Devianza e marginalità le leve con cui la criminalità arruola i giovani

Mentre aumentano droga e scippi a Bari Vecchia, esperti, operatori e personalità religiose spiegano che tocca alla società degli adulti fornire le risposte necessarie

Siamo in un paese in costante emergenza. Dai disastri ambientali ai trasporti, dalla violenza tra le mura domestiche alla devianza minorile, saltando da un argomento all’altro. Tanti proclami e poca prevenzione. Intervenire cavalcando l’onda dello scoop giornalistico non può portare, da Milano a Palermo, a soluzioni strutturali.

E così, a Bari vecchia tornano ad alungarsi le ombre sinistre del malaffare, dello spaccio di droga, come le cronache di questi giorni raccontano con l’arresto di alcuni malviventi intenti a pianificare il traffico di stupefacenti proprio lungo le vie del turismo, che negli ultimi anni ha cambiato radicalmente il volto della città. Il degrado, notevolmente ridottosi negli anni passati, rischia di mostrarsi in tutta la sua deflagrante negatività ancor più con la serie di scippi ai danni dei turisti a passeggio nel borgo antico.

Sono i segnali di un allarme sociale che torna a far paura, scuotendo le coscienze più sensibili; che impone di mettere le carte in tavola e fare chiarezza sul riacuirsi di fenomeni che non possono essere affrontati con provvedimenti tampone, e a lungo andare rischiano di consegnare intere schiere di giovani alle fauci della criminalità organizzata.

Con una tavola rotonda al Comune di Bari, dal titolo Mafia e disagio giovanile, Libera Puglia ha provato a scattare una fotografia delle nuove generazioni che, come ricorda papa Francesco, rappresentano “una nuova forma di povertà” per innumerevoli ragioni: dalla difficolta di accesso ai servizi primari alle cure mediche all’istruzione sino alle difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro. Nella forbice tra devianza e marginalità, il disagio giovanile occupa un’altra fetta importante e pericolosa della “povertà giovanile”: la porta d’accesso al sistema criminale che trova nuova linfa proprio nelle nuove generazioni.

Disagio e criminalità sono anelli di una stessa catena. La mafia si va infiltrando pericolosamente tra i giovani, cancellando le prospettive di un futuro per quanto possibile normale. Futuro e giovani dovrebbero essere sinonimi; ma le difficoltà strutturali dei sistemi economici, scolastici e culturali rendono questi termini antitetici.

La questione giovanile interessa in modo particolare il mondo associativo e il terzo settore che, dal lockdown in poi, fruisce di ulteriori fondi per prevenire la dispersione scolastica: 750 milioni di euro del PNRR si sono aggiunti ai 500 del post-covid per progetti destinati alle scuole e agli organismi del terzo settore per attività di accompagnamento, contrasto, prevenzione, tutoraggio della dispersione scolastica. Le armi dell’educazione, dell’arte, della cultura, della cittadinanza attiva costituiscono un efficace deterrente agli episodi di violenza come l’omicidio della 19enne Antonella Lopez, colpita da un proiettile all’esterno di una discoteca di Molfetta.

“Il disagio giovanile ha attraversato tutte le generazioni, ma questo ennesimo omicidio di una giovane vita impone una riflessione nelle politiche da intraprendere. Ancor di più bisogna nutrire amore per l’aspetto educativo e passione per i ragazzi”, ha detto in occasione della tavola rotonda don Angelo Cassano, neoparroco della chiesa di San Carlo Borromeo nel quartiere Libertà di Bari e referente di Libera Puglia. 

Tornare a parlare di emergenza equivale a ridurre la discussione a inutili slogan e a mero sensazionalismo. “Non si può parlare di emergenza, poichè il disagio è un andamento costante, trasversale nelle generazioni. Spostando l’attenzione sull’emergenza troppo facilmente il ragionamento casca in una mentalità repressiva”, spiega Giuseppe Moro, professore di sociologia dell’università di Bari, analizzando il quadro della condizione giovanile. E spiega: “In tal modo la stigmatizzazione di una fetta dei giovani diventa superflua. Sta dilagando la cultura della guerra, a più livelli, come strumento per risolvere i conflitti”. Moro descrive chiaramente i molteplici aspetti che stanno coinvolgendo e facilitando quel disagio fino a trasformarsi in danno sociale: “Assistiamo all’aumento dei reati commessi dai ragazzi. Come pure a una crescita della violenza, anche contro se stessi: pensiamo ai suicidi. Si abusa di alcool molto facilmente e le sostanze stupefacenti sono accessibili anche tra le fasce sociali più deboli, rispetto al passato in cui se le potevano permettere in pochi”. “Cultura della violenza e della guerra sono fattori comuni, purtroppo, anche all’interno delle famiglie dove i figli assistono a esperienze relazionali violente che provocano problemi psicologici. A tutto ciò si aggiunge la fragilità delle istituzioni nel far rispettare le regole”, spiega il docente.

Dentro questa cornice c’è anche una fascia di giovani, non nati in Italia, che si rende protagonista di vandalismo e di aggressività a causa dell’isolamento e di una mediazione poco adeguata. Oltre al fenomeno dei neet, che senza studio né ricerca del lavoro, rappresentano un confine tra rassegnazione e timore del futuro.

“Occorre intervenire sempre di più nella rete di relazione dei ragazzi, ossia le scuole, le famiglie, il territorio. Bisogna insistere nello sviluppo positivo della cura e della fiducia per aiutare i ragazzi a fiorire bene”, afferma il sociologo. Sfruttare le potenzialità e i talenti, intercettarli prima che le organizzazioni criminali reclutino giovani leve. Esiste un parallelismo tra il disagio giovanile e la mafia: “Le organizzazioni criminali allargano il loro mercato sfruttando il degrado: adescano i giovani con bassi livelli di scolarizzazione sin dall’adolescenza. Inculcano l’idea del ‘denaro facile’ lontano dal principio della fatica e del sacrificio; assecondano il pessimismo sul futuro che rende impossibile ogni altra prospettiva. E non si possono tacere i naturali legami di parentela che possono essere tra i fattori che provocano disturbi psicologici e psichici, in grado di mettere in pericolo lo sviluppo cognitivo, comportamentale e attitudinale”.

La tendenza a inserire ragazzi e giovanissimi nei giri della mala dovrebbe creare un senso di dispiacere all’intera comunità perché quest’ultima non è riuscita a ritagliare uno spazio tale da affiancare e sostenere le vulnerabilità. Addirittura, i modelli criminali e violenti diventano fonte di ispirazione con grave responsabilità della tv e delle piattaforme digitali del cinema. Guardando così tante serie tv, i ragazzi prediligono i personaggi brutali, proprio quei nemici da sconfiggere.

Francesco Giannella, procuratore aggiunto e coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, fa notare come la droga sia davvero la madre di tutte le criminalità. In Italia si fa un uso incredibile di stupefacenti, come dimostra il recente sequestro di tre tonnellate di cocaina”. Dalle parole del procuratore emerge, poi, la necessità di scendere nelle situazioni concrete: “La legalità non può essere insegnata, deve essere praticata. E le regole vanno fatte rispettare. A partire da questo, ritengo che il mondo degli adulti non sia un buon esempio”. La mafia si sviluppa fuori dalla mafia quando la debolezza, l’arrendevolezza, il negazionismo della società diventano complici.

Va diffusa, questa sì urgentemente, la cultura del noi, “il coraggio del noi” citato da don Angelo e ripreso da mons. Giuseppe Satriano. arcivesvovo di Bari-Bitonto: “Occorre valorizzare l’altro, esserne sostegno; per questo il lavoro educativo è centrale. Siamo chiamati ad abitare la vita, a presidiare le nostre piazze, allentando la paura di rintanarci e uscire dalle nostre zone di confort”.

Ecco che, mettendo da parte il concetto di emergenza, a questa violenza bisogna rispondere con le iniziative suggerite da don Luigi Ciotti, intervenuto al convegno e sempre pronto a combattere il senso di rassegnazione che rischia di far arenare gli uomini e le donne di buona volontà: “I giovani trovano una società negante nei loro riguardi, nelle prospettive, nel lavoro. E’ una società che si preoccupa dii giovani ma non se ne occupa davvero: ciò che vuol dire offrire spazi, opportunità, servizi. Cosa si può fare concretamente per aiutare questi ragazzi? Noi dobbiamo inondare, i nostri territori di progetti, di propositi, di opportunità da offrire. I ragazzi quando trovano punti di riferimento veri, coerenti, ci sono”. Bisognerebbe farli conoscere questi ragazzi che r-esistono per creare una sana emulazione.

Le immagini sono tratte dalla mostra fotografica “Saltando Respiro”, in corso presso l’università di Bari (ex palazzo delle poste), che ritrae detenuti del penitenziario del carcere di Bari