto e tutto ciò che avviene nel conclave è segreto: chi trasgredisce a questo precetto è scomunicato. Un vincolo che esalta la solennità dell’evento, la sua sacralità e la responsabilità di quanti sono chiamati a questo ufficio e a questi compiti.

Il collegio è composto da cardinali di diverse nazioni, con un’ampia rappresentanza di tutte le regioni del mondo. I cardinali elettori provengono da 71 diversi paesi: 53 sono europei, 18 africani, 23 asiatici, 16 nordamericani, 17 sudamericani, 4 provengono dall’Oceania. Insomma, la chiesa dei diversi continenti e la varietà dei contesti culturali e religiosi in cui opera. Una curiosità: in duemila anni su 266 pontefici ben 213 sono stati italiani. Un primato storico.

Dalle celebrazioni liturgiche dei novendiali (dal 26 aprile allo scorso 4 maggio) è emersa con grande forza la statura di papa Francesco e il rilievo delle sue scelte pastorali. Delle varie omelie riportiamo alcuni stralci e qualche riflessione. Da queste emerge altresì lo spirito con cui è necessario approcciarsi alle prossime ore di esercizio delle responsabilità.

La prima liturgia dei novendiali è stata la solenne concelebrazione di commiato a papa Francesco che da Casa Santa Marta, attraversando piazza San Pietro, ha raggiunto la Basilica Pontificia di Santa Maria Maggiore per essere sepolto all’ombra dell’amata Madonna Salus Populi Romani, divenuta La Madonna di Papa Francesco. Il rito funebre è stato officiato da Giambattista Re, decano del collegio cardinalizio per scelta del papa stesso. A 91 anni, libero da ogni “aspirazione” o “pretesa”, nell’omelia ha esaltato la figura e l’opera di Francesco: “Desideroso di essere vicino a tutti, è stato un papa in mezzo alla gente”, “Innumerevoli i suoi sforzi per i rifugiati”, “Di fronte alle guerre, Francesco ha elevato la sua voce implorando la pace”, “Costruire ponti e non muri: è un’esortazione che ha più volte ripetuto”.

Ma da un’attenta lettura e riflessione sulle parole del cardinale, oltre al giudizio positivo per il papato di Bergoglio si evincono chiare indicazioni programmatiche per il futuro. Francesco stupì non poco quando, il primo Giovedì Santo con il clero della sua diocesi (il primo incontro) nel lontano 2013, ebbe a dire nell’omelia: “Siate pastori con l’odore delle pecore; che si senta quello invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà. Però se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione – e non la funzione – e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù.” Grande comunicatore. Linguaggio semplice, accessibile, efficace, diretto. “Capace di ascoltare e di comunicare con milioni di persone in tutto il mondo di qualunque razza o religione. Francesco sapeva usare le parole che costruiscono ambienti umani”, commenta Giambattista Re.

La seconda giornata del novendiale è stata affidata alla concelebrazione del cardinale Pietro Parolin, già responsabile della segreteria di stato. Nell’omelia della messa in suffragio di Francesco, il porporato ricorda che proprio il pontefice ha ribadito al mondo che “non può esserci mai la pace se non impariamo a perdonarci reciprocamente”. Alle migliaia di giovani, presenti in piazza San Pietro, ha rivolto l’invito a guardare alla vera speranza che è Gesù: “Il pastore che il Signore ha donato al suo popolo, Papa Francesco, ha terminato la sua vita terrena e ci ha lasciati. Il dolore per la sua dipartita, il senso di tristezza che ci assale, il turbamento che avvertiamo nel cuore, la sensazione di smarrimento: stiamo vivendo tutto questo, come gli apostoli addolorati per la morte di Gesù”. 

“Eppure, il Vangelo ci dice che proprio in questi momenti di oscurità il Signore viene a noi con la luce della risurrezione, per rischiarare i nostri cuori. Papa Francesco – ha proseguito Parolin – ce lo ha ricordato fin dalla sua elezione e ce lo ha ripetuto spesso, mettendo al centro del pontificato quella gioia del Vangelo (Evangelii gaudium, ndr) che riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”.

Il giuramento dei cardinali nella Cappella Sistina (@Vatican Media)

La misericordia punto centrale dell’apostolato di papa Francesco

“Siamo chiamati all’impegno di vivere le nostre relazioni non piu’ secondo i criteri del calcolo o accecati dall’egoismo, ma aprendoci al dialogo con l’altro, accogliendo chi incontriamo lungo il cammino e perdonando le sue debolezze e i suoi errori. Solo la misericordia guarisce e crea un mondo nuovo, spegnendo i fuochi della diffidenza, dell’odio e della violenza: è il grande insegnamento di Papa Francesco”, ha sottolineato Parolin. “La misericordia ci riporta al cuore della fede e ci ricorda – ha aggiunto – che non dobbiamo interpretare il nostro rapporto con Dio e il nostro essere Chiesa secondo categorie umane o mondane”. La buona notizia del Vangelo è anzitutto “la scoperta di essere amati da un Dio che ha viscere di compassione e di tenerezza per ciascuno di noi a prescindere dai nostri meriti. La nostra vita è intessuta di misericordia: noi possiamo rialzarci dopo le nostre cadute e guardare al futuro solo se abbiamo qualcuno che ci ama senza limiti e ci perdona”. Misericordia, come sottolineato più volte dal papa, “è il nome stesso di Dio” e nessuno può porre un limite all’amore del Padre che vuole rialzarci e renderci persone nuove”, osserva il cardinale.

La chiesa di Gesù, ha spiegato, è fatta da discepoli che si fanno “strumenti di misericordia per l’umanità. Papa Francesco è stato testimone luminoso di una Chiesa che si china con tenerezza verso chi è ferito e guarisce con il balsamo della misericordia. Francesco ci ha ricordato che non può esserci pace senza il riconoscimento dell’altro, senza l’attenzione a chi è più debole e, soprattutto, non può esserci mai la pace se non impariamo a perdonarci reciprocamente, usando tra di noi la stessa misericordia che Dio ha verso la nostra vita”.

La misericordia, ha sottolineato l’ex segretario di stato vaticano, è il “cuore della fede”, che ci chiama a ripensare il rapporto con Dio non secondo categorie umane o mondane, “perché la buona notizia del Vangelo è anzitutto la scoperta di essere amati da un Dio che ha viscere di misericordia e di tenerezza per ciascuno di noi a prescindere dai nostri meriti”. Da qui l’invito a vivere le relazioni nel segno del dialogo e del perdono. Solo la misericordia guarisce, solo la misericordia crea un mondo nuovo e spegne i fuochi della diffidenza, dell’odio e della violenza: questo il grande insegnamento di papa Francesco.

Nel terzo giorno delle novendiali a presiedere la liturgia eucaristica è stato il cardinale Baldassare Reina, vicario generale del papa per la diocesi di Roma. Il componente più giovane (54 anni) del collegio cardinalizio. Consacrato vescovo nel 2022, creato cardinale nel 2024. Nell’omelia Reina legge con trasparenza i pericoli in agguato che si acutizzano nei momenti in cui è necessario dar corso o no ad importanti cambiamenti, segnare urgenze e discontinuità, difendere e forse avviare, finalmente, le tante novità proposte e disattese. “La mia esile voce è qui oggi ad esprimere la preghiera e il dolore di una porzione di Chiesa, quella di Roma, gravida della responsabilità che la storia le ha assegnato”, ha detto il porporato.

Il chicco di grano che deve morire per dare frutto

“In questi giorni Roma è un popolo che piange il suo vescovo, un popolo insieme ad altri popoli che si sono messi in fila, trovando uno spazio tra i luoghi della città per piangere e pregare, come pecore senza pastore”, ha chiosato. Pecore senza pastore: una metafora che ci permette di ricomporre i sentimenti di questi giorni e di attraversare la profondità dell’immagine che abbiamo ricevuto dal Vangelo di Giovanni: il chicco di grano che deve morire per dare frutto. Una parabola che racconta l’amore del pastore per il suo gregge.

“In questo tempo, mentre il mondo brucia e pochi hanno il coraggio di proclamare il Vangelo, traducendolo nella visione di un futuro possibile e concreto, l’umanità appare come un gregge senza pastore. Gesù il vero pastore della storia che ha bisogno della sua salvezza, conosce il peso che grava su ognuno di noi nel continuare la sua missione, soprattutto mentre ci troveremo a cercare il primo dei suoi pastori sulla terra”, osserva il cardinale. “Come al tempo dei primi discepoli, ci sono risultati e anche fallimenti, stanchezza e timore. La portata è immensa, e si insinuano le tentazioni che velano l’unica cosa che conta: desiderare, cercare, operare in attesa di un nuovo cielo e di una nuova terra”, ha proseguito Reina.

Che spiega ancora: “E non può essere, questo, il tempo di equilibrismi, tattiche, prudenze; il tempo che asseconda l’istinto di tornare indietro, o peggio, di rivalse e di alleanze di potere. Serve un una disposizione radicale a entrare nel sogno di Dio, affidato alle nostre povere mani”.

“Un nuovo cielo, una nuova terra, una nuova Gerusalemme: di fronte all’annuncio di questa novità – ha detto Reina – non potremmo accondiscendere a quella pigrizia mentale e spirituale che ci lega alle forme dell’esperienza di Dio e di pratiche ecclesiali conosciute nel passato e che desideriamo debbano ripetersi all’infinito, soggiogati dalla paura delle perdite connesse ai cambiamenti necessari”. Penso ai molteplici processi di riforma della vita della Chiesa – prosegue – avviati da papa Francesco, e che sconfinano oltre le appartenenze religiose. La gente gli ha riconosciuto di essere stato un pastore universale e la barca di Pietro ha bisogno di questa navigazione larga che sconfina e sorprende”.

“Nostro dovere – osserva il cardinale – dovrebbe essere discernere e ordinare quello che è incominciato, alla luce di quanto la nostra missione ci richiede, nella direzione di un nuovo cielo e di una nuova terra, adornando la Sposa per lo Sposo. Mentre potremmo cercare di vestire la Sposa secondo convernienze mondane, guidati da pretese ideologiche che lacerano l’unità delle vesti di Cristo”.

Un nuovo cielo e una nuova terra

“Cercare un pastore, oggi, significa soprattutto cercare una guida che sappia gestire la paura delle perdite di fronte alle esigenze del Vangelo. Cercare un pastore che abbia lo sguardo di Gesù, epifania dell’umanità di Dio in un mondo che ha tratti disumani. Gesù guardando la gente che lo segue, sente vibrare dentro di sé compassione: vede donne, uomini, bambini, vecchi e giovani, poveri e malati, e nessuno che si prenda cura di loro, che possa sfamare la fame dai morsi della vita che si è fatta dura e la fame della Parola. Lui, di fronte a quelle persone, sente di essere il loro pane che non delude, la loro acqua che disseta senza fine, il balsamo che cura le loro ferite”, ha concluso Reina.

Il novendiale del quarto giorno è stato celebrato dal cardinale Mauro Gambetti, arciprete della basilica papale di San Pietro in Vaticano. Quale stile incarniamo come credenti? Siamo solidali con l’umanità, compassionevoli, vicini agli altri? Sono gli interrogativi posti da Gambetti. “Le pecore, che non si ribellano, sono fedeli, miti, hanno cura degli agnellini e delle più deboli del gregge, entrano nel regno”, ha spiegato. Queste pecore sono quanti hanno dato da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, accolto lo straniero, visitato malati e carcerati, ha spiegato il porporato. “I capri, che vogliono l’indipendenza, sfidano con le corna il pastore e gli altri animali, saltano sopra le altre capre in segno di dominio, davanti a un pericolo pensano a sé e non al resto del gregge, sono destinati al fuoco eterno”, ha riassunto il porporato, che ha citato Edith Bruck, la scrittrice ungherese sopravvissuta ad Auschwitz, che aveva avuto un incontro toccante con papa Francesco.

Al papa Edith ha dedicato queste parole: “Abbiamo perso un Uomo che vive in me. Un uomo che amava, si commuoveva, piangeva, invocava la pace, rideva, baciava,  abbracciava, si emozionava ed emozionava, spargeva calore. L’amore della gente di qualsiasi colore e ovunque lo ringiovaniva. L’ironia e lo spirito lo rendevano saggio. La sua umanità era contagiosa, inteneriva anche le pietre. Dalle malattie a guarirlo era la sua fede sana radicata nel cielo”.

Proprio su questa umanità ha richiamato l’attenzione l’arciprete della basilica vaticana, affermando che “la cristiana umanità rende la Chiesa casa di tutti” e ricordando quanto Francesco ha detto ai confratelli gesuiti, a Lisbona due anni fa: “Tutti tutti tutti sono chiamati a vivere nella Chiesa: non dimenticatelo mai!”.

Nel quinto giorno dei novendiali, la concelebrazione è stata presieduta da Leonardo Sandri, vicedecano del collegio cardinalizio. Il sogno di Dio per la sua Chiesa, espresso più volte da Papa Francesco, sta nell’incontro e nel dialogo tra generazioni, nei sogni degli anziani e nell’energia e le visioni dei giovani, perché “non c’è crescita senza radici e non c’è fioritura senza germogli nuovi”, spiega il porporato. 

Nella celebrazione dedicata proprio al collegio dei cardinali, il prelato italo-argentino si sofferma sul dover sempre rimanere diaconi, cioè servitori, che viene dalla porpora e sul titolo di Servus Servorum Dei che la tradizione attribuisce al vescovo di Roma. Papa Francesco lo ha vissuto scegliendo diversi luoghi di sofferenza e solitudine per compiere la lavanda dei piedi, durante la messa in Coena Domini, ma anche mettendosi in ginocchio e baciando i piedi dei leader del Sud Sudan, implorando il dono della pace.

Il cardinale Víctor Manuel Fernandez, già prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, ha presieduto la liturgia nel sesto giorno dei novendiali.

“Il suo lavoro di ogni giorno era la risposta all’amore di Dio; l’espressione della sua preoccupazione per il bene degli altri”, ha detto il cardinale di papa Francesco. Il porporato ha ricordato “l’amore di Papa Francesco verso san Giuseppe, quel forte e umile lavoratore, quel falegname di un piccolo paese dimenticato, che col suo lavoro si prendeva cura di Maria e di Gesù” e la consuetudine di Bergoglio quando “aveva un grosso problema” di mettere “un bigliettino con una supplica” sotto l’immagine del patrono della chiesa universale.

Nella sua omelia il cardinale ha spiegato come il lavoro sia stato per Francesco gioia, alimento e riposo, aggiungendo che Francesco non si stancava “di fare riferimento alla dignità del lavoro”, “alla cultura del lavoro”. Egli che era un discendente di piemontesi, giunti in Argentina “non con il desiderio di essere sostenuti ma con una grande voglia di rimboccarsi le maniche e costruire un futuro per le loro famiglie”. Feernandez ha raccontato che Bergoglio: “mai si prendeva alcuni giorni di vacanza e non usciva mai a cena, al teatro, a passeggiare o a vedere un film. Mentre noi, essere normali, non possiamo resistere”, riconoscendo nella vita del pontefice “uno stimolo per vivere con generosità il nostro lavoro”.

Poi una riflessione personale sul modo in cui il papa, in particolare negli ultimi anni, portava avanti il suo ministero: “Per me è stato un grande mistero capire come poteva sopportare lui, essendo un uomo grande e con diverse malattie, un ritmo di lavoro così tanto esigente”. Il pontefice “non solo lavorava al mattino con diverse riunioni, udienze, celebrazioni ed incontri, ma anche tutto il pomeriggio”, ha rivelato il cardinale, che ha inoltre espresso il proprio pensiero sull’ultima Settimana Santa vissuta da Francesco: “Una cosa mi è sembrata veramente eroica: con le pochissime forze che aveva nei suoi ultimi giorni si è fatto forte per visitare un carcere”.

Il lavoro esprime e nutre la dignità dell’uomo

Per papa Francesco il lavoro esprime e nutre la dignità dell’essere umano, gli permette di sviluppare le sue capacità, lo aiuta ad accrescere relazioni, gli permette di sentirsi collaboratore di Dio per prendersi cura e migliorare questo mondo, lo fa sentire utile alla società e solidale con i suoi cari, ha osservato il cardinale.

“Il lavoro, al di là delle fatiche e delle difficoltà, è un percorso di maturazione umana e cristiana” afferma Fernández, sottolineando come il pontefice lo ritenesse il miglior aiuto per un povero: “non c’è povertà peggiore di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro”. Diversi i discorsi di Francesco citati dal cardinale in proposito, come quello pronunciato a Genova, dove ha rimarcato che “attorno al lavoro si edifica l’intero patto sociale”.

Claudio Gugerotti, già prefetto del dicastero per le chiese orientali, ha curato la solenne concelebrazione del settimo giorno, con la partecipazione delle stesse chiese e dei fedeli. Ha chiesto di impegnarsi, come il pontefice scomparso avrebbe voluto, ad accogliere i migranti, aiutandoli a conservare le loro tradizioni e liturgie. Raccogliamo, come ci ha insegnato papa Francesco, “il grido della vita violata”, quello della terra e quello di “una umanità travolta dall’odio, frutto di una profonda svalutazione del valore della vita”. Per “assumerlo e presentarlo al Padre”, ma anche per “per alleviare concretamente il dolore che suscita questo grido, a qualsiasi latitudine e negli infiniti modi con cui il male ci indebolisce e ci distrugge”, ha detto Gugerotti. Che ha aggiunto: “Impegniamoci, mentre molti di questi fratelli sono costretti a lasciare le loro antiche terre, che furono Terra Santa, per salvare la vita e vedere un mondo migliore, a sensibilizzarci, come aveva voluto il nostro papa, per accoglierli e aiutarli nelle nostre terre a conservare la specificità del loro apporto cristiano, che è parte integrante del nostro essere chiesa cattolica”. 

Il cardinale ha concluso la sua lunga riflessione, invitando a ripetere l’invocazione dello Spirito Santo che un grande padre orientale, San Simeone il Nuovo Teologo, scrisse all’inizio dei suoi inni: “Vieni, luce vera; vieni, vita eterna; vieni, mistero nascosto; vieni, tesoro senza nome”.

Dallo sconforto allo stupore

La concelebrazione dell’ottavo giorno di novendiali, presieduta da Ángel Fernández Artime, si è rivolta ai membri degli Istituti di Vita consacrata e delle Società di vita apostolica, del cui dicastero il cardinale è stato proprefetto. Artime invita a trasformare in un “programma di vita” l’entusiasmo degli apostoli a cui Gesù Risorto apparve. Il loro “stupore”, che si contrapponeva allo “smarrimento” e allo “sconforto”, diventa esempio per chi, oggi, ha un “grande bisogno di incontrare il Signore”. Un esempio che tutti i battezzati, e in modo particolare chi abbraccia la vita consacrata, sono chiamati a testimoniare.

La valorizzazione delle donne consacrate

Poco prima dell’atto penitenziale, ha preso la parola suor Mary T. Barron, OLA, superiora generale della Congregazione delle Suore di Nostra Signora degli Apostoli e presidente dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (Uisg). A nome delle donne consacrate, traccia un intenso ritratto di papa Francesco: “Pastore umile, compassionevole, colmo di un amore senza confini”, capace di ricordare al mondo intero che si può abbracciare la ‘fragilità’, non come ‘limite’ ma come sorgente di grazia”. Alle religiose ribadisce l’invito del papa a piegarsi nel servizio, “come Cristo si è chinato per lavare i piedi dei suoi discepoli”

Con voce colma di gratitudine, riconosce in Francesco colui che ha saputo accogliere e valorizzare le donne consacrate, rendendole partecipanti attive del cammino sinodale”. “Promettiamo di portare avanti la missione, facendoci fuoco che accende altri fuochi”, ha concluso suor Mary.

Un papa capace di scuotere

Poi il silenzio si fa ascolto con le parole di padre Mario Zanotti, segretario dell’Unione dei Superiori Generali, che ha portato il cordoglio di tutti gli istituti religiosi. “Papa Francesco – ossrva – ci ha lasciato una grande eredità di umanità, un’umanità profondamente cristiana”. Ne delinea il volto con tratti vivi e sinceri: un papa “vicino”, capace di ascoltare e, a volte, “scuotere”, con parole forti, le “certezze” e le “consuetudini rivestite di religiosità”. Con fermezza evangelica, Francesco richiamava alla coerenza con le Sacre Scritture e con il carisma delle famiglie religiose, indicando come segno comune e profetico l’impegno nella “povertà”, “segno profetico opposto al potere e alla ricchezza”.

“Pregare per i morti è la più grande opera di carità”, le parole che hanno aperto l’omelia del cardinale Artime. “Pregare per i morti significa, quindi, amare coloro che sono morti”. Un’introduzione densa di memoria e amore, rivolta anche alla folta presenza di religiose e religiosi raccolti nella celebrazione. Il porporato richiama l’affetto delle congregazioni per papa Francesco e il loro costante impegno nella preghiera: “per il suo ministero, per la sua persona, per la Chiesa, per il mondo”. Il cardinale evoca le parole di Sant’Atanasio, secondo cui la presenza del Cristo risorto rende la vita “una festa continua”.

Ed è proprio questa luce trasformante che rende i discepoli capaci di affrontare senza timore le minacce, la persecuzione, il carcere. Il cardinale dopo aver citato San Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI richiama la grande attenzione di papa Francesco nei confronti di quanti hanno donato e consacrato al Signore la loro vita. In tempo di conclave, quando si scandaglia il passato per indovinare il futuro, anche una scelta del genere non è scontata. 

Artime nell’omelia della messa in suffragio di Bergoglio, ha allargato lo sguardo all’eredità di tutti e tre gli ultimi papi. “Io mi domando, diceva Papa Francesco, in una delle sue catechesi, dove trovano i primi discepoli la forza per questa loro testimonianza. Non solo, ma da dove veniva a loro la gioia e il coraggio dell’annuncio malgrado gli ostacoli e le violenze”. È chiaro che solo la presenza, con loro, del Signore Risorto e l’azione dello Spirito Santo possono spiegare tutto ciò. La loro fede si basava su una esperienza così forte e personale di Cristo, morto e risorto, che non avevano paura di nulla e di nessuno. Oggi, come ieri, gli uomini e le donne della presente generazione hanno grande bisogno di incontrare il Signore e il suo liberamente messaggio di salvezza”. Con Francesco, il cardinale invita tutti i religiosi a ‘svegliare il mondo’, con un cuore e uno spirito puri, capaci di riconoscere le donne e gli uomini di oggi – in particolare i più poveri, gli ultimi, gli scartati – ‘perché in loro c’è il Signore’. Maria, Madre della Chiesa conceda a tutti noi la grazia di essere oggi discepoli missionari, testimoni di Suo Figlio in questa sua Chiesa che, sotto la guida dello Spirito Santo, vive nella speranza, perché il Signore Risorto è con noi fino alla fine dei tempi.”

Il cardinale Dominique Mamberti, protodiacono del collegio cardinalizio, presiede la concelebrazione dell’ultimo giorno di novendiale. “La missione di Pietro e degli apostoli è l’amore stesso, che si fa servizio alla Chiesa e a tutta l’umanità”, osserva. Papa Francesco, “animato dall’amore del Signore”, è stato fedele alla sua missione “fino all’estremo consumo delle sue forze”. E ancora, un appello pressante: “riscopriamo il gusto della preghiera di adorazione”. Questa capacità che dà l’adorazione non era difficile da riconoscere in papa Francesco. La sua intensa vita pastorale, i suoi innumerevoli incontri, erano fondati sui lunghi momenti di preghiera che la disciplina ignaziana aveva improntato in lui. Tante volte ci ha ricordato che la contemplazione è “un dinamismo d’amore” che ”ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità”, ha spiegato Mamberti.

Nel corso della preghiera universale si è chiesto al Signore di accogliere nel suo regno papa Francesco, che ha confidato nella preghiera della chiesa, purificandolo “dalla fragilità umana” e donandogli “la ricompensa promessa” ai servi fedeli. 

Il conclave sia aperto alla libertà dello Spirito 

Nella sesta riunione dei cardinali riuniti in vista dell’elezione del successore di Pietro, l’abate benedettino di San Paolo fuori le mura, don Donato Ogliari, in una lunga, ricca, articolata riflessione, ha esortato a porre al centro Cristo, per una Chiesa aperta alla fraternità e al dialogo, che operi per il bene del mondo e per la pace. Il conclave non sia un “luogo chiuso a chiave” (come dice il termine stesso), bensì un “cenacolo” spalancato sul mondo intero, in cui prevalga “la libertà dello Spirito” che “ringiovanisce, purifica, crea”, ha esortato Ogliari. 

“Il conclave si trova davanti a due possibilità: restaurare o raccogliere l’eredità di Francesco da rilanciare per il futuro”, afferma sul futuro della chiesa padre Antonio Spadaro, direttore della rivista La Civiltà Cattolica e sotto-segretario del Dicastero per la cultura e l’educazione. “È una fase delicata per il mondo. Francesco non ha mai separato religione e politica, non si è mai distaccato dal mondo. La chiesa oggi svolge un ruolo determinante sulle dinamiche del mondo, se non altro come faro morale”, la sua conclusione.

Le immagini riproducono alcuni particolari della Cappella Sistina, sede del Conclave