Lasciateci sognare. Lasciateci credere che il tempo non si sia mosso di un minuto. Che quei nomi sui manifesti, noi li si legga per la prima volta. Che tutto durerà in eterno, un sorriso, un vestito, un abbraccio, un saluto, una battuta. Lasciateci illudere, così anche per gioco, di esser fatti scespirianamente della stessa materia dei sogni. E, come dentro un sogno, rincasare tardi, trovare ancora in piedi le persone care, tutte, le quali ci domanderanno come è andata la serata, e noi lì a raccontare per filo e per segno, accesi di incontenibile gioia. Come ai bei tempi.

Ecco, dunque, lasciateci sognare. Solo per questa sera, 16 aprile duemilacinque, apparentemente placida dopo i ventosi ululati del giorno. Un congresso di fate e folletti e maghi compie il sogno di una notte di mezza primavera. Riapre, infatti, dopo anni di silenzi, rinvii, promesse che, qualche volta, parevano aver il tono di una mica tanto graziosa beffa.
Riapre dopo aver corso il bruttissimo rischio di vedersi cambiare i connotati in vile supermercato o in desolante cinema o in un grigio condominio. Riapre finalmente il nostro Teatro Umberto. Per la prima volta, dopo non si sa quanti lustri, Bitonto sente scorrere nelle sue vene il sangue della storia. La nostra città vive un momento di notorietà, di fama, di gloria. È l’evento dell’anno, o forse molto di più. Per l’occasione, lei s’è rifatta il guardaroba. Occorre indossare vesti condecenti alla cerimonia.
Allora la folla s’accalca alle transenne per vedere. Sfila la Bitonto dei nomi e dei cognomi. Sfilano autorità regionali e italiote. Sfilano rappresentanti delle più importanti città europee, Venezia, Parma, Napoli, Mannheim, Pietroburgo, nelle quali visse e operò Tommaso Traetta. In piazza Cavour, la sventrata piazza Cavour, si sistema un maxi-schermo, perché proprio tutti i bitontini si sentano parte viva di questo eccezionale parto. Viviamo in una regione che ama distruggere, incendiare e accapigliarsi per un patrimonio che dovrebbe essere sacrosantamente di tutti. Il rinato Teatro Umberto, occorre dirlo, è un dono nel quale hanno sempre creduto, ostinatamente, il sindaco Pice e il direttore artistico Michele Mirabella.
A questo punto, da cronisti proviamo a descrivere il sentimento che animava i presenti alla serata inaugurale del teatro. Pensate, allora, per un solo momento, a una lettera d’amore che ci fu spedita anni or sono e che le efficientissime poste smarrirono per le vie del mondo, e poi un giorno, quando ormai la nostra vita ha preso altre insospettabili pieghe, ecco un suono alla porta, e il vecchio postino ci consegna una cosa sgualcita, pieghettata, ancora però odorosa di giovinezza, e noi l’apriamo e sentiamo nel cuore qualcosina, tra gioia e magone insieme.
Roba di attimi. Poi una voce ci richiama dentro e chiudiamo così definitivamente la porta. Ecco, dunque, per intenderci una buona volta. L’inaugurazione dell’Umberto ha avuto l’effetto di quella romantica e giovanile missiva, come se si fosse trattato di uno scherzo del tempo. La sala tutta illuminata, un vorticare multicolore di bianco, rosso, oro, verde, e la porpora dei velluti, e l’azzurro delle quinte, e l’odore di materiali freschi. I palchi fiorati e inghirlandati.
Sulla scena gendarmi in alta uniforme portano i gonfaloni della provincia e della regione, il sindaco si commuove, il direttore artistico presenta il dramma eroicomico, “Il cavalier errante” di Tommaso Traetta, l’arcivescovo di Bari, Francesco Cacucci, asperge e benedice. I volti dei presen-ti, fortunatissimi, sono rossi, per l’emozione e soprattutto per l’impianto di riscaldamento che funziona fin troppo.
L’inno nazionale raccoglie gli animi ancora eccitati. L’ouverture dell’opera li stempera. Una bambina di bianco vestita consegna simbolicamente la bacchetta al direttore Vito Clemente. È lei l’anima candida, l’anima bella, l’anima piccina del nuovo teatro. Per l’Orchestra sinfonica della Provincia di Bari, però, hanno dovuto togliere ben tre file di poltrone, dunqu e il numero di posti s’è ulteriormente ridotto.

Comincia il dramma vero e proprio. Attori, gorgheggi, magie e malie s’ alternano sulla scena. Tutto è finzione. La musica la svela. La maga Melissa è la direttrice speculare. Un carro alato che diventa una scopa è passatempo da bimbi, anche se una svista fa cadere comicamente la testa del cavallo attaccata al manico. La scenografia, monumentale, ricorda più una rappresentazione barocca che una di metà Settecento. I costumi sontuosi. La regia magistrale.
L’intervallo nell’ipogeo-foyer è per alcuni un sospiro di sollievo, per altri un rivedersi, un dirsi “ci sono anch’io”. Riconoscimenti, strette di mano, complimenti al regista, costumista, direttore, cantanti. Il secondo atto fa registrare paurosi vuoti in sala e sui palchi: molti hanno ceduto le armi. Si fa strada, tra le poltrone, una nuova figura di spettatore: lo strabico fonosensibile. Quello, per capirci, che al primo colpetto di tosse ti rimprovera zittendoti, e ti invita ad accomodarti gentilmente fuori, mentre ha un occhio sul libretto, un altro sulla scena. Fa niente, sogna anche lui.
Essì, perchè almeno questa sera la sciateci sognare. Domani, infatti, quando le prime luci del sole scioglieranno le ultime lanugini della notte, domani verranno a galla i problemi. Che non sono affatto pochi, non affatto trascurabili. In che modo e con quali risorse, ad esempio, si potrà gestire un teatro così piccolo (288 i posti, di cui una trentina -quelli delle seconde file del terz’ordine – belli che inutili)? E’ del tutto evidente che i costi renderanno arduo accogliere nomi e spettacoli di grande richiamo.
E poi, davvero si potranno programmare più repliche, come Mirabella ipotizza, per consentire al pubblico di seguire gli appuntamenti di un cartellone che si annuncia ricco di novità (da una rassegna dedicata al teatro giovanile ad un monologo sulla giornalista llaria Alpi, dalla musica ai balletti, solo per accennare ai primi spettacoli in agenda)? Ma prevedere un certo numero di repliche, non significa andare incontro a nuove spese? O si pensa di far gravare per intero l’attività dell’Umberto sulle casse comunali? “Da stasera -ha concluso il direttore artistico, tirando a sè il sipario- Bitonto ha il suo teatro”, e sembra un ottimo, storico proclama. Eppure, ecco nuovi interrogativi: chi sarà incaricato della gestione? Vi sarà una regolare gara o si punterà su una serie di gestioni straordinarie, col rischio di penalizzare una pianificazione seria e costruttiva?
Tutte domande che, ahinoi, dissolverebbero l’incantesimo di questo giorno indimenticabile. Tutte domande che, volenti o nolenti, aggalleranno spontaneamente. Ma domani, domani. Oggi, per carità, lasciateci sognare.
Nella foto in alto di Gaetano Loporto, la serata inaugurale del teatro, il 16 aprile 2005. Si notano Michele Mirabella (a destra) e il maestro Vito Clemente (al centro), rispettivamente regista e direttore de “Il Cavaliere Errante”.