Le pagine di cronaca in cui si parla della morte dei bambini sono le più dolorose. Bambini travolti dalla guerra, dispersi in mare nei disperati attraversamenti dei migranti o ritrovati sulle spiagge, o semplicemente, vittime di una società che non riesce a garantire il diritto alla vita, sostenendo le fragilità culturali e materiali di tanti giovani e di tante giovani famiglie. Cronache e immagini strazianti, destinate a rimanere impresse nella mente per giorni e giorni.
Il ritrovamento ai primi dell’anno di un neonato senza vita, nella culla alla quale era stato affidato perché potesse avere una speranza di futuro, nonostante l’abbandono, desta profondo dolore misto a rabbiosa incredulità.
Siamo a Bari, nella Parrocchia di San Giovanni Battista a Poggiofranco, pronta ad accogliere, in completo anonimato, i neonati che non riescono a trovare casa tra le braccia di mamma e papà. Un messaggio rassicurante li accoglie: “Nessun bambino è un errore”. Un invito a vivere. Una disponibilità totale, senza riserve. Una nuova “ruota degli esposti” ancora di grande attualità.
C’è solo da immaginare la sofferenza della mamma per quello strappo, che comunque contiene in sè un proposito di fiducia, la volontà di assicurare un domani a quella piccola vita. Un affidarsi a quel motto che in questi giorni ci consente di avviare il cammino speciale del Giubileo della Speranza che conduce alla porta del Cuore di Gesù, pronto a salvarci scendendo tra di noi.
Cosa ci tocca registrare. Un neonato inghiottito da un mare di difficoltà proprio nei giorni di festa; della festa del Natale che esalta la piccola ma insostituibile comunità della famiglia. Dalla festa al dramma di una culla fredda, forse una trappola mortale.
Dove sia avvenuto il distacco non è dato sapere. Ma quello che ci sovrasta è il senso di impotenza, la disperazione, lo stupore straziante di un corpicino senza vita proprio in una culletta nata per essere strumento per la vita. Tutta la nostra solidarietà al parroco, don Antonio Ruccia, che con la tragica sorte di quel bimbo oltre al dolore insopprimibile di una vita rimasta “inaccolta” deve affrontare l’avvio del doloroso cammino dell’inchiesta giudiziaria.
In ospedale, dalla sala parto al nido, dove sono pronte tante calde culle, bisogna percorrere dieci, venti metri. Si passa per un corridoio con tanti parenti in attesa. In una culla mobile, affidata ad una infermiera-cicogna, bimbi appena nati, lavati e vestiti, ritornano nel calore preparato nel nido per iniziare a vivere da soli.
Per nove mesi, nel suo seno, li aiuta a crescere la mamma, per la quale la nascita è un distacco, una “sofferenza”, colmata però dalla gioia per le cure che, specie se può allattare, potrà riversare subito al bimbo in fasce. La vita che continua.
Affidare in maniera anonima un neonato alla culla di una chiesa è un gesto disperato anche se necessario. Trovare quel piccino senza vita, ancor prima che sia stabilito se quella piccola esistenza si sia spenta prima o dopo l’abbandono ci fa sentire tutti sconfitti. C’è molto di anacronistico, per quanto necessario, nel riproporre ai nostri tempi, i “tempi moderni”, una “ruota” dentro cui deporre un bimbo appena nato, perchè sia accolto e tutelato, fra le tante sofferenze, anche dal marchio dell’abbandono.
Necessario è ora capire. Appurare eventuali responsabilità ma senza rinunciare a tutelare l’impegno e la buona fede di chi si è distinto per il diuturno lavoro accanto agli ultimi. Stare vicino a chi oggi è chiamato a dar conto; non con formale solidarietà ma facendo sentire il calore della propria presenza e della condivisione sincera per un dolore che ci deve colpire tutti.
Voglio augurarmi che il vescovo dichiari che tutti i costi derivanti da ogni fase del triste percorso, avviato per far luce sulla tragedia, siano a carico dell’intera diocesi. La culla della chiesa di San Giovanni tanto apprezzata – un’iniziativa di reale, estremo sostegno a mamme, a famiglie in difficoltà – non può essere considerata di esclusiva pertinenza parrocchiale, ma generosamente offerta e aperta al servizio della città, della diocesi, dell’intero territorio.
Sono certo che una simile valutazione sia stata prontamente fatta propria da chi di dovere, col fine di restituire al parroco quel quid in più di serenità e solidarietà necessarie per affrontare tutto il delicato e complesso percorso personale e giudiziario che lo attende.
Il giusto vivrà mediante la fede (Rm 1,17). La fede viva opera per mezzo della carità (Gal 5,6.). Il dono della fede rimane in colui che non ha peccato contro di essa (dalle virtù del catechismo della Chiesa Cattolica). La fede senza le opere è morta (Gc 2,26).