Nell’oro di Martino il riscatto di un popolo intero

Nel centenario delle vittorie olimpiche di Parigi, un libro di Gigi Cavone ricostruisce la vicenda umana e sportiva del campione barese, simbolo di un sud risoluto e orgoglioso

Il libro di Gigi Cavone, Cento di questi anelli. Francesco Martino e l’impresa olimpica di Parigi 1924, edito da Wip edizioni, va oltre il resoconto, per quanto vivace e appassionante, di una grande vittoria sportiva, per diventare un sentito e caloroso tributo al valore di un giovane atleta del sud. Un campione capace di sfidare ogni avversità e riscrivere, con eccezionale talento e volontà di ferro, la storia dello sport insieme a quella del territorio e della società in cui visse e seppe distinguersi.

Giornalista Rai e della Gazzetta dello Sport, Cavone si cimenta in un racconto che unisce sapientemente il dato storico a quello emozionale di un’impresa senza precedenti. Ed ecco Francesco Martino, il giovane ginnasta barese, che appare non solo come un immenso campione ma anche come un simbolo di riscatto sociale e umano per l’intera società meridionale del tempo.

Il libro trasporta il lettore nella magica atmosfera della Ville Lumière del 1924, un  contesto da cui il mezzogiorno d’Italia era ancora molto lontano se non proprio assente. Cavone narra, con stile agile ma efficace, il percorso di Martino, dalle difficoltà degli allenamenti all’aperto sino alla gloria olimpica, con la descrizione appassionata delle sue performance agli anelli – eseguite con raro e raffinato virtuosismo tecnico – che consente di cogliere appieno la portata dell’evento.

Ma Cavone, oltre a descrivere le gesta dell’eroe barese, invita il lettore a riflettere sul significato più profondo delle sue vittorie: un monito per le future generazioni alla tenacia e al sacrificio in nome di un ideale assoluto, che travalica spazio, tempo e culture.

Francesco Martino

Con una narrazione fluida e coinvolgente, l’autore restituisce al lettore tutta la bellezza e l’emozione di un’impresa storica, sottolineando quanto possano essere potenti i sogni se uniti alla tenacia, ad una volontà incoercibile.

Il nostro, infatti, ancora ragazzo, a soli nove anni dimostra il suo talento con una verticale impeccabile eseguita nella palestra di via Garruba a Bari, la prima sede dell’Angiulli, storica società barese per la quale Martino gareggerà e trionferà. In quella palestra si allena con i fratelli maggiori Angelo e Raffaele, che lo osservano con ammirazione: “Uagliò, sei più bravo di noi”.

Ma dopo tre anni trascorsi nella Regia Marina, dove si è arruolato giovanissimo come volontario durante la Grande Guerra, Martino abbandona la palestra. La guerra porta via Raffaele, lasciando il fratello minore in un’incontenibile ondata di tristezza. Martino viene assegnato alla Flottiglia Mas come sommergibilista e ottiene una medaglia al valor militare, grazie a due operazioni di bonifica delle mine nello stretto dei Dardanelli e nel Mar Nero. Dopo questa esperienza, l’atleta torna finalmente alla ginnastica. Con braccia ben tornite e un torace robusto, conquista un posto nella squadra italiana alle Olimpiadi di Parigi: sarà l’unico rappresentante del sud in un gruppo composto esclusivamente da atleti del nord. Il suo primo grande successo arriva agli anelli: con 21,553 punti, riesce a superare i cecoslovacchi Robert Prazak e Ladislav Vacha. Il secondo, nel concorso a squadre, davanti a Francia e Svizzera.

I ginnasti italiani alle olimpiadi Parigi del 1924. Martino è il secondo da sinistra

In quel 1924 il giovane Martino si era allenato all’aperto (l’Angiulli era in cerca di una nuova casa) in vista delle olimpiadi parigine. Quando giunge nella capitale francese non è certo il favorito. Così le sue spettacolari piroette, realizzate in verticale sugli anelli, hanno un che di prodigioso.

La Gazzetta dello Sport mentre celebra il primo dei due trionfi di Ottavio Bottecchia al Tour de France, dedica l’edizione del 19 luglio 1924 anche alle imprese del campione barese. Sotto il titolo Le nostre prime vittorie nella ginnastica, si legge: “Francesco Martino ha conquistato la medaglia d’oro nella gara individuale agli anelli. La squadra nazionale accumula punti per la classifica complessiva, mentre le vittorie straniere si registrano alla sbarra e alle parallele”.

Al suo ritorno a Bari, Martino è festeggiato come un eroe. È un campione iridato, il suo nome è stampato a caratteri cubitali sui quotidiani di tutto il mondo. Orgoglio barese, riprende a frequentare l’Angiulli, continuando a ricevere onori e riconoscimenti, pur mantenendo il suo impiego all’Acquedotto Pugliese, dove svolge il suo lavoro con zelo e responsabilità. Un’attività cominciata proprio nel fatidico 1924 e conclusasi dopo quasi 40 anni.

Il manifesto delle olimpiadi di Parigi del 1924

Quando si congeda dall’acquedotto, gli anelli li ha mollati già da un pezzo. Con il suo stile elegante e affabile, continuerà a presentarsi a quanti desiderano conoscerlo con un inchino e una frase che lo rappresenta in pieno e che tanto dice di lui e della sua schietta personalità: “Sono Martino, campione del mondo!”. Morirà a Bari, la sua città, nel 1965.

Il libro di Gigi Cavone ha, insomma, il merito indiscutibile di aver riportato l’attenzione su un grande campione della nostra terra, quando lo sport era ancora e soprattutto passione, determinazione e orgoglio, senza il vortice di popolarità mediatica e gli intrecci economici di oggi. Un recupero della memoria tanto più encomiabile in quanto Martino era stato e continua ad essere l’unico pugliese ad aver vinto due ori nella stessa olimpiade. Come testimonia, tra l’altro, lo speciale annullo postale del 29 settembre scorso. Una storia di passione e di coraggio, quella del campione barese, di cui oggi avvertiamo come non mai il fascino e la “necessità”.