La storia e la bellezza dei nostri borghi, del sud ma diremmo dell’intera Italia interna (specie quella appenninica), suscitano interesse e curiosità, allo stesso tempo, nelle loro affinità e differenze. Lo capisci viaggiando. Sintonie, spunti comuni, aspetti similari. Paesaggi, colori, naturali splendori. E però poi cogli differenze quasi sfumate talvolta, ma non meno lampanti. I colori stessi possono lievemente mutare, i paesaggi pure. È la mano dell’uomo, il tipo di coltivazione, l’aspetto ruspante o meno del territorio.
Lo abbiamo scritto per le differenze – in certi ambiti minime in altri più visibili – tra Puglia ed Irpinia, tra Umbria e Toscana (specie la bassa senese), tra Puglia stessa e Lucania (ci servirebbe un libro solo per tentare di spiegare quante “Lucanie” esistano, tra l’altro). Viaggiamo ora per un attimo (si fa per dire, chiaramente) al confine tra Lucania e Calabria. Alta Calabria, altissima. Terra vasta, del resto, già in sé: figuriamoci se uno dice “Calabria” e pensa a quest’area qui settentrionale e poi al reggino, all’interno lametino, al vibonese. Terra lunga, come la Puglia; dunque diversa al suo interno.
Ecco, al confine tra Lucania di mare (Montalbano Jonico, Scanzano, Rotondella, Nova Siri) e Calabria sempre di mare ma pure di borghi d’altura, il confine non è netto ed è netto. Non lo è perché, vivaddio, parliamo di una striscia di pochi chilometri dove l’unica varietà più sensibile è semmai data dalle diverse facce dei finanzieri che ti fermano per controllare perché tu vada in Calabria, a far cosa (queste di solito le domande di rito). Un bene, giustissima presenza. Ci mancherebbe. Ci permettiamo solo di scherzare. E però, in realtà, qualcosa cambia. Prendi l’azzurro del mare stesso. Più intenso qui, più colorato.
Lo si deve alle sabbie, alla coloritura meno grigiastra rispetto a luoghi come Rotondella e le citate dell’ultima costa materana. Perché poi, superato il confine, già a Roseto Capo Spulico il mare t’apparirà invitante, località non a caso storicamente presa d’assalto dai baresi. La Lucania migliore jonica, dal punto di vista marino, la trovi invece a Metaponto e Pisticci (anche se, ve lo confessiamo, qui si avverte un pochino di stanchezza turistica e il mare stesso non è che ci faccia poi così tanto impazzire: meglio l’archeologia e lo studio di questo straordinario territorio), posti anch’essi noti ai pugliesi. Accade, infatti, che il pugliese vada a Metaponto e trascuri Gargano e Salento. Dipende dalle vicinanze dei luoghi e tra i luoghi stessi. Accade persino che i campani irpini vengano al mare nel Gargano, dimenticando il Cilento e l’area napoletana. Paradossi. Ma paradossi felici: non pensiamo alle regioni come realtà monolitiche. Spostiamoci: coi piedi e con la mente.
Ma torniamo in Calabria e alle sottili differenze con la Lucania di confine. Ecco paesi come Montegiordano, Canna, Nocara. Sono i borghi, piccoli e minuti, di cui vi parleremo. Intanto: strade, percorsi, indicazioni. Rispetto all’ultimo materano, cogli un non so che di antico e vetusto, non poco affascinante, a dirla tutta. Cartelli dalle tinte blu un pochino andate, spuntati agli angoli (la stessa cosa capita nell’Irpinia profonda), forse messi lì nei decenni scorsi (’70, ’80?) e mai più ricollocati, riverniciati. Come se il passato abbracci il presente, portandosi nel futuro immaginario. Mancano le lettere, i paesi e i loro nomi devi andare ad interpretarli. Fantastico. Poetico. Comodo? Chissà.
Il mare, se vieni da Puglia e Lucania, lo hai sulla sinistra. Occhio alle multe. Terribili qui i comuni. Stendiamo veli pietosi (personali, del tutto personali!). Ma ecco i borghi. Tanti, innanzitutto, in queste zone. Da Rocca Imperiale ad Oriolo fino ad Amendolara, Albidona, la stessa Roseto. Quest’ultima ha un centro storico in altura interessante, da dove ancor più che sulla strada godi il mare e il noto castello. Qui anche il famoso scoglio ad “incudine”. Pausa durante il viaggio, necessaria; un caffè, della finanza si è già detto ed ecco che il cammino si risolve in paesaggio rinfrancante. Se devi scendere per tutta la Calabria, buona fortuna, verrebbe da dire. Non sei nemmeno a metà del viaggio. Si attraversano paesi, strade frequentate dai pedoni e dalle auto, non poche tentazioni (non fai un metro calabro che la ‘nduja già ti chiama). Se, pure, devi scendere per tutto il cosentino, non ne sei che ai primordi. Provincia immensa e frammentata al suo interno tra mille differenze, anche di mare (jonico di qua e tirrenico di là).
Mare e poi montagna, collina, Sila e mica una sola: c’è la Sila grande, la greca e la piccola. E il Pollino? Qui ancora una volta si è in coabitazione e “comproprietà” tra Lucania e Calabria: proprio al confine la nascita del fiume Mercure, in territorio di Viggianello (Pz), che poi in Calabria diventerà il Lao, acque sempre più note per le suggestive attività di rafting. E che sfocerà a Scalea, appunto nel mar Tirreno. Ma questa zona della Calabria è anche terra di antichi monaci: fenomeno detto “mercuriale”, proprio dal nome dell’antichissimo fiume. Si diceva del cosentino. Immenso. Si pensi anche alla diocesi di Cassano all’Ionio, retta attualmente dal bitontino Francesco Savino: si parte da qui, da Rocca Imperiale, praticamente a due ore scarse da Bari, per arrivare sino appunto a Cassano, molto più giù. È l’area della Sibaritide, dimensione storica anche di potere da cui tutta quest’area dipendeva. Il castello di Roseto è infatti legato alla difesa di Sibari.
Ma ecco qualche cenno sui borghi, come promesso. Un po’ tardi, vero. Gli è, però, che un viaggio è sempre un viaggio attraverso un paesaggio ed il borgo stesso è già tutto lì: raccontato attraverso quel paesaggio stesso, con la sua storia e i suoi aspetti naturalistici. Anche perché poi, di Montegiordano in sé, con tutto il bene possibile, che vuoi dire? Occhio, attenzione. Ha già qualcosa di più delle altre due, ancor più discrete e piccoline: Canna e Nocara. Sì, perché Montegiordano si è dato un tono. Ci sembra più che giusto. Ed ecco i murales, espediente ormai abbastanza collaudato dei nostri borghi per ravvivare gli ambienti, per colorare le vie, per raccontare, così, anche il cammino di un’antropologia. Montegiordano è come se si narrasse e presentasse attraverso i muri dipinti: tradizioni, riti, storielle di paese, atavici costumi, storie dell’infanzia di una volta, i mestieri ed i negozi che non ci sono più.
Storie anche tristi. Lancinanti. Come quella di un piccolo bimbo del paese, Mariolino, che nel 1945 manda una lettera, senza affrancarla, all’ufficio postale. La lettera è per Babbo Natale. Mariolino vive in una famiglia stremata dalla povertà e dalla fame. Chiede di poter morire, di volare in cielo, perché “a casa non c’è nulla da mangiare”. “Portami tra gli angeli”, chiede a Babbo Natale. Sembrerebbe un film. È una storia vera. Perché, questo, non dimentichiamocelo mai, è stato il sud. I muri di paese raccontano una storia struggente. Brividi. Ma ecco la recentissima Chiesa madre di Sant’Antonio da Padova e poi il nucleo storico più importante: il Castello, in località Piana delle Rose, oggi privato. Nel territorio, in zona Caprara, anche ciò che resta di una vecchissima abbazia cistercense. Più vecchie della matrice, nell’area urbana, le chiese della Madonna di Pompei e del Cristo Redentore (ma anche le cappelle di San Rocco, della Madonna del Carmine e della “Pastorella”: graziose e semplici).
D’intorno è fitta la boscaglia ed è fascinosa quella coperta di verde che sinuosa scende sino al mare. Bella ed attrezzata, infatti, la Marina di Montegiordano. Canna e Nocara sono, infine, borghi da appassionati. Sfideremmo a trovare qualcuno che si metta in macchina apposta per Canna e Nocara. È roba da fanatici devoti dell’Italia interna. E noi, che orgogliosamente lo siamo, ci siamo andati apposta (a Montegiordano siamo stati in altra occasione, a dirla tutta). Si tratta di due paesini di 200-300 abitanti scarsi (sulla carta e d’estate, tra l’altro). A Canna, oltre ai gatti, un sole da paura (seppur di settembre), dedali di vicoletti, un fornaio gentile e una famiglia di toscani, fiorentini. Lo capisci subito. E che ci fate qua? “Noi siamo di qua”. Ah.
Chi ci parla è un colto ed ispirato signore originario del posto, un professionista, ormai tornato qui dopo la pensione. Ma intanto l’accento tosco è bello che acquisito. E così i figli. Ci offrono da bere, vorrebbero lasciarci fare una doccia, persino ospitare per il pranzo. Stupende realtà, cose che esistono davvero. Italia incredibile e quanto sei bello, viaggio. Ma noi, appunto, vogliamo vedere Nocara. “E che tu ci vai a fare ora lì che trovi tutto chiuso?”, ci fa, toscaneggiando ostentatamente, la figlia (sono le 12,45, in effetti). L’abbiamo preso come impegno con noi stessi e con la benzina che abbiamo “messo”. E Nocara fu. Silenzio. I gatti pure qua. Il sole che non sparì. Un borgo ancora più in altura (qui voliamo sugli 859 metri). La posizione di Nocara è addirittura da record: il paese con nel proprio territorio il punto più in alto di tutta la Calabria, nel senso non dell’altitudine ma proprio della striscia di terra più a nord di tutta la regione.
Ed il punto più in alto non poteva che essere stupendamente posizionato in un bosco che definire isolato è un eufemismo, con tanto di incredibile abbazia solitaria. Santa Maria degli Antropici: nome bizzarro. E noi ci siamo andati. Pace. Ancora il silenzio. A dire il vero, pure le api (zona umida di abbraccio tra il torrente Ragone e il fiume Sarmento). “Ce ne sono tante ma muoiono, qui non mangiano nulla le api, muoiono di fame”: così una signora anzianissima che abita col marito sulla strada verso l’abbazia, ad almeno dieci chilometri dal centro del borgo. Sembra avere l’età delle pietre. Pelle rattrappita, occhi invisibili, confusi con tante piccole onde, antiche, come tracce del tempo sul viso. Realizzi, allora, poco prima di tornare a Canna, dove i tosco-calabri ti aspettano per un drink, che a Nocara ci sono tante api, ma muoiono. A Nocara (ma anche a Canna) ci sono, in compenso, poche persone, ma vivono. Andate a trovarle (le persone, pure le api, se vi va).