Più che di “grande bellezza”, questa volta possiamo parlare di “grande vittoria” per il regista partenopeo, riuscito nell’impresa di riavvicinare i giovani al cinema nazionale, eludendo le grandi produzioni hollywoodiane.
Paolo Sorrentino presenta il suo ultimo film Parthenope, intervenendo alla proiezione in programma al Multicinema Galleria di Bari. Dopo il grande successo riscosso da E’ stata la mano di Dio, l’entusiasmo e l’attesa per l’uscita della nuova pellicola – unica opera italiana in concorso al Festival di Cannes – sono palpabili tra gli spettatori, in colonna all’ingresso della sala.
“Le considerazioni che fanno i ragazzi su questo film sono molto inedite e dirompenti”, dichiara con soddisfazione il regista, che si presenta al pubblico barese con una battuta delle sue, quando alla domanda del presentatore su come sia nata l’idea del film, risponde con un semplice: “Non me lo ricordo”. Rotto il ghiaccio, siamo subito tutti a nostro agio. D’altronde chi conosce bene Sorrentino, come molti autorevoli giornalisti presenti in sala, non può che commentare positivamente il suo innato senso dell’umorismo.
Il film nasce dalle riflessioni di un uomo (lo stesso Sorrentino) che osserva il tempo scorrere via e medita sul significato che può dare a esso prima che tutto finisca. Una riflessione che s’innesta sullo stretto e fecondo legame del regista con le sue radici; sull’orgoglio di poter portare sullo schermo, quella grande, complessa, caotica ma anche insuperabilmente fascinosa, onirica, magica aggregazione umana, architettonica e paesaggistica che risponde alla realtà di Napoli, vera protagonista del film. Una città il cui conturbante, dissacrante, immortale splendore si rispecchia nella giovane vitalità del personaggio di Parthenope.
Una delle prime scelte nella realizzazione del film è stata quella relativa alla colonna sonora, con l’ispirazione che è giunta dalla famosa trombettista australiana Nadje Noordhuis. Lo strumento predominante nella partitura del film è, infatti, la tromba. Ma alla costruzione della trama musicale hanno offerto un prezioso ausilio anche le note di Cocciante (“una grande ossessione”, come Sorrentino la definisce), di fronte al quale persino le produzioni di un’icona pop di fama mondiale, come Kylie Minogue, sono risultate soccombenti.
Tantissimi i provini e mai una vera e propria convinzione sulla scelte compiute attraverso il casting: “Questa è la cosa che mi riesce meno nel processo lavorativo di un film”, spiega. Il vero ostacolo che il regista si trascina da sempre nella realizzazione di ogni sua opera. Tutto ciò non gli impedisce di elogiare l’attrice principale, la bellissima Celeste Dalla Porta, incoraggiato anche dai commenti del pubblico. Con un caloroso ringraziamento all’accoglienza riservatagli dalla città, Sorrentino si congeda mentre le prime scene del film cominciano a scorrere sullo schermo.
Quel mormorio dimorante in ogni cinema, fatto di rapidi commenti a caldo, lascia intuire un forte impatto emotivo, in realtà non sempre positivo.
Il film sembra essere impostato per sfruttare l’opportunità di raccogliere premi un po’ ovunque, ma sicuramente dovrà fare a meno di un Oscar, visto che è toccato a Vermiglio di Laura Del Pero rappresentare l’Italia come Miglior Film Straniero. L’estetica del lungometraggio è indiscutibile, la mano del grande regista è chiara e ferma. Rende maestosa ogni scena, ogni ambiente, ogni atmosfera. La cifra inconfondibile di Sorrentino.
Che si ispiri a Fellini è stato lo stesso Sorrentino a confessarlo. Le numerose citazioni rendono ogni personaggio un poeta di spessore, in grado di regalare perle inedite di saggezza, ma, a dirla tutta, anche quando non se ne avverte il bisogno. Imprimere in ogni dialogo qualcosa di profondo, fa sì che spesso si provi la sensazione di una forzatura. Gary Oldman è una garanzia: la presenza della star hollywoodiana, forse in un ruolo troppo marginale, lascia pensare più ad una mossa di marketing. Ma questo è un altro discorso.
Con lo stile ricercato e malinconico che accompagna da sempre la sua produzione, il regista tende ad accostare la protagonista del film il più possibile alla sirena della famosa leggenda greca, con l’intento di rendere omaggio alla sua città. Una donna / una città di straordinaria bellezza, a cui nessuno può resistere, ma pure l’emblema di fragorose contraddizioni, come la realtà di Napoli ci ha abituato da sempre.
Un grande spazio al mare, simbolo di amore: ”Una vita sognata” è la definizione che racchiude il concept di Parthenope. La scelta di Sorrentino di mettere una sua opera nelle mani di una giovane attrice alle prime armi è davvero coraggiosa: pur se apprezzata forse non ripaga abbastanza. Il cast (con Celeste Dalla Porta, Stefania Sandrelli, Gary Oldman, Luisa Ranieri e Silvio Orlando) funziona. Non mancano le polemiche: il film è definito blasfemo per certi versi.
Lo sfarzo eccessivo questa volta toglie un po’ di sincerità alla struttura narrativa, lasciando pensare a un’opera costruita forse più per colpire, per suscitare clamore che per convincere con gli argomenti. ”Il cinema mi ha dato la possibilità di creare una realtà parallela – ha dichiarato Sorrentino in un’intervista – in cui ho creduto molto, spesso fin troppo. A volte ho fatto sì che questa sostituisse la realtà vera. Ora meno, faccio più fatica, perché ho capito che la realtà è la realtà”. Questo film, tuttavia, sembra anch’esso assecondare quella prima fascinazione onirica, nella quale il regista si è ritrovato più spesso a suo agio.
Nella foto in alto, Paolo Sorrentino. Nelle altre immagini, alcune scene di Parthenope